È stato il decennio delle compositrici. Artiste affermate hanno pubblicato lavori sorprendenti e nuove voci audaci si sono affacciate sulla scena classico-contemporanea mettendo in discussione l’idea secondo la quale i grandi autori sono invariabilmente maschi. Che sia stato il loro decennio non lo dicono numeri – secondo i dati diffusi da Women in Music, solo il 5% dei concerti di musica classica del 2018 includeva una composizione di una donna –, lo dicono le opere.
Ho selezionato un certo numero di compositrici diciamo così colte – alcune gigantesche, altre quasi esordienti – il cui linguaggio può essere compreso da chi ascolta rock, jazz, folk. Per ognuna ho selezionato un disco pubblicato nel corso del decennio. Non è un elenco degli album più significativi degli anni ’10. È una piccola raccolta di opere notevoli, alcune delle quali – come le recenti Fire in My Mouth e p r i s m – sono semplicemente sconvolgenti.
La domanda è: che ce ne facciamo, noi amanti del rock, di questa musica? Forse è giunto il momento di mettersi definitivamente alle spalle le divisioni fra generi, sforzarsi di comprende altri linguaggi, farsi trasportare dal flusso della musica liquida dove tutto un po’ si mischia. Questi lavori non sono meno strani, spericolati, commoventi e spaventosi dei nostri dischi rock preferiti, e in più hanno un senso estetico raffinato, sono eseguiti in modo stellare, sono emotivamente coinvolgenti.
Non c’è bisogno di frequentare le sale da concerto o i negozi di dischi specializzati per ascoltare queste opere: sono tutte reperibili su Spotify. Può darsi che lo streaming contribuisca a creare analfabeti sonori, come afferma il maestro Carlo Boccadoro. Ma è pur vero che l’accesso immediato rappresenta una possibilità fenomenale per la musica contemporanea e per queste compositrici, specie per quelle meno note: senza effettuare grandi ricerche, interi mondi sonori sono a nostra disposizione. Basta la curiosità. Questi lavori sorprendenti ed elaborati rappresentano un invito a cercare la bellezza in ciò che è inatteso e ignorare per una volta i suggerimenti di algoritmi che tendono a proporci musica affine a quella che già conosciamo e amiamo.
Queste opere testimoniano anche l’urgenza d’affrontare la questione di genere nella musica colta. “Una volta credevo di avere talento creativo, ma ho cambiato idea”, scriveva Clara Schumann quasi duecento anni fa. “Una donna non dovrebbe desiderare di comporre. È mai esistita una donna in grado di farlo?”. Siete a un clic di distanza dalla dimostrazione che aveva torto.
Missy Mazzoli
Autrice formidabile sempre più votata alla scrittura di opere liriche – l’ultima andata in scena è tratta dal film di Lars Von Trier Breaking the Waves – questa “Mozart post-millennial di Brooklyn” (New York Times) ama confrontarsi con temi come sesso, violenza, morte. È fra le altre cose una delle fondatrici del Luna Composition Lab, programma di mentorship indirizzato a giovani compositrici donne, di genere non-binario e non-conforme. Una delle sue cose migliori è Song from the Uproar del 2012, ciclo dedicato alla vita e alla morte di Isabelle Eberhardt, esploratrice vissuta a cavallo fra Ottocento e Novecento che rivendica per sé una vita romanzesca e, sì, da uomo.
Ellen Reid
L’opera di Ellen Reid p r i s m, con libretto di Roxie Perkins, affronta il tema della sopravvivenza alla violenza sessuale e chiude la protagonista e la madre in una stanza dalle pareti trasparenti dove si consuma il loro dramma. La musica è sconvolgente. Ora poetica, ora violentemente scomposta, nell’arco dei tre atti si affranca progressivamente dal concetto di tonalità. L’opera, la prima della compositrice, è stata premiata con un Pulitzer. Reid è co-fondatrice del Luna Lab e cita Caroline Shaw, Julia Wolfe e Du Yun fra le artiste che l’hanno influenzata.
Caroline Shaw
Vi piacciono le armonie dei cantautori West Coast, le acrobazie delle coriste dei Dirty Projectors, gli intrecci vocali dei Queen? Non avete sentito niente. Compositrice, cantante, violinista e produttrice, la newyorchese Caroline Shaw fa parte dei Roomful of Teeth, uno dei gruppi vocali migliori che vi possa capitare d’ascoltare. Cominciate da Partita for 8 Voices che le ha fatto vincere un Pulitzer nel 2013, un’esplorazione delle possibilità delle voci umane. E per comprende la varietà della sua opera, ascoltate il recente Orange, scritto per il quartetto d’archi Attacca.
Julia Wolfe
Formatasi con Michael Gordon (suo marito) e David Lang, Julia Wolfe ha fondato con loro i Bang On a Can, ensemble newyorchese che ha dato una versione diciamo così Downtown e meno accademica della musica contemporanea. Autrice d’immenso talento, nel 2015 ha vinto un Pulitzer per Anthracite Fields che racconta la vita dei minatori nella Pennsylvania di un secolo fa. Nel 2019 è uscito Fire in My Mouth, oratorio per due cori e orchestra commissionato dalla New York Philharmonic. Si racconta con accenti sconvolgenti la vita e della morte delle cento e passa lavoratrici, alcune immigrate dall’Italia, che perirono nel tristemente noto incendio della fabbrica Triangle di New York, nel marzo 1911.
Du Yun
Nata a Shanghai, ma attiva a New York, riassume i tratti della compositrice degli anni ’10 la cui opera si colloca all’intersezione fra esecuzione tradizionale, teatro musicale, performance rock, installazione sonora, arte visiva. La sua opera più famosa è Angel’s Bone del 2017, premiata con un Pulitzer, ma l’album Dinosaur Scar del 2018 con l’International Contemporary Ensemble offre una musicalità più prossima a quella del rock ed è quindi, diciamo così, più accessibile.
Kate Soper
«È un diagramma di Venn che mostra che cosa significa essere intrappolata per un donna», ha scritto la cantante e compositrice Kate Soper di Voices from the Killing Jar. L’opera del 2014 offre i ritratti di sette donne prese dalla letteratura, dalla storia, dal mito. «Queste donne sono accomunate da dolore, silenzio, rabbia. Non sono legate non solo dal conflitto, ma anche dalla costrizione comune. In quanto narratrice, ridò loro voce, restituendo forza e dignità». È difficile e notevole, però su Spotify non c’è, anche il doppio Ipsa Dixit, tour de force filosofico-musicale il cui testo misura la distanza fra pensiero e linguaggio.
Meredith Monk
Una delle grandi compositrici e performer viventi. Classe 1942, ha contribuito allo sviluppo della cosiddetta tecnica vocale estesa. I suoni vocali non-verbali che emette sono straordinariamente espressivi e avventurosi. Lo dimostra l’album del 2016 On Behalf of Nature, una meditazione sulla co-dipendenza fra natura ed esseri umani, e quindi un disco perfetto per questi tempi. «Lavoro nelle fessure, là dove la voce balla, il corpo canta e il teatro diventa cinema», ha detto della sua musica. Non è una definizione magnifica?