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Gli Strokes al servizio della rivoluzione di Bernie

La band newyorkese è salita sul palco per supportare la campagna elettorale di Sanders, e suonare un concerto diverso dal solito. «È stato strano, sembravano gli anni ’60. Mi ha ricordato i Doors», ha detto Casablancas

Foto: Sacha Lecca per Rolling Stone USA

Il momento più esaltante del concerto acchiappavoti degli Strokes per Bernie Sanders è arrivato quasi alla fine, quando le prime note di New York City Cops hanno riempito la Whittemore Center Arena di Durham, New Hampshire. Nel giro di qualche secondo, i fan hanno assaltato il palco del palazzetto, e alcuni poliziotti locali hanno cercato invano di fermare il tutto mentre Julian Casablancas cantava dei colleghi newyorkesi: “They ain’t too smaaaaaaaart!”

«Mi gira un po’ la testa», dice Casablancas a Rolling Stone dopo il concerto, rilassato nel backstage. Indossa un paio di sneakers e una maglietta promozionale di Fa’ la cosa giusta di Spike Lee. Hanno deciso di suonare quella canzone di protesta/festa – notoriamente esclusa, per ragioni politiche, dalla versione americana del debutto del gruppo – sul momento, appena prima del coprifuoco: «Non era in scaletta», aggiunge il cantante. «La polizia aveva acceso le luci della sala, quindi ci siamo detti: “Beh, suoniamo New York City Cops”, come una sorta di arrivederci. Un agente mi ha afferrato il braccio. Ho pensato: “Oh cavolo, mi stanno per arrestare?”».

A poche ore dal voto in New Hampshire – Sanders ha vinto di una manciata di voti –, l’organizzazione della campagna elettorale ha fatto l’impossibile per il comizio “Bernie Beats Trump” di lunedì sera. La lineup messa in piedi per la serata era una sorta di Lollapalooza della sinistra americana, con una folla di circa 7,500 persone pronta ad ascoltare i discorsi di Cornel West, Nina Turner, Cynthia Nixon, Alexandria Ocasio-Cortez e Sanders in persona, insieme ai concerti di Strokes e Sunflower Bean. Contattata un mese fa, la band di Casablancas ha accettato subito l’offerta. «Come potevamo dire di no?», chiede Casablancas. «È l’unico candidato non corporate, quindi di default è l’unica persona di cui ci si può fidare».

Il fatto che gli Strokes si stessero preparando ad annunciare il primo album dopo sette anni di assenza, The New Abnormal, prodotto da Rick Rubin, era solo un’altra ragione per accettare l’invito. «Non l’abbiamo fatto per vendere più dischi», dice Casablancas. «L’energia scatenata dall’annuncio… volevamo catalizzarla su Bernie. È molto più importante. Avremmo fatto qualsiasi cosa ci avesse chiesto».

Alle cinque del pomeriggio di lunedì, il freddo cemento fuori dalla Whittemore Center Arena era ricoperto di persone che aspettavano lo show. Un signore con il parka e i capelli bianchi raccontava a un nuovo amico la storia di Hannah Arendt; un altro addobbava la gente in fila con spille sottomarca di Bernie. La maggior parte delle persone in attesa, però, erano giovani. Come Alex, 23 anni, un ragazzo di Rochester con il cappellino rosa che apprezza le posizioni di Sanders sul debito studentesco e la legalizzazione della marijuana. «Sembra un vero essere umano, non un parassita», aggiunge. «È molto fico».

Jake Boynton, musicista 32enne di Needham, Massachusetts, dice di essersi offerto per aiutare la campagna di Sanders a entrare in contatto con altri gruppi locali. «Parla alla gente comune», dice a proposito delle idee del senatore su assistenza sanitaria universale e su come liberare la politica dal denaro. «In quest’epoca moderna non c’è molta musica di protesta, ma agli artisti piace supportare le rivoluzioni».

All’interno del palazzetto, un banchetto vendeva magliette in edizione limitata di Bernie e degli Strokes – un bell’affare per solo 27 dollari, a patto di firmare un modulo della Federal Election Commission – e altri oggetti assortiti.

Verso le sette di sera, i Sunflower Bean hanno aperto lo show con un’esplosione di eccitazione glam-rock. Il momento più bello del set è stata la cover di My Generation degli Who, trasformata da sfogo nichilista in una dichiarazione di ottimismo, con i giovani delle prime fila a pogare per un futuro migliore.

I musicisti della band newyorkese, tutti 24enni, sono grandi supporter di Bernie. Quando gli hanno chiesto di suonare per contribuire alla campagna in New Hampshire, hanno cancellato tutti i loro piani e sono saltati sul furgone. La sera prima del concerto degli Strokes, hanno incontrato Sanders dopo aver suonato per il suo comizio a Keene. «Ci ha ringraziato per il concerto e noi abbiamo ringraziato lui per quello che sta facendo», dice il chitarrista Nick Kivlen. «È davvero coraggioso. Attacca tutte le posizioni di potere per il bene dei lavoratori di questo paese».

Lo spirito da attivisti dei Sunflower Bean è ancora più profondo. Sono mesi che Kivlen passa le sue giornate al telefono per Bernie – «Sono un musicista, ho tempo libero» – e la cantante-bassista Julia Cumming ha intervistato Ocasio-Cortez per la sua serie Anger Can Be Power (lo scorso Halloween, inoltre, si è travestita da “Sexy Bernie Sanders”). Per la band non c’è altro candidato che meriti tutto questo impegno.

