“Questo è un paradiso. Se ti piace l’hip hop questo è il paradiso. Sarà un massacro all’alba”, dice Ensi dal palco del Fabrique di Milano. Non sta parlando di un beat di tha Supreme, ma dei corpi vivi di Enrico Gabrielli, Massimo Martellotta, Fabio Rondanini e Luca Cavina che, dopo essere stati campionati da mostri sacri dell’hip hop mondiale, con l’ultimo album hanno aperto il suono dei Calibro 35 al rap. Siamo al Fabrique di Milano, dove la band è arrivata dopo i sold out di Brescia e Bologna per presentare al pubblico di casa i suoni e le atmosfere contemporanee di Momentum, primo disco dei Calibro libero dai “come se” che hanno sempre caratterizzato la loro musica.
L’idea di fondo dell’album, ce l’hanno raccontato i Calibro stessi, era rileggere e “umanizzare” suoni e tecnologie della musica contemporanea, rimettendoli nelle mani dei musicisti. Forse è per questo che, accompagnati da una sorta di Alexa casalinga – “Se volete rovinarvi la serata, tenete il cellulare acceso e guardate il concerto attraverso lo schermo” –, i Calibro, vestiti con camicia blu da operai del funk, si dispongono a semicerchio su un palco iper minimale, illuminato solo da quattro lampioni. Si parte con Glory-Fake-Nation e Stan Lee, ed è già al secondo pezzo che è chiaro a tutti che questo non sarà un concerto come tutti gli altri.
Al posto di Illa J, infatti, le rime del primo singolo rap dei Calibro vengono affidate a Ensi e Ghemon, due dei tre ospiti della serata, felicissimi di potersi esibire accompagnati da musicisti di questo livello. L’idea funziona fin troppo bene, come se i Calibro avessero sempre lavorato con il rap, e il pubblico sembra entusiasta. Da Momentum si torna a Decade, e la prima parte del concerto vola via alternando passato e presente, funk anni ’70, psichedelia, jazz e post rock. È una dimostrazione di onnipotenza musicale: tutte le anime dei Calibro 35 dialogano alla perfezione, non c’è una sbavatura, l’esecuzione è perfetta ed è difficile descrivere la performance dei musicisti senza essere retorici o stucchevoli. L’MVP, almeno per questa sera, è Fabio Rondanini: suona insieme a un loop, accompagna i rapper, passeggia sulle assurdità ritmiche di Automata e mille altre cose insieme. Se Momentum è il disco delle macchine umanizzate, allora lui ne è l’incarnazione.
A metà concerto torna la voce elettronica – “Facebook è una nazione informatizzata. Viviamo per fare delle scelte, cioè acquistare” – e anche Ensi, questa volta per una versione inedita di Massacro all’alba. L’ultima parte del set è tutta dedicata ai classici, Arrivederci e grazie, Giulia mon amour, poi torna sul palco anche Ghemon con la sua Rose viola, il pezzo di Sanremo 2019, eseguito in versione decisamente più acida.
L’ultimo pezzo in scaletta è Notte in Bovisa – nel pubblico qualcuno improvvisa un ballo con pose alla James Bond –, poi sul palco sale il terzo e ultimo ospite della serata: Manuel Agnelli, griffato Motörhead. “Ciao a tutti, ecco un pezzo che abbiamo scritto oggi pomeriggio”, dice, poi attacca una versione straripante di Ragazzo di strada, che canta accennando una specie di twist. La band lascia il palco tra gli applausi, qualcuno va da Tommaso Colliva per ringraziarlo per aver fatto suonare bene un palco maledetto come quello del Fabrique, qualcun altro elenca i featuring dei sogni del prossimo album. Tutti sembrano davvero felici di aver appena assistito a un concerto quasi interamente strumentale, praticamente senza light show o trucchetti scenografici. Non è una sorpresa: i Calibro 35 sono il miglior gruppo italiano. Il resto scompare.