Dolce profumo di pinta digerita e tanta buona musica sono le uniche certezze del Regno Unito che sarà. A niente sono serviti gli appelli dei vari Stormzy, Dua Lipa, Bobby Gillespie: al rosso sbiadito di Corbyn la stragrande maggioranza degli inglesi ha preferito il rossiccio Boris Johnson, così nel 2020 la Brexit si farà e poco importa che nessuno abbia la più pallida idea di che fine faranno Inghilterra e Unione Europea dopo questo travagliato divorzio. Davvero dovremo richiedere un visto per fare un weekend a Londra?
I gas di scarico al bancone del pub infittiscono la nebbia, ma il salto nel vuoto sarà reso meno traumatico dall’ottima colonna sonora gentilmente fornita da una nuova generazione di artisti britannici che – merito di cicli e soprattutto graditissimi ricicli – non è solo grime e musica post qualsiasi cosa, ma profondo revival anni ’90 e rilettura di una orgogliosa tradizione rock, soul e R&B.
Canta I Wish I Was Stephen Malkmus e sembra cresciuta per stare sulla copertina di Dazed, non importa se un numero del 1994 o del 2020. Nata nelle Filippine, vent’anni vissuti praticamente tutti a Londra, Beatrice Kristi Laus in arte beabadoobee (rigorosamente tutto minuscolo) fa indie pop come si intendeva l’indie pop nel secolo scorso. E se il pezzo citato è un tributo al signor Pavement, un altro suo singolo, She Plays Bass, fa venire in mente un po’ She Bangs the Drums degli Stone Roses e un po’ le bassiste belle e brave degli anni ’90, su tutte Kim Gordon. Nomination ai Brits come astro nascente dell’anno e presto in tour con i fratelloni The 1975, alla faccia di chi dice che le chitarre hanno sostituito le croci nei cimiteri.
Kendrick Lamar ha campionato un suo pezzo – Knock Knock Knock – per tirare fuori Lust, una delle canzoni di Damn. Tim Armstrong dei Rancid ha invece prodotto il suo secondo album, Internationally Unknown, uscito all’inizio del 2019 per Hellcat Records. Nato nel 1996 nell’Essex, Jordan Cardy in arte Rat Boy è quanto di più vicino alla musica dei Beastie Boys più ruspanti si possa avere nel XXI secolo. Etica do it yourself, skateboard spaccati, tanto punk rock e tanto hip hop old school affogati in pinte e pinte di brit pop, ascoltare il ritornello di Revolution per credere. Per semplificare, è la versione hardcore del ben più celebre Yungblud, altro tesoro britannico di questi anni.
Londinese di origini nigeriane, bisessuale, neanche 20 anni, etichettata prematuramente dalla stampa inglese “emo 2.0”. Tra soul e pop da cameretta, Arlo Parks ha pubblicato finora solo un EP con un titolo meraviglioso: Super Sad Generation. Anche lei è partita con la chitarra, tra le proprie influenze musicali riesce a citare contemporaneamente Notorious B.I.G e i Television, non nasconde il suo amore per le poesie di Allen Ginsberg e Sylvia Plath. Tra i big sedotti dalla sua voce, Lily Allen.
Il cognome dice già tutto. Figlio della working class, innamorato di Bruce Springsteen, nei suoi pezzi ammette di non avere risposte ma solo domande. Geordie 25enne, Sam Fender ha esordito con Hypersonic Missiles, un disco in cui canta di tendenze suicide, disturbi psichici, crisi in Medio Oriente, degeneri della comunicazione digitale, disoccupazione e conflitti di classe. Ricorda parecchio i colleghi americani Gaslight Anthem e, chitarra in mano, è il contraltare più crudo del pur sempre simpatico Ed Sheeran. Giusto: agli scorsi Brit Awards ha battuto il ben più famoso Lewis Capaldi e, sì, è anche un bel ragazzo che viene tanto bene nei servizi di moda.
“Un incrocio tra Adele e Amy Winehouse” è il commento di un nuovo fan sotto un suo video su YouTube, Strange. Parlavamo di tradizione e la voce di Celeste – classe 1994, padre giamaicano, madre dell’Essex – è puro soul vecchia scuola. Non ha ancora pubblicato un vero e proprio album, ma per la British Phonographic Industry il Rising Star Award 2020, ossia il premio della critica per le giovani promesse del Regno Unito, è tutto suo. Sì, ha avuto la meglio sulla sopracitata beabadoobee e su un’altra collega da tenere d’occhio: Joy Crookes, altra degna erede di Amy Winehouse e Lauryn Hill.
Nerdismo a livelli stratosferici. Quattro ragazzi di Londra che fanno math rock, iper-tecnicismo e tanto rumore per Schlagenheim, il loro album d’esordio pubblicato dalla storica Rough Trade. Da buoni figli di questo secolo, se ne fregano di generi ed etichette, ammettendo candidamente di essere cresciuti ascoltando King Crimson e D’Angelo, Sum 41 e Miles Davis, Johnny Marr e Lady Gaga. Il risultato è qualcosa di unico e sorprendente.
Tra gli effetti collaterali della Brexit potrebbe esserci un nuovo referendum per l’indipendenza della Scozia, una chiamata alle urne dall’esito imprevedibile per il Regno Unito. Proprio da Whitburn, poche decine di chilometri da Edimburgo, arrivano questi quattro giovincelli che non hanno alcun timore a definire la propria musica anthemic indie. Gli Snuts non hanno ancora pubblicato un album, ma singoli come All Your Friends e Juan Belmonte lasciano ben sperare: l’hype intorno a loro cresce, hanno già firmato per una major, Parlophone, ingolosita da questi promettenti nipoti dei Franz Ferdinand.