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Due fratelli e il loro sogno rock‘n’roll: gli Screaming Trees secondo Gary Lee Conner

Nella prefazione del libro 'Veleno sottile. La storia degli Screaming Trees' il chitarrista racconta le origini e il successo della band. Da Ellensburg alla grungemania: un sogno, sì, ma «molto surreale»

Foto: Martyn Goodacre/Getty Images

Mi chiamo Gary Lee Conner. Sono nato nel deserto. A Fort Irwin, in California, nel 1962. Quattro anni dopo, vedendo una stella, ho espresso il desiderio di avere un fratellino e Van è arrivato nel 1967. Questo è il vero inizio di ciò che sarebbero diventati gli Screaming Trees. Eravamo due fratelli con i loro piccoli amici di provincia da Ellensburg, nello Stato di Washington, e nei decenni successivi avremmo vissuto il nostro sogno rock‘n’roll. E in questo modo, con nostro stesso stupore, avremmo giocato la nostra piccola parte nella storia della musica rock.

Tutto è iniziato con una scatola di dischi a 45 giri. Nostra madre, Cathy, si era diplomata al liceo nel 1957. Era proprio al culmine di due generazioni musicali, prima e dopo il rock‘n’roll. Fortunatamente, è andata nella direzione di Elvis, Little Richard, Jerry Lee Lewis e così via. Questo è quello che c’era nella scatola, il rock‘n’roll degli anni Cinquanta. Da bambini, Van e io abbiamo “mangiato” quella roba e probabilmente abbiamo fatto un buon lavoro consumando quei dischi. Quando eravamo davvero piccoli, quindi prima che iniziassero gli anni Settanta, la musica a cui siamo stati esposti era solamente questa. Gli unici ricordi musicali che ho degli anni Sessanta sono dello scadente cartone animato dei Beatles del sabato mattina e poi sentire da Walter Cronkite qualche anno dopo, al telegiornale della sera, che si erano sciolti.

Quando siamo diventati un po’ più grandi, siamo diventati più consapevoli anche dell’esistenza di un’altra musica. Uno dei primi album rock a cui ci siamo davvero appassionati è stato Cosmo’s Factory dei Creedence Clearwater Revival. L’abbiamo scoperto dopo che è stato lasciato a casa nostra da un amico dei nostri genitori dopo una festa. La musica rock era ovunque nei primi anni Settanta e stavamo per fare un tuffo davvero profondo in quel mare.

Ogni sabato la cosa più eccitante da fare a Ellensburg era andare con mia madre alle “svendite” nei giardini delle case private. All’inizio degli anni Settanta, la generazione hippie si stava dirigendo verso i trent’anni e, a quanto pare, questo voleva dire sbarazzarsi delle proprie abitudini adolescenziali, compreso l’ascolto di dischi. A quel tempo le svendite di roba di seconda mano erano una miniera d’oro di vinili a buon mercato degli anni Sessanta. Abbiamo recuperato tutti i dischi originali dei Beatles e dei Rolling Stones nelle loro stampe americane e molto altro ancora. Un altro ottimo posto per ascoltare musica era la biblioteca pubblica, dove ho scoperto Captain Beefheart & His Magic Band (Trout Mask Replica), il White Album dei Beatles e Their Satanic Majesties Request dei Rolling Stones (completo di copertina in 3D!). In seguito, quando abbiamo iniziato a comprare dischi, siamo stati abbastanza fortunati da avere un grande negozio di dischi in città chiamato Ace Records, dove gli scaffali erano pieni di ogni sorta di gemme oscure che avremmo presto saccheggiato.

L’album più significativo e influente recuperato in quelle ricerche nei cortili delle case degli hippie è stato comunque Kick Out the Jams degli MC5. Non l’ho ascoltato subito, ma dopo aver letto della band nella Rock Encyclopedia di Lillian Roxon (edizione 1970), l’ho immediatamente fatto girare sul piatto. A quel punto della mia vita (avevo circa quindici o sedici anni) ero diventato un fan totale dell’art rock, ero una sorta di snob e ascoltavo principalmente gli Yes, i King Crimson e gli Emerson, Lake & Palmer, ma nella potenza grezza e nell’espressione artistica degli MC5 c’era qualcosa che ci scuoteva dentro. Era una prefigurazione del mio futuro tuffo nel punk, nella new wave e in altri generi nei primi anni Ottanta.

Più o meno nello stesso periodo, io e Van avevamo iniziato a visitare il banco dei pegni locale, B.J.’s, e a comprare chitarre a buon mercato. Avevo preso lezioni per suonarla per un paio di mesi in quinta elementare, ma ci avevo rinunciato; tuttavia, avevo sempre la chitarra acustica in casa e ogni tanto ci giocavo, e gradualmente ho imparato a suonare da solo. Una delle nostre cose preferite da fare – prima che imparassimo davvero a suonare – era vestirci con abiti sgargianti e folli, mettendoci delle bandiere americane per mantelli, e cantare e suonare con le nostre chitarre mentre ascoltavamo Kick Out the Jams. Avevamo trovato il nostro vero amore: volevamo far parte di una band.

