L’estate del 2001, a Brooklyn, è calda. Un’afa da record invade New York, facendo registrare quello che, allora, è il quinto agosto più caldo di sempre. William Basinski è nella sua casa-studio e, come molti artisti che hanno dedicato la propria vita alla composizione e alla ricerca, è maledettamente al verde. Nonostante sia un clarinettista con, alle spalle, studi di composizione e sassofono jazz alla North Texas State University, William –alla fine dei ’70, appena ventenne – è rimasto affascinato dal minimalismo di artisti come Steve Reich e Brian Eno, tanto da decidere di lasciar perdere il jazz per dedicarsi allo sviluppo di un proprio vocabolario compositivo di natura ambientale costruito attorno a loop su cassetta, i cosiddetti tape, per manipolare le proprie registrazioni attraverso bobine e nastri magnetici così da creare atmosfere sonore fluttuanti quanto malinconiche. Per i primi vent’anni, però, la sua carriera solista non è stata molto fortunata. Nel 1983 ha registrato il suo primo lavoro Shortwavemusic che però non vedrà la luce che nel 1998, mentre nel 2000 ha pubblicato, come indipendente, un secondo album dal titolo Watermusic, passato abbastanza inosservato. Ma, come dicevano, l’estate del 2001 a Brooklyn è calda e Basinski è davvero al verde.
Nell’estate del 2001, nell’appartamento di William c’è uno scatolone etichettato, come da buon gusto del compositore, con un nome altisonante e malinconico, Land of Time Forgot. Dentro quello scatolone, in quella landa del tempo dimenticato, da almeno quindici anni si trovano una serie di tape che Basinski ha registrato e preparato negli anni ’80, una serie di field recording, sample, campionamenti. Sarà per il caldo, per la noia, o per l’imminente rischio di sfratto, ma Basinski decide che è arrivato il momento di digitalizzare quei lavori. Inizia quindi a sbobinare questi tape, scoprendo però che il tempo li ha deteriorati a tal punto che le stesse composizioni si stanno letteralmente trasformando in polvere all’interno del recorder. Al posto di disperarsi, William ci vede però un’opportunità. Continua a sbobinare, lasciando che il deterioramento accada, e allarga lo spettro sonoro suonando dei contrappunti con un Moog Voyager ad emulazione di un corno francese. Il tempo che si è depositato su quei nastri arricchisce le nuove digitalizzazioni sotto forma di una calda coltre di polvere, tra scoppiettii, feedback, silenzi, rumori. “Ero seduto a guardare il registratore, monitorando come queste registrazioni si disintegravano in modo profondamente magnifico”, ricorderà il compositore.
Basinski è seduto in studio. I tape si sono decomposti completamente all’interno dei macchinari. È mattina. Gli echi dei loop infiniti rimbalzano ancora nell’appartamento. È la magnificenza della fine. Basinski ancora non sa che, tra le mani, ha quelli che presto conosceremo come i Disintegration Loops, l’opera più importante della sua carriera, nonché pietra miliare della tape music e dell’ambient. In lontananza, un boato. Poi un altro. Qualcos’altro si sta disintegrando quella mattina, non troppo lontano dalla casa di William: gli Stati Uniti. La mattina dell’11 settembre 2001, quando Basinski ha appena terminato il suo capolavoro, tutte le televisioni del mondo sono sintetizzate sulla stessa immagine, un aereo che si lancia sulle Twin Towers di New York. Quello che vediamo sugli schermi è il secondo aereo; siamo in delay rispetto alla tragedia. Basinski si affaccia dal suo appartamento e inizia a vedere il fumo alzarsi in lontananza. Al crepuscolo salirà sul tetto dell’edificio per filmare quel fumo per ciò che diventerà l’artwork di quei Disintegration Loops. Il 9/11 viene così immortalato per sempre nella storia della musica. Una versione di questi lavori è difatti presente all’interno della Historical Exhibition al 9/11 Memorial and Museum.
I Disintegration Loops suonano, oggi, come una profezia sulla cultura occidentale, una fotografia di un’egemonia che il tempo sbiadisce. La polvere delle macerie, la polvere dell’impero, la polvere dei tapes. Ancora oggi, vent’anni dopo, i Disintegration Loops restano un emblema del decadimento dell’Occidente. Non si pensi, però, che queste composizioni abbiano una componente di tristezza, o violenza, la potenza del loro magma sonoro è un’estasi malinconica, una struggente pace eterna mentre attorno tutto crolla senza opposizione. Con i Disintegration Loops, Basinski ci ha consegnato le chiavi soniche per comprendere la morte nella luce del crepuscolo, per rinascere dalle polveri delle macerie.