Per Acrobati, il nuovo album che esce venerdì 26 febbraio, Daniele Silvestri ha scelto di rischiare per ottenere qualcosa che stupisse in primis lui stesso. Anche se farlo via terra sarebbe stato più semplice, lui ha scelto l’aria: così ha descritto il processo creativo che c’è alla base del suo nuovo album. Per questo motivo, anziché rispettare l’iter canonico (comporre tutto prima, poi arrangiare, registrare..) ha scelto di mettere insieme i musicisti “giusti” ed entrare in studio senza una direzione precisa, ma «solo con pochi appunti, dei semi». In questo modo le bozze chiuse nel suo iPhone si sono trasformate in jam session, e poi in canzoni vere e proprie. I testi, diversamente dal solito, sono arrivati per ultimi: «ci siamo presi tre giorni nello studio di Roy Paci a Lecce, e abbiamo lavorato con una libertà che avevo solo prima del successo, quando scrivevo veramente solo per me stesso. Sono tornato a casa con ventuno tracce, e la sensazione che il cuore del mio nuovo lavoro fosse già tutto lì. Siccome ha funzionato ho riproposto questo modo di lavorare anche quando le cose si sono fatte più serie e definite: per questo motivo spesso le canzoni non hanno una struttura regolare, ma sono dei flussi magmatici, dei racconti. Perché anche durante la scrittura dei testi ho scelto di non piegare il momento della creazione alle necessità della canzone. Questo è un modo di lavorare decisamente acrobatico, ma anche parecchio entusiasmante, se suoni con le persone giuste».
E i musicisti “giusti” non sono certo mancati: oltre a Roy Paci ci sono Roberto Dellera degli Afterhours, Adriano Viterbini, Diego Mancino, Caparezza, Diodato e molti altri ancora. Alcuni dei sette featuring presenti sul disco vanno poi ben al di là del semplice “io canto la strofa e tu il ritornello”, ma l’apporto dell’artista ospite è fondamentale anche per la scrittura. È ad esempio il caso di La Guerra Del Sale, scritta a quattro mani con Caparezza: «Avevo scritto un giro strumentale che sapevo avrebbe catturato la sua attenzione, ed erano anni che avevo l’idea di collaborare con lui, per cui mi sono deciso ad alzare il telefono. Gli ho inviato il materiale che avevo, e lui mi ha risposto già con una prima bozza di strofa. Da lì è scattata una specie di sfida: abbiamo cominciato a mandarci versi e rime, tutto imperniato su giochi di parole, con la principale intenzione di stuzzicare e far ridere l’altro».
La dimensione del gioco – appunto – e l’autoironia che hanno sempre contraddistinto la produzione di Daniele non mancano, vanno anzi a controbilanciare la scelta di trattare anche tematiche abbastanza impegnative nel sottile ed efficace gioco di equilibri che questo lavoro dichiara fin dal titolo. Dell’acrobatismo che lo caratterizza fa però parte anche la scelta (eccezion fatta per il singolo Quali Alibi) di non approfondire temi di attualità, e non solo in termini politici o sociali, ma anche sotto un punto di vista più strettamente poetico: questo non è un disco che racconta il presente, anzi, quello che vuole fare è «portare via l’ascoltatore dall’immanente, dal dibattito politico e dalla polemica del giorno per metterlo in una dimensione di ascolto più fanciullesca, credo e spero anche molto più intensa». «A quarantasette anni mi sento, oltre che meno predisposto, anche molto meno in diritto di raccontare il presente. Mi piace lasciare che siano persone più giovani a farlo, coloro che per motivi anagrafici lo vivono con più ingenuità e vigore, e forse anche con lo spirito di battaglia e la voglia di cambiare le cose che io stesso ho avuto».
Acrobati, nonostante sia stato confezionato con un approccio piacevolmente démodé (a partire dalla scelta di registrare tutto in presa diretta) non suona anacronistico: è un lavoro da ascoltare dall’inizio alla fine, un disco fatto di racconti più che di canzoni. Più che nei club troverà la sua dimensione ideale nei teatri, dove sarà appunto articolato il tour promozionale. La scelta di fare un tour teatrale però è stata fatta prima di incidere il disco: «una fortunatissima casualità, perché ora che il disco è finito sono a maggior ragione convinto che il teatro sia il posto giusto. Il posto giusto per raccontare, stupire, creare quell’atmosfera di magia e funambolismo. Ma anche per il suo contrario, ovvero svelare il trucco, rendendo gli ascoltatori partecipi del momento creativo: tutto succederà in diretta… mi sto inventando un bel po’ di cose per i live. Spero di riuscirci!».