Georgia Anne Muldrow è una galassia a sé stante: ogni album un pianeta, ogni beat una stella, ogni collaborazione una cometa. Il suo ultimo album, VWETO III, è l’ennesima prova di un’artista unica e inclassificabile: cantante, produttrice, musicista a tutto tondo. Vweto significa “gravità” in kikongo, una delle lingue più parlate nei due Congo; se lo spazio, l’universo, sembra essere una costante nella descrizione della sua arte è perché si tratta di uno dei pochi termini di paragone utilizzabili per descrivere l’eterogeneità e la vastità della sua produzione musicale, così come la sua profondità concettuale.
La Muldrow è sempre arrivata in anticipo. Nel 2006 Olesi: Fragments of an Earth, il suo debutto fatto di soul, hip hop, funk e produzioni creative, indicò una nuova strada per la commistione tra generi afroamericani – nello specifico per il nu soul, dopo i fasti degli anni ’90. Con quest’album poi fu la prima donna ad essere scritturata dalla Stones Throw Records. Nel 2008, all’alba dell’era social, popolarizza il modo di dire “stay woke” usando la frase in un brano di Erykah Badu, Master Teacher. Intorno agli anni ’10 si imbarca in un progetto esplicitamente jazz, Jyoiti (nome datole da bambina dall’amica di famiglia Alice Coltrane), anticipando di alcuni anni la nuova centralità che il genere ha acquisito a partire dal 2015 in poi grazie a Kendrick Lamar, Kamasi Washington e oggi la scena nu jazz londinese. Nel mentre collabora con il gotha della musica contemporanea (Madlib, Mos Def, Robert Glasper e tanti altri) e produce album a un ritmo veramente forsennato (21 in 15 anni di carriera), spesso facendo tutto completamente da sola. Nel 2018, con lo splendido Overload, è di nuovo la prima donna su un’etichetta fondamentale per la scena contemporanea, la Brainfeeder di Flying Lotus. Attraverso le sue innumerevoli incarnazioni artistiche a fare da linea rossa c’è poi sempre stato l’elemento afrocentrico, la tensione verso il recupero di un’identità africana diasporica ribadita tanto in musica quanto a parole, tra interviste e interventi appassionati.
Cresciuta a Los Angeles con una madre cantante dall’approccio sperimentale (tra gli altri collaboratrice di Sun Ra) e un padre chitarrista jazz famoso per il sodalizio con il sassofonista Eddie Harris, la musica è sempre stato il linguaggio naturale di Georgia Anne. Come detto dal bassista Victor Wooten, anche lui nato in una famiglia composta da musicisti «mi sono reso conto che nessuno mi ha mai veramente “insegnato” la musica, motivo per cui dico che è un linguaggio. Se pensi a come hai imparato a parlare, ti rendi conto che non ti è stato insegnato. Le persone ti hanno semplicemente parlato. […] Quando ero giovane imparavo l’inglese e la musica allo stesso tempo e allo stesso modo».
Anche Muldrow ha imparato a parlare e suonare allo stesso tempo e allo stesso modo, al punto che quando ha provato a studiare canto in una delle università più prestigiose di New York se ne è andata poco dopo. «Non mi sono piaciute le “scatole” in cui inserivano le persone», ha detto al New York Times. «La ricerca del proprio potere interiore, della capacità di appartenersi e del proprio linguaggio: questo è ciò che porta avanti la musica».
È forse questo approccio così naturale, questa apparente facilità e assenza di sforzo che rende così speciale la musica della Muldrow. Quando canta, un momento è immersa in un vocalismo soul muscolare da brividi, un secondo dopo la sua voce ci sta sussurrando le parole come se fossimo due amici confidenti davanti ad una tazza di tè; nel mezzo un volo libero come quello di uno strumento a fiato jazz. Prima viaggiamo insieme su una melodia dolce e orecchiabile, poi quella melodia viene plasmata dalla sua voce spezzandosi, interrompendosi, arrotolandosi su se stessa: una specie di doppio carpiato canoro imprevedibile, un remix in tempo reale, la capacità di plasmare il tempo a proprio piacimento. Una qualità unica, per cui viene da associarla a Nina Simone, anche per l’attenzione costante e puntuale a tematiche socio-politiche.
La sua musica è sempre stata fuori dagli schemi, pur appoggiandosi a questi. In un certo senso, soprattutto per la trilogia VWETO, e in particolare quest’ultimo capitolo (interamente prodotto, suonato, mixato e masterizzato da lei), siamo vicini all’approccio di J Dilla. Due artisti che in qualche modo sono riusciti ad umanizzare dei macchinari (drum machine, synth, sampler) costruiti per la perfezione tecnica, timbrica e ritmica. Più che fondersi con le macchine e lasciarsi contaminare da esse anche nell’apparato estetico e teorico (come insomma va di moda da qualche anno, tra PC music, elettronica HD, ecc) Muldrow è andata nella direzione opposta: ha infuso nei circuiti una scintilla umana, l’incertezza, il concetto di errore. I suoi beat sono spesso slabbrati, confusi, zoppicanti. Sono terribilmente eccitanti e caotici, restituiscono una tridimensionalità inebriante. La natura prevalentemente strumentale dei brani poi, contiene un implicito invito alla collaborazione. Venite e fate di questi beat ciò che volete: innalzateli, rompeteli, arricchiteli, dilaniateli. Venite a giocare, venite a liberarvi.
La sua poliedricità e soprattutto l’essere sempre leggermente in anticipo l’hanno resa un’artista difficile da incasellare in un genere, difficile da “vendere”. Ma è proprio questa capacità che, riflettendosi nella sua musica, la rende unica e indispensabile. Le batterie di J Dilla non erano mai perfettamente sull’uno della battuta: oscillavano sempre, quasi sempre anticipando e creando un senso di straniamento funky irresistibile. Ecco, questa è Georgia Anne Muldrow. Per altro non si tratta solo di talento innato. Lei è bravissima a farci percepire tutti i suoi sforzi come magiche manifestazioni naturali della sua personalità, ma alla base c’è un’etica del lavoro con pochi eguali. Un’etica workaholic non facile da gestire senza andare in burn out, dovuta alle sfide che comporta essere una donna nera nell’ambiente musicale. «Le aspettative verso chi ha il mio aspetto sono così alte, anche da parte delle persone nella mia stessa comunità, che devo essere una dea con sei braccia per guadagnarmi da vivere. E ringrazio Dio di essermi trasformata nella dea a sei braccia».
Abbiamo sempre bisogno di artisti come la Muldrow: un po’ fuori fase con i tempi, creativi, tenaci, senza compromessi. Sono questi artisti che, seppur colpevolmente poco celebrati, mantengono vive intere scene musicali, le modellano e spingono in avanti. Forniscono le ispirazioni giuste ai loro colleghi, prendendo contemporaneamente il polso del pubblico. Si assumono rischi che altri non si sognerebbero: tanto musicalmente, quanto lasciando che la propria musica si impregni con sincerità di significati politici che sembrano imprescindibili oggi più che mai.