«Viviamo sotto assedio? No, per noi è una fortuna». E che fortuna: avere fan che li aspettano all’aeroporto o sotto l’albergo ogni volta che arrivano in una città per un concerto. Il giorno prima del loro live al Fabrique di Milano, i 5 Seconds of Summer sono in un hotel 5 stelle per incontrare la stampa e fuori ci sono ovviamente un po’ di adolescenti, tutte piuttosto tranquille.
Ma dalla sera dell’arrivo dei 5SOS a Milano c’è stata una sorta di spaccatura nel loro fandom, tra chi ha chiesto di lasciarli in santa pace e chi invece non ha resistito a una più o meno pacifica caccia al selfie. «Nonostante gli alti e bassi e i momenti di stallo, il fatto che ci siano sempre fan fuori dall’hotel ad aspettarci è una cosa meravigliosa», spiegano i quattro – Luke Hemmings, Michael Clifford, Calum Hood e Ashton Irwin – rilassatissimi mentre aspettano un caffè.
Ma voi avete mai fatto la posta sotto un hotel oppure inseguito per strada i vostri idoli adolescenziali? «Mai», risponde il batterista Ashton, seduto a terra mentre gli altri tre lo ascoltano seduti su un divano: «A Sidney vivevamo troppo lontano dalla città per incontrare i nostri gruppi preferiti. E non c’erano né Instagram né Twitter per sapere dove fossero. C’era solo MySpace». Su MySpace c’è la prima risata. Nati intorno alla metà degli anni Novanta, in effetti, i 5SOS sono sufficientemente anziani per ricordare la preistoria dei social network.
E torniamo dunque alle loro band preferite. «Mi piaceva l’hardcore», dice Ashton: «Gruppi come The Amity Affliction e Parkway Drive, e riuscivo anche ad andare ai loro concerti. Ma non erano le vere superstar che volevo vedere, tipo i Green Day, che non sono venuti in Australia così spesso. In generale, per le band era troppo costoso venire nella nostra città e, quando venivano, i biglietti costavano comunque troppo per noi».
Da qualche anno a questa parte, i 5 Seconds of Summer hanno lasciato Sydney per vivere negli Stati Uniti, a Los Angeles. Hanno preso casa nella San Fernando Valley, zona nota un tempo come tempio dell’industria del porno: «Sì, negli anni Novanta lo era, ma adesso è dura, il porno è un business che non tira più».
L’idea diffusa dell’Australia è quella di un posto meraviglioso, ma non è certo l’ideale per il music business. «Sì, è un posto meraviglioso per le vacanze», rispondono praticamente in coro. «Ma avevamo grandi ambizioni che possiamo coltivare solo a Los Angeles. Primo perché è più comoda: è tutto al massimo a 10 ore di distanza, arrivi velocemente ovunque. Secondo perché abbiamo fatto amicizia con le persone che stanno collaborando al nostro terzo album, il primo al quale stiamo lavorando con gente che frequentiamo quotidianamente. Trasferirci è stata la cosa giusta da fare: Los Angeles è una grande base per persone con grandi ambizioni».
Siparietto divertente. Calum, il bassista, pacatissimo: «Sydney potrebbe andare bene di nuovo in futuro, magari per mettere su famiglia, per crescere i figli. Ma non li farei a Los Angeles». Ashton che, tra tirabaci e pettorali e bicipiti evidenziati dalla camicia da bowling, è sicuramente il più bisteccone dei quattro: «Sì, a Sydney potrei forse far crescere un paio di Ashton”. Papà, papà… Sghignazzano tutti.
E ora sfatiamo un altro luogo comune: Los Angeles città da party 24 ore al giorno per 7 giorni alla settimana? Macché: a quanto pare, per i 5SOS è solo lavoro, lavoro, lavoro. «Nel corso di quest’ultimo anno, non c’è stato un momento in cui non abbiamo pensato al futuro e al bene del gruppo».
Ashton è il più impostato dei quattro, sempre serissimo: «Seguiamo quel che fanno i nostri amici. Le persone che frequentiamo sono tutte musicisti, songwriter, alcuni sconosciuti, altri di immenso successo. Gente come Mike Elizondo (produttore e autore che ha lavorato tra gli altri con Eminem e Dr. Dre, nda), con cui vogliamo stabilire un legame creativo e fare musica insieme, senza ripetere quel che hanno già fatto loro o che abbiamo già fatto noi in passato, ma far nascere qualcosa di nuovo».
