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Dopo il coronavirus compreremo dischi solo su Amazon?

E-commerce, sospensione delle tasse, cassa integrazione in deroga, prestiti, consegne in città con i pony express: ecco come sta reagendo al lockdown chi vende CD e vinili, fra speranza e paura per il futuro

Foto: Dan Visan/Unsplash

Ogni musicista nasce in primis come ascoltatore di musica e – almeno fino all’avvento dello streaming, ma spesso anche dopo – ha un enorme debito di gratitudine nei confronti del proprio negozio di dischi di fiducia, quello in cui ha passato ore e ore a spulciare tra gli scaffali e allargare gli orizzonti. Non stupisce quindi che la stella del country-pop Taylor Swift, tra i molti gesti di solidarietà che ha compiuto durante l’emergenza Coronavirus, abbia letteralmente adottato uno storico negozio di dischi di Nashville, la città in cui è cresciuta: grazie a lei il Grimey’s, che per i mancati introiti causati dal lockdown rischiava di abbassare le serrande per sempre, è riuscito a pagare tre mesi di stipendi e assicurazione sanitaria a tutti i suoi dipendenti (il che, in un Paese che ha pochi ammortizzatori sociali e una sanità del tutto privata, fa la differenza tra la sopravvivenza e la morte). Purtroppo, però, per un Grimey’s che tiene botta grazie alla generosità di una superstar, in tutto il mondo ci sono migliaia di piccoli negozi indipendenti di dischi che stanno annaspando e fronteggiando una possibile chiusura. Anche e soprattutto in Italia, dove la chiusura degli esercizi commerciali è scattata ormai due mesi fa.

La Lombardia è la regione che per prima ha subìto delle restrizioni importanti, con ripercussioni enormi soprattutto su quelle attività che non vendono beni di prima necessità. Ufficialmente la quarantena è cominciata l’8 marzo, ma già fine febbraio c’era davvero pochissima gente in giro, racconta Ferruccio Melchiori, titolare insieme alla moglie di Dischivolanti, uno dei negozi di dischi più noti di Milano, che raccoglie titoli di qualsiasi genere, dal rock classico all’industrial, dal pop al jazz. È in attività dal 1998, prima in zona Tortona e da una decina d’anni nella sede di Ripa di Porta Ticinese, sui Navigli. «Di solito chiudiamo solo il giorno di Natale», spiega Ferruccio, «e circa il 50% della nostra clientela è costituito da stranieri e turisti». Ferruccio ha vissuto la chiusura dei negozi come un atto doveroso e obbligato: «Sarebbe stato impensabile lasciarli aperti in questo momento, soprattutto in Lombardia».

Nonostante il negozio non avesse mai venduto online per scelta («Siamo aperti 7 giorni su 7 tutto l’anno, durante la stagione estiva anche la sera, non avremmo il tempo di seguire anche l’e-commerce»), ha fatto di necessità virtù cercando di inventarsi delle formule che permettessero di guadagnare qualcosa anche durante la chiusura forzata. «Abbiamo deciso di approfittare di questi mesi per svuotare il magazzino e, tramite Twitter e Facebook, abbiamo lanciato dei pacchetti di svariati titoli a prezzo fisso», spiega. L’offerta è interessante: 3, 6 o 10 vinili nuovi rispettivamente a 50, 90 o 140 euro, con un’ampia scelta tra decine di titoli suddivisi in base al genere o alla discografia di un singolo artista. «Finora ho spedito una quarantina di pacchi, che ci hanno dato una minima boccata di ossigeno».

Insieme alla sospensione delle tasse, alla cassa integrazione in deroga per il suo unico dipendente, al prestito da 25 mila euro che lo Stato garantisce per gli imprenditori e a un’agevolazione sull’affitto che sta cercando di concordare col proprietario, dovrebbe riuscire a tirare avanti ancora per qualche mese. «Accumulando però debiti, che prima o poi bisognerà saldare», osserva. «Dopodiché bisogna vedere cosa succede. Se riaprono solo i negozi e non i locali, ad esempio, una zona come quella dei Navigli potrebbe essere penalizzata. E poi, chissà se la gente avrà voglia di andare a fare shopping o sarà scoraggiata dalle code».

Foto: Jamakassi/Unsplash

Quella delle code è una delle più grandi preoccupazioni di Giancarlo Balduzzi, che a Genova è un punto di riferimento con il suo Disco Club: è aperto dal 1965, e lui (dopo una vita da cliente abituale) lo gestisce dal 1984. Ormai è uno degli ultimi negozi di dischi di una città storicamente molto attenta alla musica: dal 2000 a oggi, ben 42 suoi colleghi hanno abbassato per sempre le serrande. «Chi entra in un negozio di dischi ci passa tutto il pomeriggio a curiosare, ascoltare musica e socializzare», osserva. «Come faremo a cacciarli fuori perché deve entrare qualcun altro? Si chiama Disco Club proprio per la sua dimensione conviviale». Specializzati in CD e vinili nuovi e usati, con particolare attenzione al rock e alle chicche d’importazione, impiega tre soci e un dipendente fisso. Per sopravvivere al periodo, anche loro hanno puntato in parte sulla vendita online. «Eravamo già presenti su Discogs, il più importante portale per collezionisti e venditori privati, ma soltanto con dischi d’annata di un certo valore e pregio», spiega. «Per tutto il resto, è difficile. Amazon fa una concorrenza impossibile, soprattutto sui cofanetti e le edizioni limitate di nuova uscita: li vendono a quello che per noi negozianti è il prezzo di costo». Inoltre, si sono inventati la formula del Buono Coronavirus: «In sostanza, è un buono del valore di 110 euro, che mettiamo in vendita a 100 euro tramite Paypal durante la quarantena», spiega. «Sarà spendibile non appena il negozio riaprirà i battenti».

