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Cos’è l’Elvis Act, che vuole tutelare gli artisti dall’intelligenza artificiale

Il Tennessee è il primo Stato a legiferare in merito ai deepfake che coinvolgono artisti morti (o no). E prende simbolicamente il nome dal re del rock’n’roll, che già negli anni ’70 si voleva diventasse “di dominio pubblico”. E ora che succede? Anche da noi niente più Gerry Scotti che canta Lazza o Eminem?

Foto da YouTube

Niente più Gerry Scotti che canta le canzoni di Lazza o quelle di Eminem, a meno che non lo voglia lui stesso, come nel caso del disco di Natale uscito nel 2023. La differenza, lì, è appunto la volontà dell’artista coinvolto – che in questo caso, diciamolo, si è preso bene di fronte agli esperimenti della rete – mentre il punto di contatto è sempre l’aiuto dell’intelligenza artificiale per generare quelli che di fatto sono deepfake. Dei video, cioè, in cui la voce o proprio la faccia di un personaggio vengono trapiantati in un altro contesto: con le applicazioni di oggi, ci vuole pochissimo; spesso fanno ridere, ma quasi sempre sono un problema.

Non è una novità, se ne parla da anni ormai, ma ora che gli strumenti diventano sempre più precisi e facili da usare diventano ancor più un minaccia in ogni campo. E d’altronde, per esempio, un video ben confezionato di Biden che dichiara guerra alla Russia fa danni come una qualsiasi forma di disinformazione, se inoltrato su WhatsApp alle persone sbagliate, mentre intanto in due in Italia sono a processo per un deepfake porno con protagonista Giorgia Meloni. Per quanto riguarda le canzoni, sul web c’è la qualunque, dallo stesso Scotti a Ignazio La Russa che interpreta a modo suo Tuta gold, solo per restare in Italia. All’estero, Frank Sinatra canta letteralmente di tutto. È chiaro che la situazione è fuori controllo, perché poi non si capisce più il confine tra ciò che è vero e ciò che non lo è, e magari qualcuno si arricchisce anche alle spalle degli artisti.

Lo è perché non c’è una legge in merito, specie per quanto riguarda i diritti legati allo sfruttamento della voce di un’artista. E per quanto riguarda la musica, dove questo aspetto è fondamentale, per ora a tutelarsi da pericoli e conseguenze spiacevoli ci hanno pensato gli Stati Uniti e in particolare il Tennessee, che per primo ha legiferato in merito con norme valide dal prossimo luglio, per difendere i diritti di artisti e addetti ai lavori coinvolti loro malgrado nei deepfake. «Da Beale Street a Broadway, a Bristol e oltre, siamo noto per il nostro ricco patrimonio artistico che racconta la storia del nostro grande Stato», ha detto il governatore Bill Lee, in quota repubblicana, ricordando come a Nashville sia nato il country, e questo appena sottoscritto sia «un atto protezione legale per i nostri migliori artisti e cantautori».

La legge in questione è l’ELVIS Act, dove «Elvis» è l’acronimo di «Ensuring Likeness Voice and Image Security», anche se è chiaro il riferimento a Presley, visto che si tratta di un aggiornamento di una norma “dedicata” a lui dopo la sua comparsa. Alla fine degli anni Settanta, infatti, in tanti avevano chiesto che la sua immagine diventasse di dominio pubblico, ma gli Stati Uniti stabilirono che i diritti a essa collegati – all’epoca comprendevano il nome, l’immagine stessa e la somiglianza fisica – non si estinguessero con la morte dell’artista in questione, ma diventassero di proprietà degli eredi.

Ecco, con l’aggiornamento è stata inserire nella lista la voce, pensando quindi di fare scacco matto ai deepfake: non si potrà sfruttare il timbro di un qualsiasi altro artista, anche vivente, per generare video senza consenso. «Sebbene la legge preesistente proteggesse nome, immagine e somiglianza, non affrontava in modo specifico nuovi modelli e servizi personalizzati di clonazione generativa dell’intelligenza artificiale che consentono l’impersonificazione umana e di realizzare opere false non autorizzate in base all’immagine e alla voce di altri», si legge in una nota del governo del Tennessee.

Per il resto, a livello nazionale negli Stati Uniti non c’è molto, così come in Europa siamo indietro, ma d’altronde siamo indietro proprio nello stabilire limiti e paletti dell’intelligenza artificiale in tutti i campi. Però se da una parte il mondo dei creativi ha già cominciato a dare segni d’insofferenza, com’è successo in parte con gli scioperi a Hollywood lo scorso anno, anche i personaggi famosi – che finché ci si limita al meme, per certi versi, possono anche guadagnarci – non stanno tranquilli. Tra i tanti, lo scorso ottobre, in Italia, Mara Venier aveva denunciato un video in cui, di fianco a Elon Musk, invitava a fare certi investimenti finanziari, che avrebbero garantito un bel reddito per i mesi successivi. Ovviamente era fatto con l’intelligenza artificiale. La musica lì non c’entrava, ma partire dagli artisti, che con i diritti collegati alla loro immagine e alla loro voce si giocano molto più di altri, è un primo passo.

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