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Eddie Vedder sta ancora cercando di sedurre Mrs. Mills

Leggete questo articolo e capirete il perché. Si parla di ‘Earthling’, che uscirà venerdì, il disco di un rocker che non ha più nulla da dimostrare e si riconcilia con tutto. Anche con la grande musica?

Foto: Danny Clinch

È una voce che proviene da chissà dove, un’eco del passato, uno spettro che canta “I’ll be on my way”. Lo si sente alla fine del nuovo album solista di Eddie Vedder e non ha niente d’inquietante. Anzi, trasmette una strana sensazione di pace. È la registrazione della voce di Edward Severson Jr., che il cantante dei Pearl Jam ha saputo essere suo padre biologico troppo tardi, quando l’uomo era morto. È parte integrante del mito fondativo del gruppo di Seattle: arriva da San Diego un cantante sconosciuto e porta con sé un trauma da risolvere e la sua storia di figlio adottivo d’un patrigno violento. È la vicenda che sta al centro di Alive, il primo singolo dei Pearl Jam, la canzone che parlava di una condanna a vita e che i fan a forza di cantare hanno trasformato in un esorcismo collettivo.

Nel nuovo disco di Vedder, che uscirà l’11 febbraio e s’intitola Earthling (“terrestre”, nel senso di abitante del pianeta terra), c’è almeno un altro pezzo che richiama il tema della morte. S’intitola Brother the Cloud ed è dedicata al fratello del cantante Chris morto sei anni fa in un incidente in Africa (che sia dedicata a lui e non a Chris Cornell l’ha scritto la moglie del cantante, Jill). E così il New York Times ha titolato l’intervista su Earthling “Eddie Vedder sta ancora imparando a convivere con la perdita”. A me pare invece che abbia imparato a farlo da tempo, per lo meno in musica. Detto meglio: Earthling sembra il disco in cui Eddie Vedder mette definitivamente alle spalle i drammi personali e artistici. Il disco in cui si riconcilia con tutto. È vero che molti testi mettono in scena lotte di singoli e collettive, ma sembra comunque l’album d’un rocker pacificato, che non deve dimostrare più alcunché, che ha superato da tempo l’idea giovanile, splendida e matta che la musica debba essere sempre intensa, ai limiti dell’autodistruzione di chi la fa.

La voglia alimentata anzitutto da Vedder di stare sempre sul filo, di rischiare, anche di farsi male in nome della purezza è una delle cose che ha reso speciali i primi Pearl Jam. Ora non c’è più. Earthling non ha l’intensità di Into the Wild, la colonna sonora del film sulla vicenda di Christopher McCandless in cui Vedder vedeva riflesso il suo istinto che un tempo lo portava a rifiutare le fortune che la vita gli aveva dato, per mettersi volontariamente in situazioni scomode. Né ha la stranezza anticommerciale di Ukulele Songs, disco minore e però importante nel segnalare all’epoca l’indisponibilità di Vedder a fare un album solista normale, il blockbuster che tutti s’aspettavano dal cantante dei famosissimi Pearl Jam. Ora che per lui il tempo dei blockbuster è passato quel disco normale l’ha fatto e ha tutta l’aria d’essere sia un addio al trentenne che cantava che “tutto ciò che è sacro deriva dalla giovinezza”, sia un tentativo di inseguire una volta ancora, con altri mezzi, il buono che c’è nella musica. È un altro tipo di condanna a vita, quella che spetta ai musicisti che sopravvivono e devono fare i conti con le energie che calano, la creatività che s’appanna, i valori disallineati rispetto al contemporaneo. Earthling è il disco di uno che sta ancora inseguendo la musica. Ci mette le mani sopra, a volte la fa sua, a volte gli sfugge.

