Glenn Danzig sa che a volte i fan lo chiamano l’Elvis Malvagio. «Mi sta bene», dice ridendo. «È una gran cosa che qualcuno accosti il mio nome a quello di Elvis. Non c’è niente di meglio».
L’amore di Danzig per il Re è ben documentato, visto che fa cover di Elvis dai primi tempi del suo pionieristico gruppo punk, i Misfits. Ha incluso una versione metallica di Trouble (dal disco di Elvis King Creole) nell’EP del 1993 Thrall: Demonsweatlive e un’altra versione ugualmente heavy di Let Yourself Go nel suo più recente disco di cover Skeletons.
Ora Danzig – che di recente ha lanciato il suo primo film horror, Verotika — ha deciso di dedicare un intero disco al Re. Danzig Sings Elvis, la cui gestazione è stata parecchio lunga, uscirà il 24 aprile e conterrà cover di brani celebri di Elvis come Always on My Mind, Baby Let’s Play House e persino un pezzo lontano da Danzig come Pocket Full of Rainbows. E la cosa più sorprendente è che le sue versioni sono incredibilmente fedeli agli originali.
La sua cover di One Night – il grande successo rockabilly di Presley – mantiene tutta la passione lussuriosa dell’originale con la chitarra più delicata e il riverbero più glorioso che Danzig potesse trovare. Non scivola mai nel territorio metal, è semplicemente un omaggio rispettoso.
L’unica cosa che Danzig – che sta organizzando alcuni concerti a tema Elvis a Los Angeles e San Francisco per la fine dell’anno – non fa è non riprendere i cori zuccherosi dei Jordanaires come quelli di Love Me. «È un omaggio, ma devo mantenere la mia identità», ha detto a Rolling Stone.
Quando sei diventato fan di Elvis?
Quand’ero ragazzo, tutti conoscevano Elvis. Io mi ci sono appassionato perché odiavo andare a scuola, quindi bigiavo un sacco per stare a casa e guardare vecchi film. Un giorno guardando Jailhouse Rock ho pensato, “wow”. Alla fine del film mi sono detto: quel rizio è un gran figo. Questo è quello che voglio fare da grande (ride).
La mia carriera somiglia parecchio a quella del protagonista di quel film, perché nessuno credeva ai dischi dei Misfits, io insistevo e la gente mi diceva che erano rumore e spazzatura. Quindi alla fine li ho dovuti pubblicare da solo. La gente li ha sentiti e ha iniizato a copiarmi. Prima ti dicono che non gli interessa, poi ti copiano. È una storia comune. Sono sicuro che è successo a un sacco di gente. Per me è andata così.
Hai mai visto Elvis dal vivo?
No, mai. Mi ricordo quando ha suonato per la prima volta al Madison Square Garden all’inizio degli anni ’70, io ero un ragazzino squattrinato. Il concerto era sold out già da un sacco di tempo. Ero a una fiera locale e un amico mi ha detto, “c’è un mio amico ha comprato i biglietti per Elvis e non ci può andare, quindi li vende”. E io, “ah, io vorrei un sacco andare”. E lui mi fa, “li vende a 25 dollari l’uno”. All’epoca 25 dollari erano un sacco di soldi. I biglietti per un concerto in media costavano tipo 4, 5 o 6 dollari. Mi dice che li deve vendere per forza entro una certa data e io comincio a mettere da parte i soldi. Una settimana dopo lo chiamo e gli dico che ho i soldi e lui mi spiega che li ha venduti un paio di giorni prima. Fine della storia.
Qual è stata la prima canzone di Elvis che hai provato a cantare?
Probabilmente I Can’t Help Falling in Love, o All Shook Up, o Hound Dog.
In questo disco hai evitato di fare cover delle hit più famose di Elvis, come Are You Lonesome Tonight? o Suspicious Minds. Come mai?
Sì, mi sono tenuto lontano dai quei pezzi. Diciamo che ho fatto solo quelle che mi andava di fare.
Elvis è stata una fonte di ispirazione come cantante?
Certo. Non ho quel tipo di voce, per cui mi sono ispirato di più al suo stile, alla sua roba più blues. Sono sempre stato molto esplicito riguardo alle mie influenze, come Elvis o Howlin’ Wolf, Muddy Waters, Willie Dixon, cose così. Sì, le voci profonde sono sempre state la mia cosa.
Qual è stata la prima cover di Elvis che hai fatto con i Danzig?
