“Un verano sin ti” Bad Bunny
Quando Willie Peyote a Sanremo cantava “non ho capito in che modo twerkare vuol dire lottare contro il patriarcato” forse non aveva presente Bad Bunny. Un verano sin ti, il disco dei record di Bad Bunny, dimostra come si può lottare anche usando il tanto sbeffeggiato raggaeton. Perché il raggaeton (e altri generi latini come la bomba, il denbow o il mambo domenicano) non è solo sfoggio di sessualità e divertimento. Certo, in parte lo è, ma ci sono modi e modi di farlo e Bad Bunny riesce anche a trovarci una via queer e femminista. Che l’artista più ascoltato degli ultimi due anni su Spotify sia proprio lui dovrebbe farci riflettere, e ricredere, su questo movimento.
“Dragon New Warm Mountain I Believe in You” Big Thief
Un grande album, anche nel senso di extralarge, sono 20 canzoni, pieno di piccole rivelazioni e splendidi incidenti sonori. È la versione 2022 e vagamente mistica di quella strana vecchia America evocata da Greil Marcus, ma anche una seduta di psicoterapia di gruppo. Qui l’intervista.
“Ants from Up There” Black Country, New Road
Sono stati la rivelazione dello scorso anno, poi tra Covid e dipartite (a lasciare per problemi legati alla salute mentale è stato Isaac Wood, il cantante e chitarrista) hanno rischiato di perdersi. Ma quando c’è in gioco così tanto talento, si sa, una soluzione la si trova sempre e in Ants from Up There sono in piena forma. Forse manca l’effetto wow dell’esordio, ma la scelta di proporre ogni tanto canzoni più accessibili giova all’ascolto, diventando bilancia dei momenti post tutto. Senza generi, senza limiti.
“Caprisongs” FKA twigs
Caprisongs è stato venduto come un mixtape, piuttosto che come un album, ma andarci a trovare le differenze oggi è difficile. Significa forse che è stato fatto senza pensarci troppo? Considerandone il valore artistico, pensare sia un’opera minore sarebbe un errore. Ancora una volta FKA si piazza un anno avanti a tutti mostrandoci un pezzo di futuro dove i generi si disintegrano uno dentro l’altro e dove The Weeknd e Shygirl, Jorja Smith e Pa Salieu possono comparire nella stessa tracklist. FKA è semplicemente più grande di tutto questo.
“Dance Fever” Florence + The Machine
Florence Welch ha le canzoni, la voce, lo spirito, tutto. È una delle ultime sopravvissute di un’epoca in cui la musica poteva ancora essere passionale, esagerata, plateale. Regina della catarsi e dell’euforia, la Florence di Dance Fever è una ragazza selvaggia e una sorella con cui confidarsi.
“Skinty Fia” Fontaines D.C.
Il rock del 2022 ha contribuito a definirlo anche e forse soprattutto questa band anzitutto coi concerti e in parte con quest’album che ha a che fare con la mutazione dell’identità irlandese in terra inglese e che è musicalmente più misurato del precedente A Hero’s Death. Grian Chatten ce l’ha raccontato canzone per canzone.
“Mr. Morale & The Big Steppers” Kendrick Lamar
Kendrick Lamar non è solo il rapper più importante della sua generazione, ma è la voce della nuova black America. Nonostante tutta la pressione e la responsabilità che questi ruoli comportano, il rapper di Compton continua a non sbagliare un colpo. Si potrebbe dire tantissimo su questo album, in primis di ascoltarlo fino alle virgole, ma forse basterebbe citare un solo brano, Worldwide Steppers, per spiegarne la portata multi-livello: produzione ridotta alla pulsazione ossessiva di un basso e a qualche accenno di piano jazz, in alternanza a qualche battuta di puro beat rap decontestualizzata, su cui Kendrick scrive un testo geniale in cui si domanda se essere andato a letto con una donna bianca sia stato un tradimento la sua comunità e i suoi antenati, finendo per dire “potrei essere razzista”. Geniale.
“Eyeye” Lykke Li
Un microfono da 70 dollari e la camera da letto utilizzata come studio di registrazione. Basta poco quando hai un talento grande come quello di Lykke Li. Un album che, nelle parole della cantante svedese, vuole fare un passo indietro e rallentare, rimanendo pur sempre «triste ma sexy» e che – guarda caso – ci riesce perfettamente. Otto piccole canzoni poco più che acustiche, otto piccoli gioiellini per una lacrima facile facile. La bellezza nella tristezza.
“Big Time” Angel Olsen
L’album più morbido e struggente della prima parte del 2022 l’ha fatto questa cantautrice americana. Al centro dei testi ci sono la sua prima relazione gay e la morte della madre. Musicalmente, Olsen si avvicina al timbro del country perché, come ci ha detto, «non c’è niente di meglio per far dialogare malinconia e tristezza con l’idea di proporre canzoni piene di speranza».
