Qualche tempo fa ho dedicato un articolo al movimento prog-cantautorale degli anni ’70. Dentro c’erano finiti Lucio Battisti, Franco Battiato, Alan Sorrenti, Claudio Rocchi e molti altri che all’epoca non si erano accontentati di prendere una chitarra e lasciare ampio spazio ai testi, ma si erano focalizzati sul lato musicale. Con una certa attenzione alle possibilità offerte degli strumenti acustici ed elettrici-elettronici, l’inserimento di umori tratti da svariati stili, un concetto di sperimentazione molto vicino al cuore e poco al cervello. I cantautori prog dei ’70 erano sì progressivi, ma spesso lasciavano da parte la lezione sinfonica di Genesis e derivati per concentrarsi su un’idea di canzone “allargata”, libera, senza vincoli temporali, di suoni o influenze. Anima latina di Battisti è l’esempio più riuscito ed esplicativo.
Il progressive rock non è morto nel 1977, anzi ha continuato a spargere i suoi rivoli all’interno di generi disparati, salvo poi rinascere negli ’80 sotto forma di new prog e poi fondersi col metal per consegnarsi alle nuove generazioni. Ma non è tutto: la filosofia del prog è in fondo condivisa da tutti i musicisti che non si accontentano, cercano di spingersi oltre la ricerca del facile successo, sperimentano e si mettono in gioco. Un esempio? I Radiohead.
E la scuola cantautoral-progressiva italiana? Anche quella è andata avanti e proprio negli anni 2000 sembra avere trovato nuova linfa. Una rinnovata voglia di andare oltre si è impossessata di giovani (o non più giovani) autori che mischiano vecchio e nuovo, esplorano l’inesplorato e contaminano l’incontaminato. Ecco una lista di 10 dischi pubblicati negli ultimi vent’anni che esemplificano che cos’è il cantautorato progressivo oggi e perché è di vitale importanza che la sua filosofia attecchisca sempre di più in chi fa musica e in chi la ascolta.
10. “Hippie dixit” Amerigo Verardi (2016)
Un incredibile doppio album (da quanto non se ne vedevano da parte di cantautori italiani?) che Claudio Rocchi avrebbe adorato. Non tanto perché Verardi (ex Allison Run, tra i pilastri della neo psichedelia italiana) si sforzi di fare il verso al compianto cantautore milanese, ma per il suo afflato mistico e cosmico, sottolineato da partiture tra oriente e occidente a base di elettronica, folk acido e rock lisergico. Una centrifuga nella quale l’ispirazione di gente come Julian Cope, Donovan e Popol Vuh si condensa in un originale via di fuga tutta italiana.
9. “Coma” Dino Fumaretto (2019)
Dino Fumaretto è il Mr. Hyde di Elia Billoni. O viceversa, chissà. Quel che è certo è che nel 2019 ha dato vita a uno spettacolare caleidoscopio nel quale danzano impazziti visioni alla David Lynch, krautrock, elettronica vintage e umori oscuri. Cosa hanno Fumaretto e gli altri di questa lista che i “non progressivi” non hanno? Risposta semplice, ma enorme: un grande talento visionario, dove per visionario si intende capace di creare una musica che guarda e indica luoghi alieni, crea uno spazio nel cervello dell’ascoltatore, stimola la curiosità. Cosa troveremo al prossimo istante di Coma? Non lo sappiamo, ed è questa la sua grandezza.
8. “Nostalgia istantanea” Dargen D’Amico (2012)
Cosa c’è di più progressivo di un cantautore rapper? Non si dice da più parti che sono proprio i rapper i moderni cantautori? (Sento già urla ferine per avere osato l’accostamento). Sia come sia, Nostalgia istantanea è un’opera realmente prog. Due suite, 18 e 20 minuti rispettivamente. Un enorme flusso di coscienza ideato nei momenti che precedono e seguono il sonno. Uno scorrere infinito di immagini, ricordi, sensazioni ed emozioni messe giù tramite una scrittura automatica, frasi che non arrivano dal pensiero cosciente, ma quasi in stato di trance. Il tutto adagiato su un battito costante a 100 bpm, sintetizzatori al sapor di vaporwave e batterie più o meno elettroniche. Dimenticate le etichette e tuffatevi dentro, c’è di che godere.
7. “Incontri a metà strada” Riccardo Sinigallia (2006)
Dentro Incontri a metà strada c’è uno dei pezzi più straordinari del cantautorato progressivo italiano. Si intitola Se potessi incontrarti ancora e sono poco più di cinque minuti di assoluta bellezza e sospensione, un brano che letteralmente levita nel silenzio, memore della lezione di grandi astratti come Brian Eno. Basterebbe questo per considerare il secondo album solista dell’ex produttore dei Tiromancino un capolavoro, ma il resto non è da meno. Per una volta il pop italiano si apre alle ampie vedute di band quali Sigur Rós, in un suono bello e trasparente, energico e allo stesso tempo delicato, quel tanto che basta per sfiorare con grazia corpi e cuori.
