Succede sempre più di frequente di andare verso Bologna specificamente mossi da qualcosa che riguarda Lucio Dalla, nessun altro tra quelli che non ci sono più ci fa muovere tanto e nessuno ti dà la sensazione di trovarsi idealmente davanti a te a ridacchiare per quanto ti sta facendo ballare intorno alla sua figura, beffardamente proprio ora che non la puoi più incontrare per strada.
Poche ore dopo l’ultima sconfitta elettorale della sinistra italiana, mi dirigo una nuova volta verso l’ovatta calda dei portici del centro, il sole è alto e sembra primavera, è una di quelle giornate che paiono proprio presagire l’ottobrata, generare quella confusione docile da mezza stagione, insieme una sorpresa e una fortuna. Mentre mi muovo verso via Borgonuovo nella mia testa tornano ripetutamente alcuni versi che mi sembrano restare in connessione con quello che è appena accaduto nel Paese: “Nel bel prato d’Italia c’è odore di bruciato. Un filo rosso lega tutte, tutte queste vicende. Attenzione: dentro ci siamo tutti, è il potere che offende”. Sono versi da Le parole incrociate, il brano che chiude Anidride Solforosa, il capolavoro inciso da Dalla nel 1975, il secondo album in cui le musiche del futuro cantautore incontrano la parola poetica di Roberto Roversi.
In via Borgonuovo ha la sua sede Pendragon, la casa editrice fondata da Antonio Bagnoli, il nipote di Roberto Roversi che, dopo la sua morte nel 2012, ha potuto scoprire il tesoro più e meno nascosto del poeta, giornalista e antiquario bolognese. Quello che ha trovato è straordinario, una quantità inimmaginabile di fogli e foglietti di ogni tipo, faldoni e quaderni ordinatissimi in un eccezionale lavoro di archiviazione, figlio di chi ha praticato la scrittura su carta per tutta la vita insieme con cura e intransigenza novecentesche, le stesse che già di Roversi conosciamo proprio attraverso la collaborazione con Dalla. Sto andando a incontrare Bagnoli perché su molte di quelle cartelle in cartoncino colorato, su molte di quelle raccolte di fogli, in capo a quei quaderni di appunti e a quei bigliettini mai perduti, Roversi aveva chiaramente mostrato le proprie intenzioni e scritto: “Testi per canzoni”, “Testi per canzonette” o, ancora più nel dettaglio, “Testi per Dalla”, insomma parole per canzoni scritte dagli anni ’70 agli anni ’90, quando Dalla e Roversi, complice l’incisione di Comunista (brano del ’75) su Cambio, si rappacificarono e ritrovarno a distanza di vent’anni dalla rottura.
Nessuno conosce tutto questo materiale, nessuno a parte i famigliari ha avuto modo di mettere mano a questo tesoro a doppia mandata: quella che da lato si mostra come quantità di materia poetica ancora sconosciuta scritta da uno degli autori più importanti del Novecento e dall’altro un pezzo di storia della canzone italiana mancata o per meglio dire solo immaginata.
Roversi scriverà per Dalla per tutta la vita, anche senza consegnargli tutto. Dalla, però, a Roversi doveva tutto: più volte, anche dopo la fine non propriamente dolce del loro intenso sodalizio, ha avuto modo di dichiarare il suo debito filiale nei confronti dello scrittore, più volte ha affermato pubblicamente che senza quell’incontro combinato da Renzo Cremonini – che grazie al verso “Nevica sulla mia mano” si trasformerà ben presto in un innamoramento artistico pieno e radicale – il suo destino sarebbe stato quello di fare l’idraulico o chissà cos’altro.
Quando Dalla e Roversi si incontrano il primo ha 30 anni, l’altro 50, Dalla si esibisce da quando di anni ne ha 10, è un prodigioso essere di spettacolo che il pubblico non inquadra ancora fino in fondo, ha fatto il jazzista, l’attore, è stato a Sanremo a cantare 4/3/1943 ma non ha ancora capito a fondo come intercettare il proprio desiderio artistico e dunque come veicolarlo a chi lo ascolta, come dargli un giusto canale. Roversi, in quello stesso momento, è fuori dai giri canonici della cultura ma solo in apparenza, ha deciso di abbandonare la grande editoria dopo essere stato pubblicato da Feltrinelli e poi dalla prestigiosa collana bianca Einaudi (Dopo Campoformio) ma è stato uno dei fondatori e direttori della rivista Officina (con Pier Paolo Pasolini), si appresta alla codirezione di Lotta Continua con Marco Pannella, è un intellettuale dall’impegno culturale e sociale che assume molte forme ed è una grande voce civile e radicale dell’Italia di fine secolo.