Giancarlo è rimasto molto attivo in questi giorni, anche a livello simbolico («Ho rifiutato di spegnere le luci del negozio: sono ancora accese, perché vogliamo rimanere in attività qualunque cosa succeda»). Ha inoltre scritto una lettera aperta alle istituzioni in cui fa notare l’ingiustizia di riaprire le librerie in quanto «faro di cultura», ma non i negozi di dischi. «Se è pericoloso per noi essere aperti, è pericoloso anche per le librerie», ragiona. «In più le grandi catene come Feltrinelli, che vendono anche CD e vinili, ci fanno concorrenza. A chi venderò le copie del nuovo album dei Pearl Jam che avevo già ordinato, se tutti lo avranno già comprato lì o su Amazon? Non abbiamo neanche la possibilità di fare un reso della merce invenduta». Per venire incontro alla categoria, propone l’abbassamento dell’Iva sulla musica al 4% (come già succede per i libri) e degli stanziamenti a fondo perduto, «tanto ormai siamo così pochi che a livello economico incidiamo pochissimo. Speriamo almeno che questa situazione ci insegni a lottare insieme».

Disco Club a Genova: serranda giù, ma luci accese

A sud del Po, forse anche per il fatto che il bilancio dei malati e delle vittime del coronavirus ha inciso meno drammaticamente, si respira un po’ più di ottimismo. O almeno, questo si percepisce dalle parole di Marco Sannino, fondatore e gestore di Radiation Records, storico rivenditore di dischi della capitale. «Ho aperto quindici anni fa: oggi ho due negozi a Roma e cinque dipendenti, tra full e part time», racconta. «Gestisco anche una piccola etichetta, che si occupa di fare ristampe in vinile». Radiation è entrata in quarantena volontaria prima ancora che fosse obbligatorio: la moglie di Marco insegna cinese all’università, cosa che gli ha permesso di seguire molto da vicino la situazione a Wuhan. «Avevo già capito qual era la cosa giusta da fare, per la salute di clienti e dipendenti», spiega.

Come i colleghi, ha spostato buona parte del suo giro d’affari sul web, dove peraltro era già ampiamente presente. «Distanziati e scaglionati, continuiamo a entrare tre ore al giorno in negozio, per rispondere alle ordinazioni online e su Discogs e spedire i pacchi», dice. «Abbiamo avuto un incremento della vendita per corrispondenza del 100%, e forse aumenterà ancora. La maggior parte degli ordini sono su Roma, e avendo un contratto con un pony express locale, riusciamo a consegnare quasi immediatamente». Purtroppo, però, non coprono neanche un terzo dell’incasso abituale dell’azienda, e le spese non sono diminuite. «Non è ancora arrivato un euro dallo Stato per la cassa integrazione in deroga, perciò ho anticipato io in toto le buste paga per i miei dipendenti», dice. «All’estero le piccole attività hanno già ricevuto aiuti economici concreti, qui invece di fatto siamo ancora fermi».

Per fortuna Radiation ha una storia lunga e delle entrate stabili, perciò non è a rischio immediato di chiusura, ma anche così Marco riuscirà a coprire in autonomia tutte le spese di sussistenza (affitti, mutui e stipendi) solo per i prossimi sei mesi al massimo. «Mi spaventa molto l’oscurità del passaggio intermedio tra il lockdown e la libertà totale: fino a che punto la quasi-normalità sarà davvero normale? E quanto durerà questa fase?», si chiede. Pur non avendo ancora chiari i criteri necessari alla riapertura, conta sul senso di responsabilità del suo bacino d’utenza: «Credo che i nostri clienti abituali aspetteranno volentieri qualche minuto in coda, pur di poter finalmente ricominciare a frequentare un luogo familiare. Abbiamo già esperienza di file molto ordinate per il Record Store Day, dove abbiamo avuto anche 40 persone ad aspettare fuori dal negozio».

Foto: Mick Haupt/Unsplash

Sul Record Store Day, la giornata dedicata ai negozi di dischi indipendenti – che di solito viene celebrata il terzo sabato di aprile, ed eccezionalmente per quest’anno è stata prima rimandata al 20 giugno e poi divisa in tre diverse date (29 agosto, 26 settembre e 24 ottobre) – i vari esercenti hanno opinioni diverse. Dischivolanti è scettico: «Non aderiamo più all’iniziativa ormai da qualche anno», racconta Ferruccio. «Ha perso molto del suo senso, perché la maggior parte dei prodotti arriva anche su Amazon, e quelli davvero pregiati e a tiratura limitata spesso non escono dall’Inghilterra o dagli Stati Uniti». Più morbido Disco Club: «Incrementa il giro d’affari per una settimana, non di più», spiega Giancarlo. «Sicuramente, però, è servito molto a fare parlare dei vinili e a dare una bella spinta alla loro vendita, soprattutto tra i giovani». Radiation Records è decisamente il più entusiasta: «Lo festeggiamo da tantissimi anni con eventi e l’uscita di un 7” in versione limitata (quest’anno è un picture disc, la ristampa di Surfin’ Bird dei Trashmen)», dice Marco. «Ci è capitato di dover gestire l’afflusso di 500/600 persone nell’arco di una giornata. Anche per questo faccio fatica a immaginarmi come sarà quello di quest’anno: è un’iniziativa internazionale, e chissà se i negozi di dischi saranno aperti in tutto il mondo, o solo in alcuni Paesi».

Nella speranza di poter ricominciare il prima possibile con la gloriosa tradizione del diggin’ in the crates, il modo per supportare i negozi di dischi indipendenti resta uno solo: supportare le iniziative che partono direttamente da loro e per loro.

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