«Questa campagna ha l’energia dei giovani», dice Cumming. «Nella musica indie… non siamo rockstar che abitano in qualche villa. Facciamo quello che facciamo perché cerchiamo la nostra verità». «C’è un filo che collega la verità dell’arte con quella della politica, e la gente ne è affamata», concorda il batterista Jacob Faber. «Bernie è il candidato più onesto».

Sul palco, gli ospiti hanno sostenuto energicamente la visione socialdemocratica di Bernie. Nina Turner ha proposto una variazione del discorso “We welcome their hatred” fatto da Franklin Delano Roosevelt nel 1936. Cynthia Nixon si è attirata addosso qualche coro quando ha confessato di aver supportato Hillary Clinton nel 2016 – «Oh no, non così che ci comporteremo qui», ha ammonito il pubblico –, cori che ha trasformato in applausi quando ha descritto il suo sogno di un futuro migliore nell’America di Bernie. Cornel West, esperto agitatore di folle, ha conquistato l’applauso più rumoroso della serata con un discorso dedicato al valore delle vite umane sia nel New England che a Gaza e Tel Aviv.

Tutti hanno usato le loro abilità retoriche per sostenere che una società più equa sia non solo possibile, ma necessaria – e per spiegare perché Bernie sia l’unico candidato che va in quella direzione. «Gli ideali progressisti sono di moda», ha detto Ocasio-Cortez. «E di chi è il merito?» La risposta, ovviamente, è Bernie. «Non torneremo indietro», ha detto. «Andremo ancora avanti». Il pubblico  ruggiva.

Dopo Sanders e gli Strokes, Ocasio-Cortez era l’altra vera stella della serata. Il suo discorso abile, persuasivo e brillante ha ricordato a tutti perché qualcuno la considera un possibile candidato presidente del futuro. (Casablancas è uno di loro: «Insomma, voterei sicuramente per lei, ma io sono newyorkese, faccio parte dell’élite», dice).

Sanders è salito sul palco poco dopo le otto e mezza, circondato dalla sua famiglia e da Power to the People, il mantra idealista di John Lennon. Nelle ultime settimane sta impiegando molte energie nella campagna, ma qui in New Hampshire sembra felice e sereno, e guida la folla con esperienza tra i suoi greatest hits. Prima ha attaccato Trump, un bugiardo patologico, bullo, razzista, sessista, xenofobo e omofobo, «il presidente più pericoloso della moderna storia americana». Poi ha scatenato i cori del pubblico contro l’inesistente contributo fiscale di Amazon, e un applauso di uguale intensità per la proposta di cancellare il debito studentesco.

Il discorso di Sanders si basava su chiare fondamenta morali, l’opposto del linguaggio fumoso di Washington che i suoi supporter hanno ascoltato per tutta la vita. «È il momento che Wall Street aiuti la classe lavoratrice di questo paese»; «La nostra amministrazione crede nella scienza»; «Le donne devono controllare il proprio corpo, non il governo, fine della discussione». A ogni dichiarazione seguiva un enorme applauso.

Quando gli Strokes sono saliti sul palco, verso le nove di sera, il pubblico ne voleva ancora: “BERNIE! BERNIE! BERNIE!”. Volevano il bis, e l’hanno avuto quando il senatore è tornato sul palco per salutare la band insieme alla sua famiglia.

Finalmente gli headliner sono rimasti soli sul palco. Gli Strokes hanno suonato un set energico che si è aperto con una cover di Burning Down the House dei Talking Heads, è continuato con un paio di brani dal nuovo album e ha raggiunto la massima potenza tutte le volte che hanno toccato una delle canzoni del primo album. Someday ha la stessa combinazione vincente di rimpianto e giovane spensieratezza di 19 anni fa, e ha scatenato lo stesso entusiasmo che il pubblico ha riservato all’assistenza sanitaria universale.

Mentre i volontari più anziani tornavano a casa, l’energia del pubblico continuava ad aumentare. Durante Hard to Explain si sono scatenati così tanto che la sicurezza della campagna ha subito rimosso le barricate davanti al palco, così che nessuno si potesse far male. Gli stand si sono svuotati durante la nuova canzone At the Door, un lamento languido ed elettronico accompagnato da un video psichedelico. Subito dopo la band ha annunciato l’uscita del prossimo album. Ma i veri appassionati delle prime file non erano pronti a chiudere la serata.

New York City Cops ha portato lo show verso un finale appropriato, esuberante e populista. Alla fine, Casablancas non è stato arrestato per la sua disobbedienza musicale. E quando la canzone è arrivata all’ultima nota e il gruppo ha lasciato il palco, i fan sorridevano.

Non è stato un concerto degli Strokes come gli altri: la location era molto più piccola di quella di un festival, o delle arene dove si esibiscono di solito, ma piena di energia selvaggia e anarchica. «È stato strano», dice Casablancas alla fine. «Come un concerto degli anni ’60. Mi ha ricordato alcuni video dei Doors, qualcosa del genere». Sembra stanco, ma eccitato da quello che succederà in futuro. «La gente crede a quello che dice», dice del suo candidato. «Gli sembra una persona onesta, è rigenerante… abbiamo bisogno di un cambiamento rivoluzionario. La gente lo sente. E Bernie è l’unico che può farcela».

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