Abbiamo cominciato con Trouble, con i Samhain (la sua band dopo i Misfits e prima dei Danzig). Ma mi ricordo che anche ai tempi dei Misfits, ogni tanto facevamo delle cover di Elvis. Una volta abbiamo suonato live Got a Lot o’ Livin’ to Do e Blue Christmas. Abbiamo cominciato a farle nello stile di Elvis e abbiamo finito per farle in versione punk. Sono sicuro che Jerry (Only, il bassista dei Misfits) è ancora un grande fan di Elvis.
Con i Danzig, abbiamo fatto One Night, sia normale che in versione acustica. E ovviamente abbiamo fatto Trouble. Ma per questo disco volevo un approccio diverso, e così è stato.
Qual è la cosa che spicca davvero di One Night secondo te?
È un gran pezzo. Ce ne sono un sacco di versioni che ho fatto in studio, con diverse tracce vocali. A volte l’ho fatta più soft, a volte più dura. A volte a metà. Quella che ho deciso di includere è quella che mi piace di più.
Quel pezzo mi fa sempre pensare al ’68 Comeback Special. Quello show ti ha influenzato?
Sì, l’ho visto da bambino e ho pensato che era una figata. Praticamente lui non aveva fatto mai nessun concerto. È tornato dopo essere stato nell’esercito e faceva solo film. E c’era tutta questa storia della British Invasion, dei mod e degli hippy. Penso che a quel tempo si chiedesse quale fosse il suo posto e alla fine ha deciso di dire al mondo: “sapete che c’è? Sono Elvis. Il mio posto è qui”.
Hai lavorato a questo disco per diversi anni. Com’è stata la genesi?
Quello che è successo è che mentre le facevo lavoravo a un altro milione di cose. Ad altri dischi. Ho iniziato pensando, “faccio Danzig Sings Elvis, con quattro o cinque pezzi”. E alla fine mentre facevo altri dischi, nei tempi morti, dicevo a Tommy (Victor, il chitarrista), “facciamo un altro pezzo di Elvis”. Alla fine ne è uscito un disco intero.
Gli arrangiamenti del disco sono abbastanza fedeli agli originali. È stato rilassante fare qualcosa di più leggero di un disco dei Danzig?
Sì. Ci sono tracce che gli ascoltatori non penserebbero mai di trovare dentro un disco come Danzig Sings Elvis. Penso che la gente sarà piacevolmente sorpresa (ride).
Non ti preoccupa cosa potranno pensare i fan sentendoti cantare Pocket Full of Rainbows?
No. Quello è un gran pezzo. Elvis viene poco considerato per le colonne sonore che ha fatto, ma alcune contengono dei gran pezzi, come Pockets Full of Rainbows.
Quali di queste canzoni hanno un significato particolare per te?
Tutte significano qualcosa. La cosa difficile è stato scegliere quali canzoni fare perché nel repertorio di Elvis ce ne sono un sacco molto belle. Se pensi al breve periodo di tempo in cui ha registrato e alla quantità di dischi che ha fatto, è impressionante. Faceva qualcosa come tre o quattro dischi l’anno, pazzesco. Quale altro artista fa tre o quattro dischi all’anno? (Ride). Penso che ai tempi fosse diverso. Penso che gli altri gruppi lavorassero a quella velocità – gruppi come i Beatles o i Rolling Stones facevano probabilmente un paio di dischi l’anno.
Forse per Elvis era particolarmente facile visto che non scriveva le canzoni.
Sì, ma era coinvolto negli arrangiamenti. Lo vedi nel documentario That’s the Way It Is. Ma sì, non ha scritto niente del suo repertorio..
Nel disco ci sono membri del tuo gruppo?
Ci siamo io e Tommy. Il mio vecchio batterista Joey (Castillo), che è presente nell’ultimo disco dei Danzig, ha suonato la batteria in Fever, dove io suono il basso. Tutte le altre batterie le ho fatte io. Ho semplicemente fatto una cosa che mi piaceva invece di dire, “ok, voglio che questo disco faccia i numeri e vada in classifica”. Niente di tutto ciò. È un lavoro fatto con amore.
Un sacco di questi brani sono canzoni d’amore, una cosa per te inusuale.
Elvis ha fatto un sacco di canzoni d’amore, ma molte parlano di amori finiti male. Se ti scorri la sua discografia vedi che ci sono un sacco di storie finite male.
