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Il MI AMI Festival fa bene a tutti, sopra e sotto il palco

Migliaia di persone di tutte le età e provenienze geografiche si sono riversate al Magnolia per un festival unico, con una line-up composta soprattutto da artisti ancora sconosciuti o emergenti

Per dare una misura di quanto Milano sentisse la mancanza del MI AMI, basta raccontare cosa succede quando nella primissima serata di sabato arriviamo sul posto e tentiamo di parcheggiare la macchina: l’immenso parcheggio di fianco all’Idroscalo, uno dei più capienti della città, è già tutto esaurito («Tornate domani!», ci dirà ridendo l’addetto), e questo nonostante anche le navette gratuite e il bike sharing siano stati presi d’assalto.

Una volta all’ingresso, poi, faccio fatica a recuperare i miei biglietti dalla apposita app, perché il Magnolia è talmente pieno di gente impegnata a fare dirette Instagram, a caricare storie e a condividere la propria posizione su WhatsApp alla ricerca di amici dispersi tra la folla che Internet va a rilento. Il che non è un disagio: è quasi commovente.

Migliaia di persone di tutte le età e provenienze geografiche si sono riversate lì per un festival indipendente, la cui caratteristica principale è quella di avere in line-up soprattutto artisti ancora sconosciuti o emergenti, e lo ha fatto nonostante le due precedenti edizioni siano state cancellate per l’emergenza Covid. È la definizione stessa della parola fiducia: nella scena musicale italiana, negli organizzatori, ma soprattutto nel futuro. Finalmente si riparte davvero.

La verità è che in Italia non esiste un altro festival come il MI AMI, con buona pace di chi apparentemente prova a ispirarsi al suo nome e alla sua veste grafica. Ha un’impronta tipicamente internazionale, nonostante sia dedicato solo alla musica di casa nostra.

Innanzitutto perché ha quattro palchi che suonano in contemporanea, il che ti costringe a fare delle scelte. La Rappresentante di Lista sul palco principale, o Tredici Pietro su quello della collinetta? Meg che fa il suo ritorno in grande stile, o Gemello che chissà quando mai mi ricapiterà di vedere a Milano? (Un plauso ai tecnici che sono una macchina da guerra, peraltro: cambi palco rapidissimi ed efficientissimi, e un sound di alta qualità nonostante l’enorme differenza di generi e stili tra i vari artisti).

Il pubblico sciama allegramente dall’uno all’altro, innescando accesi dibattiti su dove andare e a che ora; i più sgamati, quando vengono abbandonati dagli amici alla ricerca di un sound diverso, approfittano per attaccare bottone con altri esodati come loro, soprattutto se giovani e carini/e. Non li ferma neanche il meteo, che da sempre è croce e delizia del festival, visto che ormai il cambiamento climatico ha ridotto ogni fine maggio in un’enorme incognita.

Ieri in particolare, con la pioggia e le temperature precipitate in picchiata a 17 gradi, volevamo tutte sentirci un po’ Kate Moss a Glastonbury con gli stivali infangati, ma il risultato – almeno per alcune di noi – è più simile alla freddolosa gitante della domenica che nella salita al rifugio cerca di evitare il congelamento con innumerevoli strati di felpe e k-way. Ma nessuno si è sognato di rinunciare a presenziare per il maltempo, tant’è che i biglietti sono sold-out: questo è un segnale importante, per noi italiani tradizionalmente metereopatici.

Nei tre giorni di festival (l’ultimo sarà proprio oggi, domenica 29 maggio) i concerti e gli showcase vanno avanti dalle 16.00 alle prime ore del mattino, ed è davvero impossibile farsi un’idea completa di tutto ciò che succede, anche per gli inevitabili e graditissimi pit-stop all’area street food allestita tra gli alberi.

Perciò, ecco qualche impressione sparsa: 1) La Rappresentante di Lista dal vivo ha una potenza di fuoco pazzesca; 2) Ho finalmente capito che tipo di pubblico segue Lo Stato Sociale, prima di vederlo di persona non riuscivo a immaginarmelo; 3) Tredici Pietro ha senz’altro reso orgoglioso suo padre Gianni; 4) La Sad ha resuscitato il pop-punk dei primi anni ’00 mettendoci l’Auto-Tune, e no, non è invecchiato bene con gli anni, ma se non altro non è neanche peggiorato da quando andavo al liceo; 5) che i BNKR 44 avessero un’energia contagiosa e le canzoni pop più fresche del momento già lo sapevamo, ma dopo averli visti sul palco sono pronta a incoronarli come i nuovi Backstreet Boys; 6) Meg è la Björk italiana, ed è ora che tutti se ne accorgano; 7) BigMama è qui per restare, ed è il sex symbol di cui avevamo bisogno; 8) Elasi, non ti conoscevo ma mi hai colpito, andrò a riascoltarti; 9) Napoleone, non siamo riusciti a sentirti ma a maggior ragione andrò a riascoltare anche te; 10) il dono dell’ubiquità è decisamente sottovalutato. Così come è sottovalutata la bellezza di certi eventi, che nella loro estrema semplicità riescono a smuovere un sentimento popolare enorme, ma anche un’industria musicale che altrimenti sarebbe stagnante.

Se dovessimo contare quanti contratti discografici, date di tour e featuring sono nati proprio al MI AMI, con gli addetti ai lavori che finalmente hanno la possibilità di constatare di persona la bravura di questo o di quell’artista, probabilmente il numero sarebbe infinitamente superiore alle nostre aspettative. È quindi doveroso dare un caloroso bentornato a un festival che fa bene a tutti, sopra e sotto il palco.

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