Dio benedica Robert Moog, grazie a lui la musica ha fatto un incredibile balzo in avanti. Perché, parliamoci chiaro, una chitarra, una batteria, un basso sono elementi indispensabili, ma la magia che riesce a creare uno strumento che prende energia dall’elettricità e la trasforma in suono ha del miracoloso.
Robert Moog ha creato delle macchine in grado di dare corpo a qualcosa di astratto. Prendete, se ne avete la possibilità, uno dei suoi Moog, magari la versione Mini, portatile e accessibile a tutti anche in versione digitale. Schiacciate un tasto della sua tastiera e divertitevi a manipolare il suono con i suoi molti cursori: non è qualcosa di trascendentale?
La sintesi elettronica ha a che fare con il nostro organismo: nervi e muscoli sono comandati da impulsi, viviamo immersi negli impulsi e quando sentiamo all’opera un sintetizzatore è come se entrassimo in risonanza con qualcosa che ci appartiene nel profondo. Il Moog è forse lo strumento musicale più vicino all’intima essenza dell’uomo. Ne sa qualcosa uno come Franco Battiato che negli anni ’70 ha iniziato a meditare proprio grazie ai suoni che riusciva a tirare fuori dai suoi synth: vi si immergeva e si perdeva.
Il sintetizzatore lanciato da Robert Moog a fine anni ’60 ha immediatamente successo perché va a scavare nell’anima di chi ascolta. Poi potremmo passare ore parlando di come è stato costruito, di tutti i vari modelli. Sviscerare quello che è stato lo sviluppo di questi strumenti, il loro avere fatto sì che nascessero mille generi musicali legati a essi, visto che il Moog e tutti i sintetizzatori successivi hanno aperto un universo di possibilità. Ma questi sono dettagli da nerd, ciò che conta è l’uso che è stato fatto di questi strumenti, uso descritto in 10 brani che ben rappresentano l’utilizzo di Moog e derivati in ambito pop-rock.
1“Brandenburg Concerto No. 3 In G Major” Walter Carlos (1969)
Lo statunitense Walter Carlos (che in seguito cambierà nome e sesso diventando Wendy) è uno dei pionieri nell’uso del Moog. Nel suo primo rivoluzionario album Switched-On Bach si lancia in una serie di rifacimenti riguardanti Bach. Incredibile come il sintetizzatore riesca a sostituire l’intero organico orchestrale non facendo mai sentire la mancanza degli strumenti veri, ma creando un vero modo alternativo di esecuzione che il compositore tedesco avrebbe apprezzato.
2“E.V.A.” Jean-Jacques Perrey (1970)
Altro pioniere, questa volta francese. Dopo anni di studi e sperimentazioni in campo elettroacustico, Jean-Jacques Perrey decide di sfruttare lo strumento in campo funk e proto-disco inglobando elementi di lounge ed exotica e andando a influenzare band come Air e Daft Punk. Il tutto per la magnificenza di E.V.A., tema immortale in seguito sfruttato per decine di commenti sonori nonché campionato da Ice T, DJ Premier, Fatboy Slim.
3“Lucky Man” Emerson, Lake & Palmer (1970)
Keith Emerson è il primo a portare il Moog nel rock con potenti bordate elettroniche che non temono di rivaleggiare con lo strumento principe: la chitarra elettrica. Anzi, nelle band in cui suona (Nice e ELP) la sei corde non c’è proprio, a simboleggiare quanto il sintetizzatore in quel periodo stia prendendo campo. Nel primo ELP di bordate ce ne sono a bizzeffe, ma è la ballata conclusiva Lucky Man a offrire il contributo al Moog più significativo: un assolo d’alta scuola che mette inseme tecnica e gusto melodico.
4“Impressioni di settembre” Premiata Forneria Marconi (1971)
Tra coloro che vengono influenzati dal lavoro di Keith Emerson su Lucky Man c’i sono i musicisti della PFM che però non sono interessati a usare il Moog per assoli pirotecnici, ma lo utilizzano per eseguire un tema che andrà a costituire il momento clou della loro Impressioni di settembre. Il pezzo (brumoso e battistiano a là Emozioni) a metà si apre inaspettatamente in un ritornello rock-sinfonico unicamente strumentale eseguito appunto con il Moog. Da qui la musica italiana non sarà più la stessa.
5“Popcorn” Hot Butter (1972)
Nel 1969 il già citato Jean-Jacques Perrey mette su un duo elettronico con l’americano Gershon Kingsley. Con questi si cimenta nella composizione di Popcorn, irresistibile motivetto che troverà fortuna nella versione degli Hot Butter (band fantasma composta da alcuni collaboratori di Kingsley), ancora più spinta nell’uso dei sintetizzatori. Diventerà un successo internazionale.
6“Il gabbiano infelice” Il Guardiano del Faro (1972)
Dopo una carriera come compositore per altri artisti (da Mina a Gaber passando per Orietta Berti) il milanese Federico Monti Arduini crea il suo alter ego, Il Guardiano del Faro. Armato di una pletora di sintetizzatori, si fa divulgatore dell’elettronica applicata al pop. Il suo Moog è protagonista assoluto della rivisitazione dell’inno inglese Amazing Grace intitolata Il gabbiano infelice. I tempi sono maturi per subire la fascinazione di quei suoni e del misterioso personaggio che li manipola: finirà primo in classifica.
7“Ritorno al nulla” Le Orme (1973)
Da uno dei sommi concept album del prog italiano, Ritorno al nulla è la cavalcata che pone fine alla tragica storia dei due pianeti gemelli. Su un concitato tappeto di batteria in crescendo e di organo Hammond, Tony Pagliuca moltiplica le parti di sintetizzatore offrendo uno sviluppo tipico della musica classica: un tema e tutta una serie di contrappunti in un vero bombardamento tastieristico.
8“I Feel Love (12” Version)” Donna Summer (1977)
La rivoluzione: i sintetizzatori entrano a gamba tesa in ambito disco e stravolgono il modo di concepire i brani ballabili che diventano laboratori nei quali sperimentare con tutti i nuovi ritrovati tecnologici. Ne sa qualcosa Giorgio Moroder. Il Moog ritmico (più tutta la sarabanda electro-psych a contorno) di I Feel Love, specie negli otto e passa minuti della long version, è pura goduria trance.
9“Blue Monday” New Order (1986)
Il discorso sulla dance creativa fatto per la hit di Donna Summer vale anche per i successori dei Joy Division che nel 1986 sono pronti a fare il balzo verso le classifiche mondiali grazie alle sequenze di Moog della celeberrima Blue Monday. Con bene in mente la lezione di Ian Curtis, il cantato di Bernard Sumner viene ammantato di spire sintetizzate a innalzare la new wave verso le stelle.
10“La femme d’argent” Air (1998)
A fine anni ’90 i francesi Nicolas Godin e Jean-Benoît Dunckel compiono un vero miracolo riportando in auge i migliori suoni vintage conditi da una patina di retro-modernità very French. I due ricuperano tutto il meglio dei decenni passati, dalla lounge fino al prog passando per la proto-elettronica del pluricitato Jean-Jacques Perrey. L’esordio Moon Safari si apre da La femme d’argent, un lento tripudio di Moog che si adagia sulle sponde di un placido mare lunare.