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Enrico Ruggeri: «Sfido la De Filippi portando Battisti, Dalla e De André in tv»

Il cantautore condurrà 'Una vita da cantare': tre puntate su Rai Uno il sabato sera dedicate a Lucio Dalla, Fabrizio De André e Lucio Battisti. L’ennesima celebrazione nostalgica sulla canzone d’autore o qualcosa di diverso?

Foto: Angelo Trani

Che gli italiani abbiano poca memoria storica è un dato certo. Se si parla di musica, però, sembra che tutti amino il passato in un continuo viaggio nel bel tempo che fu. Nostalgia, revival, overdose di tributi e cover non si risparmiano. Viviamo ormai in un’epoca di perenne cover, un vero e proprio ri-cover-o di intossicati cronici dei tempi andati. Tanta polvere nell’aria, forse troppa.

Ed ecco che dal 16 novembre Enrico Ruggeri conduce Una vita da cantare, tre puntate al sabato sera in prima serata su Rai Uno dedicate a Fabrizio De André, Lucio Dalla e Lucio Battisti. È l’ennesima celebrazione nostalgica sulla canzone d’autore italiana o qualcosa di diverso? Enrico Ruggeri ne parla in anteprima con Rolling Stone.

Nel 1983 cantavi Polvere il cui testo dice «Troppi ricordi, è meglio essere sordi o forse è già tardi». Praticamente stavi anticipando il fenomeno della nostalgia, della celebrazione della classica canzone d’autore, che oggi si ripete quotidianamente…
Sì, è vero, ti ringrazio, ma è un fenomeno ampiamente trattato precedentemente da tanti altri cantautori e artisti, scrittori e poeti. Il tema della nostalgia o della melanconia è un elemento importante nella canzone. Cito una frase di Bruno Lauzi a proposito: «le mie canzoni sono tristi perché sono allegro ed esco con gli amici». In realtà molti cantautori sono più gioviali rispetto alle canzoni che scrivono.

Il testo di Polvere però rispecchia molto la situazione musicale attuale. Da una parte c’è il fenomeno della canzone usa e getta, prodotta e consumata in tempo breve, quasi concepita per non durare a lungo, dall’altra c’è un continuo omaggio alla canzone d’autore di cinquant’anni fa. Anche tu, dopo Musicultura, torni con Una vita da cantare.
Credo sia un approfondimento inevitabile. Nel dopoguerra l’Italia ha fatto poche cose buone, una di queste è stata dar vita a più generazioni di cantautori che hanno raccontato l’evoluzione del Paese, i costumi, gli stili di vita, i cambiamenti, i conflitti sociali, in qualche modo gemellandosi ai poeti e agli scrittori. Nel mio programma racconterò De André, Dalla e Battisti. Per i primi due mi concentrerò su di loro, per Battisti invece vorrei raccontare noi, perché Battisti ha una biografia piuttosto limitata rispetto agli altri e direi anche molto protetta, però ognuno di noi ne ha metabolizzato le canzoni in modo estremamente soggettivo. Dai falò in spiaggia alla radio, forse non ci ricordiamo nemmeno la prima volta che abbiamo ascoltato Acqua azzurra acqua chiara, eppure la sappiamo a memoria. De André e Dalla sono invece due icone della canzone d’autore legate a due percorsi più precisi, due città, due scuole, due mondi diversi, sono due grandi rivoluzionari. Quindi in primis raccontare la loro musica. Perché un artista va giudicato per quello che fa e produce, non per altro.

Recentemente è stata fatta un’inchiesta su alcuni universitari per commentare la pubblicazione digitale di una parte del repertorio di Lucio Battisti. Il risultato è stato sconfortante: la stragrande maggioranza non ritiene che le sue canzoni possano interessare le nuove generazioni, né che possano essere adatte alla vendita digitale.
Quando smetteranno di essere bimbiminkia cresceranno. Eravamo così anche noi, ma se Battisti fosse ancora vivo gli universitari di oggi andrebbero a sentirlo, non ho dubbi. Ai miei concerti gli universitari ci vengono. E poi, se non ci fosse stato Battisti, non ci sarebbero neanche i vari cantautori indie di oggi. Se a questi ragazzi chiedessero i nomi dei loro artisti preferiti, tirerebbero fuori nomi di gente che senza Battisti non avrebbero neanche imparato ad accordare la chitarra.

Sei un artista e un autore molto prolifico. Negli ultimi anni hai scritto vari romanzi, alcuni in stile noir, hai condotto programmi radiofonici e televisivi. Solo voglia di fare esperienze nuove o dietro c’è un disegno artistico preciso?
Non c’è nessun disegno. Semplicemente mi piace raccontare storie. A un certo punto della mia vita ho capito che certi racconti non si riescono a comprimere nella struttura di una canzone, hanno bisogno di altri spazi. Così, con molta umiltà, ho cominciato a scrivere racconti e poi romanzi. Quando scrivi una canzone sai già che deve finire in un tempo obbligato, mentre quando lavori a un romanzo non sai nemmeno quante pagine scriverai, e quando intuisci la fine ne sei quasi dispiaciuto perché hai la consapevolezza che stai abbandonando i personaggi che hai creato. In televisione devi invece tener conto di una serie enorme di fattori, soprattutto se vai in onda in prima serata al sabato sera, dalle tempistiche del parlato alla scelta delle canzoni, anche se parlando di De André sei conscio che stai facendo una piccola rivoluzione rispetto alla concorrenza, dato che dall’altra parte c’è la De Filippi.

Come dire, anche nella piccola rivoluzione, meglio fare La canzone di Marinella che Il bombarolo, giusto?
No, non è detto, dipende dal racconto nel suo insieme. Cerco di entrare molto nel concept, d’accordo con gli autori, perché mi ritengo più un narratore che semplice conduttore. Ricordo ancora quando nel 2006 il direttore di Italia Uno, Luca Tiraboschi, mi propose di fare tv. Gli risposi che non credevo di essere all’altezza, ma lui mi disse: «Tu devi fare in televisione semplicemente quello che già fai in teatro o in concerto».

Altri tempi, oggi se usi la parola teatro in televisione ti mandano in onda a tarda notte. Se va bene.
Anche con la musica non è facile. Quando dico che nel programma sarà tutto live senza l’uso di “sequenze” c’è qualcuno che fa finta di non crederci, invece sarà tutto rigorosamente dal vivo. E se il programma funzionerà andremo avanti con altre puntate. Non sono preoccupato del target, giovani o meno giovani… quando vedo nei talent show, ragazzi di 20 anni che cantano Dalla o De André mi fa piacere. Non penso assolutamente che stiano invecchiando e che dovrebbero cantare solo le canzoni attuali, altrimenti dovremmo pensare che un ragazzo che suona Mozart al pianoforte sia vecchio di 300 anni.

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