Ci sono molti brani che hai registrato ma alla fine hai scartato?
Sì (ride).
Quindi farai una parte seconda a un certo punto?
No (ride). Sono sicuro che finiranno da qualche parte, prima o poi, magari come lato B di un singolo. Stiamo facendo un 7 pollici di Always on My Mind, giusto perché è una cosa rétro da fare, e sul lato B ho fatto una versione alternativa di Lovin’ Arms. È lo stesso arrangiamento, ma con voci diverse.
Ho avuto l’idea vedendo i dischi che escono con l’aggiunta di versioni alternative. Un sacco di cose di Elvis che escono per l’etichetta Follow That Dream sono così, ti fanno sentire anche sei o sette diverse tracce vocali, magari la prima fatta mentre cercava solo di prendere confidenza col repertorio, poi altre successive e infine quella definitiva. Se sei un fan, è bello sentire come lavorava. Dato che io sono un grande fan di Phil Spector, credo che a volte la prima take sia magica. Ha dentro cose che altre take, anche fatte meglio, non hanno. È quell’energia, quell’eccitazione che una take più pulita non ha.
Cos’hai in cantiere per i concerti a tema Elvis che stai organizzando?
Vorrei che fossero eventi con un’atmosfera old school, tutti seduti con 400 o 500 posti e basta. Per cominciare facciamo a San Francisco e Los Angeles. Ci saranno dei tavoli, anche sul palco. Nessuna follia. Vieni a rilassarti. Se vuoi farti un drink, bene. Se no vieni e ti guardi me e i ragazzi che facciamo pezzi di Elvis – solo pezzi di Elvis.
Ne farai poi altri?
Vedremo. In questo momento ho l’agenda piena per il film. E quest’anno usciamo di nuovo coi Danzig per alcuni concerti in Europa e negli Stati Uniti. Andiamo al Psycho Fest a Las Vegas e subito prima in Europa. A Las Vegas suoneremo l’album Lucifuge.
Stai anche lavorando a un nuovo film. Puoi dirmi qualcosa al riguardo?
Si intitola Death Rider in the House of Vampires. È uno spaghetti western ma coi vampiri. Abbiamo appena finito l’editing. Quindi ora si passa alla fase di colore e poi al suono.
Sei contento dell’accoglienza riservata al tuo primo film, Verotika?
Sì (ride). È stato folle. Abbiamo fatto incazzare un po’ di gente, il che è sempre un bene. Ma ovunque l’abbiamo portato – e l’abbiamo proiettato in tutto il Paese e persino a Barcellona, in Spagna – alla gente è piaciuto. Per cui è andata bene.
A livello musicale cosa stai facendo in questo momento invece?
Niente, ho fatto la colonna sonora del film, ma a parte quello mi sto rilassando.
Avrai mai voglia di fare un disco tuo che sia tranquillo come Danzig Sings Elvis?
Non lo so. Non ora.
E invece hai progetti per il futuro con i Misfits?
Per ora no. So che abbiamo un concerto il 4 maggio, a un festival dove siamo headliner. Ma è tutto. E non avremo piani per un po’ visto che quest’anno penso ai Danzig (il festival Domination, in Messico, dove i Misfits avrebbero dovuto suonare, è stato nel frattempo posticipato).
Per quanto riguarda le reunion, il chitarrista del primo album dei Danzig, John Christ, ha detto che gli piacerebbe suonare di nuovo con te. È qualcosa che potrebbe succedere?
Non voglio neanche commentare. Sono passati 20 anni, forse anche di più, forse anche 25. Sono felice con Tommy adesso. Lui è un chitarrista incredibile. La gente gli ruba i riff senza dargli il merito, per dirti quanto è bravo.
Hai pensato di fare un disco live dei Misfits o qualcosa del genere?
Sì, vedremo. È qualcosa di cui abbiamo parlato.
Sei felice di come vanno le cose con i Misfits?
Sì, cazzo. Abbiamo fatto sold out al Madison Square Garden. Tanti anni fa, tutti i più grossi promoter e le etichette discografiche dicevano che un gruppo punk non sarebbe stato mai headliner al Madison Square Garden. E invece noi siamo il primo gruppo punk che è stato headliner e per di più ha fatto sold out. Quindi un grosso vaffanculo a quegli stronzi che probabilmente adesso stanno vendendo hot dog sulla Sixth Avenue.