6. “Forze elastiche” Fabio Cinti (2016)
Fabio Cinti è il cantautore più elegante dell’odierna scena italiana. Troppo spesso la sua proposta è accostata a quella di Franco Battiato ma, a ben guardare, lo stile è più sfaccettato e imprevedibile. Un David Sylvian nostrano? Forse… I paragoni a tutti i costi sono fastidiosi, ma nel caso di Forze elastiche, quinto album in studio, servono a identificare un punto di partenza per poi viaggiare all’interno di 19 brani labirintici nei quali il cantautorato parte a razzo verso lo spazio: dream pop, elettronica, jazz, folk, techno pop, con ospiti come Paolo Benvegnù, Massimo Martellotta (Calibro 35), The Niro, Nada.
5. “L’Ab” Beatrice Antolini (2018)
Antolini suona (egregiamente) chitarra, basso, batteria, percussioni, sintetizzatori, pianoforte e si occupa delle programmazioni elettroniche. Inoltre arrangia, produce, registra e mixa. E, cosa più importante, compone musica realmente progressiva, in costante curiosità ed evoluzione, che assorbe influenze a 360 gradi, dalla musica classica ai più moderni ritrovati pop, e le frulla a suo modo per restituire un qualcosa di completamente originale. L’Ab mette il fiocco a una carriera in costante ascesa, mostrando la musicista più coraggiosa d’Italia alle prese con nove canzoni che non sono canzoni, sono mondi interi di suoni e percezioni.
4. “Indossai” Alessandro Grazian (2008)
Indossai è una piccola grande gemma di folk orchestrale. Ci sono due cose che colpiscono: gli arrangiamenti, una giostra di plettri e fiati degna delle migliori pagine della Penguin Café Orchestra, e la qualità delle composizioni. Avete mai sentito parlare del giro di Do? Ecco, Alessandro Grazian non sa che farsene, le armonie dei suoi brani sono all’insegna dell’inventiva e della creatività, le melodie sono modellate sugli accordi con l’attenzione certosina di un artigiano orafo. Indossai, A San Pietroburgo, Acqua sono malinconie assortite, caramelle che non assaggiavi da secoli, poi improvvisamente te ne capita una e torni bambino.
3. “Da A ad A” Morgan (2007)
Tredici anni fa Morgan ci aveva stupito con Da A ad A, quello che è tutt’oggi il suo ultimo album di inediti, una serie di canzoni leggere come nuvole e gonfie di orchestra, pianeggianti e sghembe, introverse ed estrose, perfette e imperfette ai massimi livelli. Con una cura maniacale per gli arrangiamenti e un universo sonoro ecumenico. Dai Beatles alla musica delle sfere. Morgan è il nostro Van Dyke Parks che ha accettato troppi acidi da Brian Wilson. Due pezzi di gloria: Una storia d’amore e di vanità, rock sinfonico e vaneggiante, e Contro me stesso, la spietata verità in 10 minuti e un’inaspettata coda afrobeat da paura. E dopo cosa sarebbe accaduto? Può ancora accadere? La fiducia c’è sempre, attendiamo.
2. “Uomo donna” Andrea Laszlo De Simone (2017)
Andrea Laszlo De Simone è uno cazzuto. In tempi di itpop bastava poco per inserirsi nel filone dei vari Calcutta o Paradiso, ma lui ha osato di più scodellando una collezione di canzoni tanto inaspettate quanto sorprendenti. Prendete i soliti paragoni con le pinze, ma ci vuole una certa genialità a passare da Le Orme ai Radiohead in pochi secondi. Beh, Andrea ce la fa, e a volte pare un Battisti ancora tra noi che non dimentica la sua firma, ma guarda oltre. Uomo donna è bello, di una bellezza acerba, romantico e avventuroso come la gioventù. Poi Lazlo nel 2019 ha anche partorito un EP con una suite di 20 minuti. Se i suoi testi sapranno sganciarsi da certi cliché arriverà lontanissimo.
1. “DIE” Iosonouncane (2015)
Il trono del cantautorato progressivo odierno va a Iacopo Incani che, con lo pseudonimo di Iosonouncane, se ne esce bel bello nel 2015 con questo fulmine intitolato DIE. Non esagero se dico che raramente in Italia si è sentito un così riuscito mash up di influenze disparate a dar vita a un risultato al 100% originale e dirompente. Si mettano insieme Panda Bear, il solito Battisti, Mike Oldifield, Tim Buckley, tropicalismo, post rock, avanguardia e folk sardo. Cosa ne esce fuori? Una suite di canzoni che letteralmente abbaglia, disorienta anche la mente più salda. DIE non è un disco, è l’Anima latina dei nostri giorni.