Essere (e diventare) Mahmood | Rolling Stone Italia
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Essere (e diventare) Mahmood

Arriva al cinema per tre giorni (17, 18 e 19 ottobre) il documentario sulla vita del cantante: gli esordi, la famiglia, le difficoltà. La storia di un ragazzo della periferia di Milano che ha rivoluzionato il pop italiano

Essere (e diventare) Mahmood

La scena che segue resterà nella storia di Sanremo. È il dicembre 2018 e il vincitore di Sanremo Giovani, che sta per essere proclamato, accederà di diritto alla categoria big del Festival 2019. Sul palco ci sono tutti i concorrenti schierati, tra cui uno stralunato Mahmood: regge tra le mani il premio della critica, che si è appena meritatamente guadagnato con Gioventù bruciata. Pochi secondi dopo, Fabio Rovazzi annuncia che Mahmood è anche il vincitore assoluto della serata, e che gareggerà tra i big a febbraio. A quel punto il nostro eroe sgrana ancora di più gli occhi, si guarda intorno come a dire «Ma chi, io?», avanza barcollante di un passo e, mentre Pippo Baudo si complimenta con lui, si lascia andare a una muta esclamazione che il microfono non coglie, ma la telecamera sì, perché il labiale è perfettamente leggibile: «Porca troia!». Flash forward a qualche mese dopo: la sua Soldi vincerà il Festival di Sanremo, si classificherà seconda all’Eurovision Song Contest, verrà certificata quadruplo platino e diventerà una delle hit radiofoniche più suonate dell’anno, in Italia e non solo.

Nel documentario che porta il suo nome – diretto da Giorgio Testi e scritto da Virginia W. Ricci, sarà al cinema da oggi per i prossimi tre giorni – Mahmood spiega meglio ciò che ha generato in lui cotanto stupore: tradizionalmente il premio della critica è percepito come una sorta di “premio di consolazione” da assegnare a chi non vincerà, quindi era ormai convinto che tutto fosse perduto. Ed essendo che era già la sua seconda volta a Sanremo Giovani (la prima era stata nel 2016 con Dimentica: era approdato su quel palco attraverso Area Sanremo, il concorso che garantisce la possibilità di partecipare al Festival anche ad artisti senza produzione o etichetta), temeva che una nuova sconfitta significasse la fine della sua carriera. Alle delusioni ci era abituato: nel 2012 aveva partecipato anche a X Factor ed era stato scartato, ripescato e poi eliminato di nuovo, in quanto considerato dai giudici non ancora pronto per il mercato discografico. Ma più in generale, racconta sua mamma nel film, le sue espressioni e la sua mimica facciale non sono una posa: ogni volta che gli capita qualcosa di bello, ogni volta che qualcuno riconosce il suo talento, è genuinamente stupito. Quasi basito, a tratti. Ed è probabile che spontaneità e candore siano proprio il motivo per cui è così facile riconoscersi in lui e nella sua musica: a chi di noi underdog non è capitato di cascare dal pero di fronte al miraggio di una gioia ogni tanto?


Il documentario ripercorre la vita di Mahmood, fin dall’infanzia in una famiglia a tratti enorme e a tratti minuscola. Suo padre, egiziano, scompare dalla scena quando è ancora un bambino, lasciando che sia solo la madre a crescerlo, con tutte le difficoltà economiche e pratiche che una giovane madre single emigrata dalla Sardegna può avere in una metropoli come Milano (Soldi parla proprio della relazione complicata con il genitore assente: «Quella scena è uno degli ultimi ricordi che ho di mio padre, mi ha fatto dubitare che ci fosse dell’interesse sincero nei miei confronti», dice). Per fortuna, però, la famiglia materna è grande e accogliente, tredici tra fratelli e sorelle e decine di cugini e cugine, e anche gli amici di vecchia data sono talmente numerosi che sentirsi soli non è una possibilità. Le persone che hanno fatto parte della sua vita intervengono spesso e con grande entusiasmo, rendendo il film un ottimo scorcio sulla sua quotidianità e sul percorso che ha intrapreso fin qui, ma non svelando grandi verità nascoste o retroscena inediti: fedele alla sua indole riservata, Mahmood preferisce che a parlare sia la musica («I suoi malesseri non li racconta, io li ho scoperti tutti dalle canzoni», dice sua mamma). Le interviste a colleghi, musicisti e amici e i vari contributi d’archivio sono intervallati dalle immagini delle sue esibizioni live, in particolare quelle dell’ultimo tour europeo, e vederlo sul palco spiega più di mille parole. Appena sale in scena e si ritrova davanti a un pubblico, si rianima: il ragazzo timido e introverso sparisce, per lasciare spazio all’artista eclettico e trascinante che ha saputo andare oltre gli stereotipi del pop melodico italiano, convincendo anche i più testardamente ottusi che è giusto e normale che due ragazzi cantino d’amore e di brividi guardandosi negli occhi, perfino nella tradizionalista cornice dell’Ariston.

La gavetta di Mahmood, nonostante la sua giovane età, è stata lunga e tortuosa: le scuole di musica, i concorsi per nuovi talenti, X Factor, i primi passi come autore di canzoni altrui… Prima che arrivasse a firmare un contratto discografico e a capire che sarebbe riuscito a mantenersi con la musica – perché giustamente, per chi non ha mai navigato nell’oro, prima dei sogni di gloria c’è il pragmatismo – ce n’è voluto di tempo. Per non parlare di tutto il tempo che ci è voluto per trasformarsi nell’artista dei record, che ha vinto ben due Festival di Sanremo prima dei trent’anni. Ogni delusione o momento complicato, però, ha contribuito a farlo crescere e a dargli nuova linfa, tanto che tutti gli intervistati assicurano che oggi il loro amico / parente / collega è ancora più empatico di quanto già non fosse in precedenza. È soprattutto questo che emerge dal documentario: la sua grande umanità e semplicità, prima ancora della creatività. Tratti caratteriali che gli hanno permesso di costruirsi un’estetica e un immaginario, ma non un personaggio, perché per Mahmood non vale la pena di nascondere la persona che c’è dietro.

Il trailer:

MAHMOOD: 17, 18, 19 ottobre al cinema.

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