Mentre tiene corrispondenze con Sciascia, Calvino e Pasolini, però, Roversi si trova in una crisi comunicativa che per certi versi è speculare a quella di Dalla: l’intellettuale della fine dei ’60 e primi ’70 è spiazzato, se in Francia Sartre scende in piazza con gli studenti e viene gentilmente invitato a tornare al caffé, Roversi prova a fare diversamente, a intercettare le nuove istanze delle giovani generazioni modellando il suo linguaggio in un’ottica più pop, mentre Pasolini scrive sul Corriere, lui fa lo stesso su l’Unità e sul Manifesto, cercando un canale di dialogo con il nuovo e la sua nuova forza.
L’incontro con Dalla è in questo senso sorprendente e, nonostante finisca poco tempo dopo, cioè nel 1976 dopo il disco Automobili (accorciato dalla discografica, cosa per il duro e puro Roversi risulterà intollerabile e fatale) dopo soli tre album, è già destinato a eternarsi nella storia dei due protagonisti. Mentre scrive per Dalla, mi racconta Bagnoli, Roversi porta avanti poemi in versi di 450 pagine e con la parola per la canzone pop è costretto al piacevole esercizio di una poetica nuova, più sintetica ma che non rinunci alla sua forza di indagine e narrazione lirica del sociale; mentre scrive musiche su testi di Roversi, Dalla, a sua volta, è costretto ad abbracciare l’intransigenza poetica e politica di Roversi che lo conduce anche a un nuovo rapporto con la composizione e con la musica stessa: il suo canto e la sua scrittura musicale ne usciranno modificati per sempre, anche dopo il 1976 e proprio a partire dal suo primo lavoro da cantautore, Dalla canterà e prima ancora scriverà come chi deve rispettare sempre un verso immodificabile, impedendosi certi errori metrici e insieme rifuggendo la metrica o almeno sapendo quanto sia possibile farlo. C’è poi dell’altro: l’incontro con Roversi è per Dalla un incontro politico centrale, diciamo pure un incontro etico, qualcosa che gli modificherà per sempre il pensiero e l’azione profonda dell’essere parola nel mondo, dell’essere un umano che parla (scrive, canta) al prossimo. Se Dalla assume cioè un valore artistico intellettuale in misura maggiore, in gran parte lo deve all’incontro con Roversi e a, per così dire, un’educazione roversiana.
Antonio Bagnoli mi mostra questi fogli, davanti a me gli autografi dei testi e le ideali scalette degli album, strofe corrette e pagine ordinatissime, i versi dell’Auto targata “TO” e di molti altri brani che i dalliani conoscono a fondo e poi una quantità di altre canzoni mai eseguite, testi in prosa programmatici sugli intenti delle parole usate nelle composizioni: in questi fogli si scorge un lavoro fatto e si intravede distintamente la possibilità di uno ancora da fare.
È proprio a questo proposito che, alla luce di questo materiale, a dieci anni dalla morte di Roversi, entrano in gioco gli Zois, cioè Valentina Gerometta e Stefano di Chio, che si avvicinano più profondamente a Roversi dopo essere stati presentati a Bagnoli dal loro primo produttore: i due eseguono una versione di Ulisse coperto di sale e colpiscono l’attenzione del nipote del poeta che a quel punto affida loro proprio uno dei questi quaderni di testi invitandoli a provare a musicarli. Dopo una prima fase di studio si affiancano al progetto Ivano Zanotti, già collaboratore e batterista di Ligabue, Loredana Bertè e molti altri, un musicista che oltre ad aver fatto tutte le batterie del disco ne ha caratterizzato profondamente il sound, e Giacomo Fiorenza, da ormai diverso tempo uno dei grandi nomi della produzione della nuova musica italiana. Proprio con Giacomo gli Zois tentano una nuova strada negli storici studi Fonoprint e sperimentano.