“Unlimited Love” Red Hot Chili Peppers
Invecchiati, imperfetti, ripetitivi. Ma sono pur sempre i Red Hot Chili Peppers con John Frusciante che è ri-rientrato nel gruppo. L’album non contiene alcuna nuova Californication e nemmeno un’altra Give It Away. È il disco di una band sempre più malinconica, fedele però alla sua identità composita, formata dalla somma di quattro personalità musicali distinte.
“Motomami” Rosalía
Ci ha messo quattro anni Rosalía per dare un seguito a quel capolavoro che fu El mar querer, ma ne è valsa la pena. Motomami è un disco enorme, pieno di idee, di generi, di esperimenti, tenuti insieme da una personalità rara per il mondo della musica pop. Rosalía è forse, in questo momento, l’artista più completa del panorama mondiale: scrive, produce, performa come nessun altro. Motomami è un manifesto esplicito di questa genialità artistica. Un ingresso meritato nell’élite del pop mondiale.
“A Light for Attracting Attention” The Smile
In vacanza dai Radiohead con l’amico Tom Skinner (Sons of Kemet), Thom Yorke e Jonny Greenwood sembrano divertirsi un mondo. In A Light for Attracting Attention trasformano l’ansia da lockdown in rock avventuroso. È musica fatta senza la preoccupazione di scrivere capolavori, e funziona.
“Multitude” Stromae
Successo e farmaci l’hanno mandato in burnout. Lui s’è ripreso anche scrivendo un disco che parla di solitudine, fragilità e rabbia, e che mescola identità e suoni di tutto il mondo. Dimostrando di essere ancora una presenza importante nel pop. Qui la nostra intervista.
“Harry’s House” Harry Styles
Avrà mai fine il successo di Harry Styles? Ora come ora pare impossibile. Harry Styles è la perfetta popstar di questi giorni, gioiosamente fluida e incredibilmente talentuosa. Potrebbe limitarsi a fare canzonette, ma ogni suo brano ha qualcosa di intrigante e un carisma contagioso. Harry’s House non è un guilty pleasure di cui vergognarsi e skippare se qualcuno ti scopre in ascolto. Harry’s House è semplicemente un ottimo disco di musica pop.
“Sun’s Signature” Sun’s Signature
È solo un EP, per di più diffuso al Record Store Day (ma arriverà anche in streaming) e forse non dovrebbe essere qui. Ma la voce da divina aliena di Elizabeth Fraser (l’altro membro del duo è Damon Reece) e le musiche quasi barocche, fuori dal tempo, una specie di folk reinventato in chiave 4AD, vanno ascoltate. C’è anche Steve Hackett dei Genesis.
“Earthling” Eddie Vedder
È il disco di un artista che non ha più nulla da dimostrare e si riconcilia con tutto. È il più vario che abbia fatto, contando anche quelli coi Pearl Jam, segnato dallo stile degli ospiti, da Elton John a Stevie Wonder, con echi precisi di Beatles e Tom Petty. L’intensità di un tempo non c’è più. Restano belle canzoni e quella voce.
“Dawn FM” The Weeknd
Quello che ci convince di più di The Weeknd è la sua voglia di provare nuove soluzioni, che siano di suono, di concept, di estetica. In Dawn FM prova a variare su tutti i fronti, portando il suo suono all’interno di una rétro-pop radio dal purgatorio e presentandosi nella copertina in versione iper-invecchiata che avrà fatto saltare il cervello di qualche ufficio stampa. Il risultato è un disco maturo, solido, intrigante a cui manca solo un grande singolo a traino, ma forse sulla questione The Weeknd ci aveva abituato fin troppo bene.
“Wet Leg” Wet Leg
Qualche anno fa per loro si sarebbe usata la terminologia next big thing. Le Wet Leg sono due amiche che dopo dieci anni decidono di fare un album assieme, firmano per la Domino Records e tirano fuori un discone indie fino al midollo che ci riporta dritti a quindici anni fa, ma senza quella patina di nostalgia. Le ragazze sono cool, ironiche, strafottenti, un mix diabolico che funziona tantissimo e che ha fatto impazzire pubblico e critica.
“Fear of the Dawn” Jack White
Quand’è uscito ci siamo chiesti: esistono grandi dischi senza grandi canzoni? Alla fine la risposta è che magari grandi non esistono, ma buoni sì, a patto che a farli siano musicisti di talento come Jack White. Alla ricerca di esperienze musicali singolari, l’ultimo eccentrico del rock ha fatto un altro disco matto dopo Boarding House Reach, appariscente e suonato in modo formidabile, senza pezzi da antologia. Il resto c’è: lo stile iper-distorto, la destrutturazione della forma-canzone, l’intensità, le idee musicali assurde.
“The Overload” Yard Act
Vedrete che alla fine del 2022 The Overload finirà nella lista dei dischi rock inglese dell’anno. Nel caso non l’abbiate mai sentito, immaginate degli Sleaford Mods meno pazzi e più ironici, e con la passione per le chitarre. È divertente ed eccitante, un po’ working class e un po’ intellettuale, folle quanto basta per farci divertire coi suoi testi anticapitalisti.