Affiancato soprattutto da Andrew Watt e Josh Klinghoffer, con cui ha scritto tutte le canzoni (ci sono anche altri autori, come si usa nel pop oggigiorno), da una band che comprende anche Chad Smith dei Red Hot Chili Peppers e da una decina scarsa d’altri ospiti tra cui le figlie Harper e Olivia, Vedder fa quello che sa fare, mettendoci questa volta un pizzico di pop in più: ballate elettro-acustiche molto americane che lo avvicinano alla tradizione da cui in parte discende il suo stile, pezzoni rock superati dal tempo, qualche chitarra effettata più alla Muse che alla Pearl Jam, alcuni suoni probabilmente un po’ troppo pop per i gusti di certi vecchi fan. E del resto Watt adorerà pure il gruppo, ma ha un’età e una cultura musicale diverse, è nato due giorni prima del debutto dal vivo dei Pearl Jam (allora Mookie Blaylock), ha lavorato con Justin Bieber, Post Malone, Camila Cabello, Miley Cyrus, è tutto tranne che un purista rock.

Vedder spiega d’aver messo in fila le canzoni dell’album come fa quando deve compilare la scaletta d’un concerto. Inizia con Invincible, una delle vaghe teorie del tutto che l’uomo ama, una fotografia sfocata di noi terresti insignificanti che però ci sentiamo parte di qualcosa, un pezzo in cui s’invoca il potere dell’amore e che sembra la sigla dell’album di EV (“Echo Victor” dice nel testo, citando le proprie iniziali nell’alfabetico fonetico internazionale). Continua con storie di coppie, col rimpianto del fratello perduto, con un pezzo intitolato Fallout Today in cui assume un punto di vista femminile aggiungendo cori alla Mike Mills. Canta spesso di passato e futuro, piazza un paio di canzoni che un tempo i Pearl Jam avrebbero relegato a lati B. E nel finale, vale a dire i bis nell’ottica della set list del concerto, sistema le canzoni più immediate, quelle con gli ospiti. Earthling ha anche una sua circolarità. Si torna infine alle parole con cui si è iniziato, nel pezzo in cui è presenta la voce del padre del cantante: “Invincibili quando amiamo”.

Verso il fondo di questa struttura circolare che trasmette un senso di pacificazione ci sono i pezzi in cui Vedder mima lo stile altrui: Long Way sembra una canzone di Tom Petty, e dentro difatti c’è l’Hammond di Benmont Tench; Try è fortissima grazie soprattutto all’armonica di Stevie Wonder; in Picture c’è più Elton John che Vedder; Mrs. Mills sembra un pezzo dei Beatles (la reference sembrano i pezzi di McCartney come Penny Lane e un motivo c’è) e non a caso alla batteria e alle percussioni c’è Ringo Starr. Mi chiedo però se questa versione Zelig (nel senso di Woody Allen) sia il meglio che si possa chiedere, che possiamo avere da Eddie Vedder nel 2022. In certi passaggi Earthling ha una piacevolezza che può deludere chi è in cerca di grandi album e non di semplici canzoni pop-rock. È un bel disco, ma non c’è battaglia, non c’è tensione.

Sarà un album pieno di personaggi, ma alla fine il ritratto migliore è quello d’uno strumento musicale. È uno Steinway & Sons presente negli studi di Abbey Road. Lo chiamano Mrs. Mills, prende nome dalla pianista inglese Gladys Mills che negli anni ’60 e ’70 incideva pezzi di music hall e cabaret pop per la Parlophone. Era lontana dai cliché rock’n’roll, ma condivideva lo studio coi Beatles e per un certo periodo il manager coi Rolling Stones. Nel testo di Mrs. Mills Vedder fa una cosa che confonde chi ascolta: canta lo strumento come se fosse una persona, rendendo difficile distinguere il pianoforte dalla donna, la sala di registrazione dal night club, la musica dal sesso. Canta che tanti hanno messo le mani su quella tastiera, compreso Paul McCartney in Lady Madonna e Penny Lane. Nessuno però è mai riuscito a possederla. E forse Earthling coi suoi slanci e i suoi limiti è proprio questo: un disco non solo su noi terresti e sulla nostre lotte quotidiane, non solo sul dialogo fra passato e presente, non solo sui concetti di amore e pacificazione, ma anche sul carattere sfuggente della grande musica.

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