Florian Schneider, quello di Ralf & Florian, ricordate? Il componente più alto dei Kraftwerk, quello con i glaciali occhi azzurri e il viso che bucava lo schermo. Nella seconda metà degli anni ’70 era il membro del gruppo che abbigliato da robot ne usciva in maniera più convincente. Un manichino degli anni ’30 prossimi venturi. Florian Schneider è morto a 73 anni. Insieme a Ralf Hütter aveva fondato i Kraftwerk, ma dal 2008 aveva abbandonato la band (per stanchezza più che per dissidi) che è tuttora nella salde mani dell’ex socio.
Parlare di Schneider al di fuori del suo ruolo nel gruppo è pressoché impossibile, perché i Kraftwerk sono stati la sua vita. Il connubio con Hütter, conosciuto al conservatorio di Düsseldorf, ha trasformato completamente l’idea di musica elettronica. Prima di loro c’erano bellissime masturbazioni al limite dell’inascoltabile, portate avanti da grandi maestri della musica contemporanea (Stockhausen su tutti), e poi le grandi sinfonie interstellari di Tangerine Dream, Klaus Schulze e compagnia Kosmike. Ecco, i Kraftwerk trasformano l’elettronica in qualcosa di più terreno, più fruibile anche da parte di chi proprio dello spazio se ne frega. In poche parole, la rendono pop.
E dire che anche loro erano partiti come ensemble dedito alla manipolazione rumoristica più estrema nella loro officina sonora Kling Klang Studio. In questa prima fase Florian suona lo strumento che ha ha studiato fin da ragazzino: il flauto traverso. Occasionalmente si dedica al violino e alle percussioni, ma è delle nuove macchine elettroniche, i sintetizzatori, che lui e Ralf sono innamorati. Specie Florian. Hütter arriva infatti a definire il suo compare un feticista del suono per l’accanimento e l’impegno che questi infonde nello studio delle capacità di quei marchingegni. Riesce addirittura a combinare il suo amato flauto a un sintetizzatore trasformandolo in E-Flöte (Elektronische Flöte).
I marchingegni a un certo punto spalancano ai due nuove strade, anzi delle vere e proprie autostrade. Dal 1974, con Autobahn, Ralf e Florian (insieme agli aggiunti Wolfgang Flür e Klaus Roeder) inventano di sana pianta la via pop dell’elettronica, con drum machine morbide e sintetizzatori zuccherosi a sfrecciare su corsie sonore che si faranno via via più futuribili.
The Man Machine del 1978 è il loro capolavoro, qui la fusione tra uomo e macchina è completa. Ma non sarà mai così distaccata come i quattro vestiti da manichini-robot vorrebbero far credere. Si ascolti l’indimenticabile singolo The Robot: ritmica minimale ma irresistibile, vocoder a tutto spiano e un tema melodico 3 note + 4 da applausi. L’elettronica tedesca finisce in discoteca, un’elettronica ancora più marcata di quella di Giorgio Moroder che flirta con la disco americana. I Kraftwerk invece non rinunciano a un’oncia del loro europeismo (ne canteranno le lodi in Trans-Europe Express), insistendo e radicalizzando un suono solo loro, senza intromissioni.
Così facendo finiranno per ammaliare un pressoché numero infinito di artisti. Il primo è David Bowie, che concepisce la sua trilogia berlinese sulla spinta dell’amore per certa musica germanica. Bowie stima a tal punto i Kraftwerk da dedicare proprio a Florian Schneider una delle oasi ambient del suo Heroes (V2- Schneider). Partendo da qui la la lista di coloro che hanno subito l’influenza dei tedeschi si fa interminabile, da alfieri del post punk come Joy Division, New Order, i primi Simple Minds, Gary Numan, Depeche Mode, OMD per spingerci ai Daft Punk, Aphex Twin, Björk, Afrika Bambaataa, Kanye West, T-Pain. Addirittura Madonna si rifà ai Kraftwerk per la struttura ritmica della sua Music.
In poche parole, i Kraftwerk sono la band più influente del mondo, ancora più dei Beatles. Ognuno degli artisti citati (e moltissimi altri) deve tantissimo al lavoro di Florian Schneider e Ralf Hütter, tutta la musica moderna deve qualcosa a questo distinto signore dagli occhi di ghiaccio che da oggi ci immagineremo libero di scorrazzare in un’infinita autobahn piena zeppa di sintetizzatori.