All’epoca ce n’eravamo accorti in pochi, visto che i crediti erano vaghi e striminziti, ma Tattoo You dei Rolling Stones, uscito nell’autunno di quarant’anni fa, era tutto meno che il solito disco confezionato per accompagnare un tour. Alla ricerca disperata di un prodotto da lanciare per gli show americani dell’81, la band, guidata da Mick Jagger e dall’ingegnere del suono Chris Kimsey ha aperto gli archivi, ritrovato canzoni scartate o incomplete, aggiunto nuove voci o parti strumenti… et voilà, ecco un disco nuovo di zecca. In un’intervista con Rolling Stone del 1995, Jagger aveva ammesso: «È fatto quasi tutto da vecchie tracce che ho recuperato… il resto della band è stato a malapena coinvolto».
Start Me Up è sempre sembrato un pezzo concepito con in mente gli stadi ed è rimasto nel tempo. Poi c’è la seducente Waiting on a Friend, con quel calore così atipico per gli Stones e il solo di sax di Sonny Rollins, che ha presto raggiunto lo status dei classici del gruppo. Col tempo, però, l’attenzione verso il disco è andata scemando. E ora che è arrivato il quarantesimo anniversario dall’uscita, gli Stones hanno confezionato la solita gigantesca edizione deluxe. Contiene l’album originale, un disco di outtake e altri due di esibizioni live registrate allo stadio di Wembley, a Londra, nel 1982. La domanda è: questo disco-Frankenstein regge la prova del tempo?
Certo. Siamo tutti d’accordo che è l’ultimo grande album degli Stones?
Come ha detto Jagger nell’intervista citata in precedenza, Tattoo You «non ha un’unità, un senso, un luogo o un tempo». È vero, ma dalla botta di Hang Fire al blues di Black Limousine, fino a Waiting on a Friend, non ci sono riempitivi, cosa che non si può dire degli album degli Stones da Undercover in poi (i remix di Bob Clearmountain sono fondamentali per far sembrare quelle session provenienti da un unico flusso di musica). Forse il trucco era proprio scegliere tra gli avanzi.
Se avete nostalgia dei vinili, Tattoo You è il disco che fa per voi.
All’epoca l’album era diviso in due parti: un lato A ben radicato nel rock (un sacco di chitarre e ritmi potenti), e un lato B più soft, pieno di tastiere e midtempo. Quel modo di suddividere gli album è sparito con i CD, per non parlare dello streaming. Tattoo You, però, ci ricorda i tempi in cui ogni lato di un album aveva una sua personalità. La metà con le ballad resta uno dei blocchi di musica più coesi e coerenti mai registrati dagli Stones. Tutti i brani, dall’apertura con Worried About You ai lenti come Tops e No Use in Crying, fino alla spettrale Heaven e alla chiusura con Waiting on a Friend, danno vita a un’unica composizione che sfrutta al meglio il falsetto di Jagger.
Le outtake delle outtake sono meglio di quello che pensate.
Considerando che Tattoo You nasce da session che risalivano al 1972-73, quasi un decennio prima dell’uscita, si potrebbe pensare che gli avanzi fossero poca roba, brani così scadenti da essere scartati per ben due volte. Certo, alcuni pezzi di Lost & Found: Rarities, come Trouble’s a Comin’ e Living in the Heart of Love, sono rock meccanico, anche se la chitarra del primo pezzo (non accreditata) ha un suo fascino.
Poi arriva Come Back to the Ball, un brano lievemente malizioso che ricorda l’era di Sticky Fingers, e il remake di Drift Away di Dobie Gray, direttamente dalle session di It’s Only Rock ’N Roll. Sono due brani affascinanti e, almeno per gli Stones, sobri. Poi possiamo finalmente ascoltare una versione pulita di Fiji Jim, un’outtake di Some Girls. È un pezzo di Keith Richards che gira da tempo nei bootleg, con una perfetta atmosfera decadente anni ’70. Purtroppo, però, non possiamo ascoltare quei pezzi nella versione precedente alle aggiunte. Come suonava Waiting on a Friend quando venne scritta?
Grazie a Dio (o a Jah) non c’è la versione reggae di Start Me Up.
In Lost & Found c’è anche una delle prime take di questo brano, che all’inizio era suonato in stile reggae. La band ha abbandonato quella strada e ha fatto bene. La versione che ascoltiamo qui è molto più fiacca rispetto a quella che conosciamo (Cherry Oh Baby, da Black and Blue, è un esempio migliore di cosa possono fare gli Stones con il reggae).
E a proposito di Black and Blue…
Sappiamo che Slave è nata nelle session di quel disco, probabilmente l’album più centrato sul groove della storia della band. Ha senso: come Hot Stuff, anche Slave è un cumulo di splendidi cambi di accordi ripetuti all’infinito. Ma gli scambi strumentali, che includono il sax di Rollins, dimostrano che gli Stones riuscivano a fare tanto con poco.
Aspetta, ma Paul McCartney non li ha chiamati una “blues cover band”?
Scusate, eravamo distratti.
A giudicare da questo box set, Macca avrebbe dovuto definirli una cover band R&B…
L’edizione deluxe di Tattoo You include anche le registrazioni di alcuni concerti a Wembley. Gli Stones hanno sempre avuto un debole per le cover R&B, e qui suonano Chantilly Lace di Big Bopper, Twenty Flight Rock di Eddie Cochrane, Just My Imagination (Running Away with Me) dei Temptations e Going to a Go Go dei Miracles. Sono tutte cover che non decollano mai, a eccezione della jam strumentale dentro Just My Imagination.
C’è anche Brown Sugar!
Gli Stones l’hanno temporaneamente tolta dalla scaletta, a causa di un testo che di questi tempi suona discutibile, ma qui c’è in tutta la sua gloria. Sfortunatamente, all’epoca il pezzo veniva suonato solo per accontentare i fan e aveva perso l’aria minacciosa che aveva negli anni ’70.
Riascoltate Charlie con orecchie diverse.
Dopo la morte di Watts, due mesi fa, molti di noi hanno recuperato i vecchi dischi degli Stones e ascoltato le sue parti con più attenzione. Tattoo You ci offre un’altra occasione per apprezzarlo sempre di più: il colpo di splash in mezzo a Worried About You, l’introduzione di Hang Fire, il ritmo di Slave, la tecnica di Heaven, gli accenti sottili che aggiungeva ovunque. Vi mancherà ancora di più e finirete per chiedervi cosa succederà al gruppo ora che non c’è più.
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.