Tony Allen, il batterista la cui collaborazione con Fela Kuti ha definito l’afrobeat è morto giovedì sera a 79 anni. Il suo manager Eric Trosser ha confermato la notizia a Rolling Stone, aggiungendo che Allen era stato ricoverato al Georges Pompidou European Hospital di Parigi, dove è morto per un aneurisma. “Era in gran forma”, ha detto Trosser a France 24. “È successo all’improvviso”.
Membro degli Africa 70, la band di Fela Kuti, Allan ha contribuito a rivoluzionare il ruolo del batterista, partecipando a dischi diventati dei classici come Gentleman del 1973 e Expensive Shit del 1975, oltre al capolavoro della leggenda dell’afrobeat Zombie del 1976. Tutti questi album dipendevano dai groove di Allen. “Senza Tony Allen, non ci sarebbe l’afrobeat”, ha detto una volta Fela Kuti. Anche musicisti come Damon Albarn e Brian Eno erano innamorati di lui; Eno l’aveva definito “uno dei grandi musicisti del ventesimo e del ventunesimo secolo”.
“Non ci sono gruppi al livello degli Africa 70 e non c’è batterista al livello di Tony Allen”, ha detto a Rolling Stone Femi Kuti, il figlio di Fela, nel 2017.
Allen era nato a Lagos, in Nigeria, e aveva cominciato a suonare la batteria nella tarda adolescenza. Aveva studiato lo stile di una varietà di batteristi jazz da Art Blakey e Elvin Jones a Philly Joe Jones e Gene Krupa. Aveva spiegatio a The Wire che era stato Max Roach a fargli capire il potenziale del charleston
Anche la scena dei club nigeriani aveva esercitato un’influenza su Allen. “Musica latinoamericana, strumenti a fiato africani, jazz… dovevi essere in grado di suonare di tutto perché nel club te lo chiedevano”, aveva raccontato. Aveva cominciato a suonare con i Cool Cats e poi aveva lavorato per artisti di livello più alto come Victor Olaiya.
Kuti aveva incontrato Allen nel 1964. “La prima cosa che mi ha chiesto era stata, ‘Sei tu quello che dice di essere il miglior batterista di questo Paese?’”, aveva ricordato. “Io ho riso e gli ho risposto: ‘non l’ho mai detto’. Lui mi ha chiesto se sapevo suonare il jazz e gli ho detto sì. Poi mi ha chiesto se sapevo fare gli assoli e anche a quello gli ho detto sì”.
Allen era diventato il batterista del gruppo di Kuti, i Koala Lobitos. La loro musica aveva all’inizio spiazzato gli ascoltatori. “Era uno stile musicale rivoluzionario che arrivava nel Paese per la prima volta”, ha spiegato Allen. “Per la gente era strano”.
Dopo un viaggio negli Stati Uniti nel 1969, Allen e Kuti avevano cominciato a mettere a punto il suono dell’afrobeat. Musica dance suonata da una band e rafforzata da intricate parti di fiati, da chitarre e da linee di basso agitate e iperattive. Come il funk americano, ogni strumento poteva funzionare da motore portando avanti il pezzo, ma l’afrobeat dava più spazio agli assoli e alle invenzioni melodiche che potevano durare anche per 10, 12 o 17 minuti.
Allen era al centro di tutto quanto, forniva la ritmica rafforzando senza mai oscurarla una generazione di musicisti. “Ero abituato a un modo duro e rigido di suonare la batteria”, ha detto nel 2017 Meshell Ndegeocello. “Sentire Tony Allen mi ha aperto un mondo”.
Brian Eno aveva comprato un disco di Kuti in un negozio di Londra negli anni ’70. “Mi piacevano la copertina e il fatto che la band avesse così tanti membri”, ha raccontato a The Vinyl Factory nel 2014. “Mi ha fatto cambiare completamente idea su cosa fosse la musica. Quando ho incontrato per la prima volta i Talking Heads e abbiamo cominciato a ragionare su lavorare insieme, gli ho fatto sentire il disco [l’album Afrodisiac di Kuti del 1973] e gli ho detto: questa è la musica del futuro”.
“Amo la densità e il rapporto tra i musicisti”, ha aggiunto Eno. “Amo l’equilibrio di disciplina e libertà del disco. Non è che ognuno fa quel che gli pare, ma non è nemmeno un orchestra organizzata”.
Allen e Kuti sono stati un duo prolifico per oltre 10 anni. Kuti pubblicava tranquillamente vari dischi ogni anno. Era un musicista infaticabile. “Suonavamo sei ore a notte, quattro giorni alla settimana con Fela”, ha detto Allen a Clash. “Era ciò che la gente voleva”.
Kuti era diventato presto noto per le sue denunce della corruzione e dell’inettitudine de governo. “Diceva cose giuste”, ha detto Allen nel 2016, “ma era troppo diretto ed è per quello che è finito nei casini. C’erano troppi arresti. Se sei un musicista, perché ti fai trattare così?”. Le rappresaglie del governo contro Kuti erano diventate sempre più dure e alla fine Allen nel 1978 aveva deciso di cominciare una carriera solista.
Oltre al suo lavoro con Kuti, Allen era noto anche per le sue collaborazioni con Damon Albarn: Allen era membro dei The Good The Bad and the Queen insieme ad Albarn, a Paul Simonon dei Clash e a Simon Tong dei Verve. Il gruppo ha fatto un paio di dischi, The Good, The Bad and the Queen (2007) e Merrie Land (2018). Allen, Albarn e il bassista dei Red Hot Chili Peppers Flea — con il nome di Rocket Juice & The Moon — hanno fatto un album insieme nel 2012.
“Il più grande batterista della Terra ci ha lasciati,” ha scritto Flea su Instagram. “Che uomo, grande, gentile, dal cuore libero e dal groove inimitabile. Fela Kuti non ha inventato l’afrobeat, Fela e Tony l’hanno partorito insieme. Senza Tony Allen non ci sarebbe l’afrobeat”.
Negli ultimi anni, Allen era tornato alle radici jazz, registrando un album tributo al suo “eroe” Art Blakey e lavorando con Jeff Mills per Tomorrow Comes the Harvest del 2018. Quest’anno aveva pubblicato Rejoice, una collaborazione con il trombettista sudafricano Hugh Masekela, scomparso nel 2018.
“Oggi non abbiamo solo perso il più grande batterista di sempre,” ha detto Mills. “Aveva ritmi e pattern complessi e comunicativi, non ci sono parole per descrivere quello che ha creato. Era di un altro mondo. Era di un altro mondo! Un maestro di musica e di pensiero”.
Molti pensano che suonare la batteria equivalga a scandire un ritmo, ma Allen non la pensava così. “Alcuni batteristi non sanno cosa vuol dire suonare leggero, non lo sanno proprio fare”, aveva detto nel 2016. “Io so che se voglio posso tirare giù il palazzo con la batteria. Ma so come farlo in modo sottile. In modo che suoni come lo scorrere di un fiume”.