Incontro la coppia in via Borgonuovo e insieme ci dirigiamo proprio in Fonoprint, il cuore pulsante e pionieristico, fin dagli anni ’70, della scena musicale emiliana e non soltanto, lì dove gli Stadio, che di Roversi hanno inciso dodici canzoni tra cui Chiedi chi erano i Beatles, e poi Dalla stesso, Carboni, Guccini, ma pure Celso Valli, Fio Zanotti, Mauro Malavasi, Ron, Vasco, i Matia Bazar, Fossati, Conte, Mina, Cremonini e molti altri hanno inciso alcuni capitoli centrali della loro storia discografica. Non è la prima volta che mi trovo in Fonoprint e ormai posso dire che più che a uno studio di registrazione, questo posto magico, intriso di un’atmosfera che conoscono solo le stanze attraversate dai molti tempi di una lunga e valorosa storia, è una factory. Qui, tra gli altri, da qualche tempo, è approdato proprio Giacomo Fiorenza con cui chiacchieriamo a lungo, insieme agli Zois, della lavorazione e della realizzazione di questo disco in fieri che uscirà idealmente all’inizio del 2023, il giorno del compleanno dell’autore. Fiorenza mi racconta di aver avuto la sensazione di trovarsi, ascoltando il materiale roversiano già preprodotto dal gruppo, davanti a una tela mezza bianca, cioè a un luogo dove esserci, partecipare, aggiungere, di essersi trovato davanti a qualcosa che non voleva più solo mixare ma al quale partecipare attivamente. Dunque, in qualche modo, Fiorenza entra strutturalmente nel nucleo della band, partecipa alla composizione con organi valvolari di 60 anni fa, vibrafoni, microfoni d’epoca e poi, al contempo, plug-in all’ultimo grido. L’idea è quella di farsi trascinare dalla visione, non ripetere l’esperienza cantautorale ma lasciarsi condurre dall’atmosfera art rock, un po’ cinematografica e un po’ figlia della library music e dei grandi compositori italiani (da Umiliani a Sorgini, da Macchi ad Alessandroni) per portare su disco non una replica del lavoro Dalla-Roversi ma la prosecuzione di una via.
Quello a cui penso, quando Bagnoli mi dice di non aver voluto mettere alla prova la band quanto, piuttosto, i testi, è che quello che mi trovo di fronte è una sorta di discorso pratico sul metodo: non si tratta di rifare, non si tratta di modernizzare ma, piuttosto, di portare avanti un discorso intrapreso nel ’73 e capire quanto i testi di Roversi, oggi, possano continuare a tenere, a reggere, a raccontare come sanno fare il nostro contemporaneo. Gli Zois lo sottolineano con pertinenza: è un lavoro anche in gran parte politico, l’emozionante possibilità di far passare dal proprio discorso musicale un discorso sociale, uno sguardo profondo, una prospettiva implicata. In fondo doveva essere stato proprio così anche per lo stesso Dalla.
Roversi amava Brian Eno (e non stupisce) ma pure Jim Morrison, ma non ascoltava musica italiana e in generale non era un musicofilo, il suo è stato un esperimento linguistico in grado di spingerlo fuori dalla sua stessa lingua e di generare una parola che ancora oggi mette alla prova la musica e insieme gli orrori sociali della contemporaneità.
Il primo singolo degli Zois su brano inedito di Roversi si intitola Operaia casalinga contadina, è già uscito accompagnato da un video e come altri di cui ho avuto modo di leggere e che usciranno più avanti (ad esempio 14 volte all’alba) sembra, pare banale dirlo, scritto pochi giorni fa, ha insomma la forza di un prodotto classico. Stasera, 4 ottobre, gli Zois terranno un concerto a Bologna nella nuova piazza Lucio Dalla, lì presenteranno qualche brano inedito di questo ambizioso progetto artistico e qualche cover che, tengono a sottolineare, è stata realizzata successivamente, proprio con l’idea di proseguire nel metodo e nella cura melodica ma stravolgendo l’arrangiamento e uscendo dallo stilema cantautorale. Insieme alle canzone, di Roversi ci saranno anche alcune immagini e collage – ne produceva moltissimi usando biglietti delle estrazioni del lotto, pubblicità, titoli di giornale – che saranno più avanti anche protagonisti dell’artwork del disco in uscita: Etilene per tutti. RoVersi ritrovati.