Qualcosa di nuovo come Want You Back, il primo singolo che anticipa il terzo album dei 5 Seconds of Summer. Un pezzo distante dagli standard pop punk del XXI secolo: è infatti tanto pop e ben poco rock, con un piacevole piglio danzereccio, indubbiamente radio-friendly. Per certi versi, ascoltando i pezzi più morbidi dei 5SOS, vengono in mente i Duran Duran, band appunto citata in una loro canzone, Hey Everybody!. «Più che la loro musica», spiega Luke, «ci piace la strada che hanno percorso e l’influenza che hanno avuto anche su band australiane, come gli INXS. Ecco, ci sentiamo più influenzati dagli INXS che dai Duran Duran». E stando a certi ritmi e certe chitarre funky, ci sta.
Ma Luke, smalto rosso sulle unghie delle mani a parte, indossa una t-shirt dei Metallica, altro validissimo spunto per parlare ancora delle loro influenze musicali: «Da ragazzino avevo le tablature per chitarra di tutta la loro discografia: mi mettevo in cameretta e suonavo le loro canzoni. La prima che ho imparato è stata Enter Sandman». Storia simile per Michael: «Io ho imparato subito Nothing Else Matters, facilissima perché inizia con un accordo aperto». Vero, Mi minore arpeggiato. Luke: «Sad But True e Master of Puppets, pur essendo pezzi metal, sono scritte molto bene, sono grandi canzoni pop».
Il passato dei 5 Seconds of Summer sbuca prepotente dal berretto sulla testa di Michael, il ciuffo emo schiacciato, la voce leggermente impastata: «Più che la musica vera e propria, catturiamo lo spirito di alcune band, ed è questo che ci piace rielaborare e trasmettere».
Ma come nasce quindi una canzone dei 5SOS? «Scriviamo insieme», racconta Ashton: «In questo periodo ho un legame creativo interessante con Calum: lui scrive al piano, io lavoro sulle melodie e così escono le parole. Con Luke abbiamo fatto diversi viaggi insieme che ci hanno influenzati: studiamo altri songwriter, siamo stati in Svezia e abbiamo imparato da alcuni compositori lì, stessa cosa a Los Angeles, dove le persone sono sorprese da certi pezzi che tiriamo fuori. Ma è Michael il filtro definitivo: lui ha una visione chiara di cosa è davvero fattibile da un punto di vista compositivo, sa quel che piace ai nostri fan, ed è in grado di articolare il tutto nella nostra musica. Siamo una squadra, e questo è un momento di grande ispirazione per i 5 Seconds of Summer».
Scrivere canzoni, andare in tour, fare interviste, incontrare i fan. È questa la vita, è questo il lavoro di Luke, Michael, Calum e Ashton. Ben consapevoli di essere fortunati. «Il nostro non è certo il tipico lavoro», dice Michael: «E tutto questo non ci pesa perché è importante raccontare le nostre canzoni, fare ascoltare la nostra musica non solo ai nostri fan ma a più persone possibili, dimostrare che non siamo più gli stessi di quando avevamo 16 anni. I live però sono tutto: è il motivo per cui abbiamo iniziato e per cui andiamo avanti».
Calum parla poco, ma quando interviene colpisce nel segno: «Scrivere canzoni e poi farle dal vivo è un po’ come mettere al mondo un bambino e tagliare il cordone ombelicale. Lo liberi, impara a camminare e se ne va in giro a fare casino… Ogni album dà alla luce un altro album, ecco perché è bello andare in tour e accumulare esperienze tra un disco e l’altro». «Possiamo dire quindi che il primo album è il nonno del terzo?», gli rispondono ridendo i compagni di band. Sì, possiamo dirlo, ma c’è da aspettare ancora un po’ perché veda la luce. Sicuramente, arriveranno un altro paio di singoli nel prossimo futuro.
E allora veniamo alla vita on the road, la quotidianità in tour per i 5 Seconds of Summer. «Facciamo di tutto per non essere stressati: mangiamo bene e ci teniamo in allenamento. Non facciamo più troppe feste come un tempo, ci prendiamo cura di noi stessi. Cerchiamo di trattarci bene per resistere più a lungo».
Cos’hanno mangiato quindi a pranzo? Michael e Calum: «Salmone e broccoli al vapore. Che tristezza, eh?!? Aspettiamo stasera per bere qualcosa». Scambio di battute serrato. Luke: «Io mi sono fatto una pasta». Michael: «È una guerra costante tra il goderti il posto dove sei, divertirti, e pensare al concerto che devi fare la sera». Ashton: «Comunque, ci sentiamo ancora turisti e ci piace visitare le cose che abbiamo già visto e ci sono piaciute in passato, che sono state importanti per noi». Un esempio? «Il Duomo qui a Milano, che è dove abbiamo lanciato il nostro primo album davanti a 10mila persone. E poi ci piace tornare anche negli stessi locali». Club preferito a Milano? «Il Byblos! Ci siamo stati quando avevamo 17 anni, chissà com’è adesso… Lo scopriremo!».