La sera in cui mi sono diplomato al liceo, nel 1980, ho preso una decisione. Ciò che volevo fare nella mia vita era suonare in un gruppo vero, di quelli che incidono degli album. Van e io non avevamo idea di come farlo, e il fatto di vivere in una piccola cittadina rurale e universitaria come Ellensburg, nella parte orientale dello Stato di Washington, sicuramente non ci avrebbe aiutato. All’inizio degli anni Ottanta ho provato anche a laurearmi in musica alla Central Washington University di Ellensburg. Tuttavia, il mio strumento principale di studio era la tromba, ma suonarla non mi piaceva molto. Il mio vero amore nella vita era solo la chitarra elettrica, ma la mia formazione musicale scolastica non aveva nulla a che vedere con la chitarra. I miei studi non mi stavano aiutando a realizzare quella che era la mia aspirazione. Così, dopo un paio d’anni abbandonai il college. Fu allora che io e Van (che in quel momento frequentava il liceo) fondammo una band insieme ad alcuni suoi amici.

Durante questo periodo, scoprivamo nuova musica di continuo. Avevamo imparato ad amare ogni sfaccettatura della musica rock, dal punk alla new wave, dalla psichedelia all’heavy metal. Qualsiasi cosa suonasse rock, per noi valeva la pena di essere ascoltata. Intorno al 1985 decisi di acquistare un registratore a cassette Fostex X15 a quattro tracce. Per noi è stata una rivelazione. Quando avevo circa vent’anni mi piaceva molto scrivere poesie, ma non ero mai riuscito a trasformare i miei scritti in canzoni. Le canzoni erano la chiave di tutto. Ci siamo resi conto che potevamo essere una vera band e suonare il nostro materiale. Con l’aiuto di Mark Lanegan e Mark Pickerel sono nati gli Screaming Trees. Siamo andati allo studio locale e abbiamo registrato un demo (Other Worlds) con il produttore Steve Fisk. E nel giro di poco tempo il proprietario dello studio, Sam Albright, ci ha aiutati a pubblicare il nostro primo album, Clairvoyance, sulla sua etichetta Velvetone. Era un disco in vinile nero e la nostra musica era lì dentro! Per quanto ci riguardava, ce l’avevamo fatta. Eravamo una vera band. Un sogno divenuto realtà. O no?

Abbiamo proseguito il nostro percorso musicale e, che sia stata fortuna oppure destino, siamo stati in grado di espandere le nostre aspirazioni firmando con la SST (e già quello era un sogno che si avverava!), facendo tournée in giro per gli Stati Uniti e l’Europa e in seguito siglando pure un contratto major con la Epic Records. Poi le cose hanno preso una piega strana.

Nel 1991 la scena musicale indie cambiò improvvisamente, con l’esplosione di un nuovo interesse da parte del pubblico provocata dai Nirvana e da tutta quella musica “grunge”. Ciò che era stato underground negli anni Ottanta era ora in prima linea nella musica popolare dei primi anni Novanta. Tutto a un tratto, le band che amavamo tanto quanto gli MC5 o gli Stooges erano diventati i i gruppi più importanti al mondo. Ci eravamo trovati in una situazione in cui avremmo avuto un piccolo assaggio di quel grande momento.

Gli anni Novanta hanno visto alti, bassi e colpi di scena per la band, ma abbiamo mantenuto il nostro impegno nello scrivere buone canzoni e cercare di fare grandi album. Ci sono state molte sfide personali e professionali, alcune delle quali hanno visto protagoniste la droga, l’alcol e la follia generale dell’industria musicale, ma tutto questo faceva comunque parte del sogno.

Nella primavera del 1993 gli Screaming Trees hanno suonato come headliner al Paramount Theatre di Seattle. Lo spettacolo era tutto esaurito e stavamo suonando proprio sul palco dove avevamo visto così tanti concerti delle nostre band preferite negli anni precedenti. È stato sicuramente il culmine della nostra carriera. Durante i bis, Mark Lanegan è uscito e ha cantato un paio di canzoni e poi ha lasciato il palco, come faceva spesso. Di solito, noi restavamo ancora un po’ per suonare un’altra canzone, in cui cantavamo o io o Van. Questa volta, però, nella nostra testa scattò qualcosa. Di colpo ci siamo ritrovati nella nostra camera da letto a mimare gli MC5, ma ora stavamo suonando Come Together per davvero, davanti a migliaia di nostri fan. Un sogno divenuto realtà! Già…

Si è rivelato un sogno molto surreale. Io, Van e gli altri Screaming Trees abbiamo fatto ciò che avevano fatto i nostri eroi musicali. Siamo andati in posti e abbiamo fatto cose che non avremmo mai potuto immaginare nella nostra camera da letto negli anni Settanta. E, a distanza di tutti questi anni, lo sembra ancora di più; sembra di essere stati coinvolti sul serio nella vera storia della musica rock. Van e io abbiamo vissuto il nostro sogno. E posso dire, anche se mi vergogno un po’, che mi riempie di orgoglio quando mi rendo conto che per alcune persone siamo diventati noi stessi degli eroi musicali.

Prefazione tratta dal libro Veleno sottile. La storia degli Screaming Trees di Davide Pansolin, Tsunami Edizioni.

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