Quando lo chiamo è in vacanza in Liguria, come noi mortali, mica Ibiza come i rapper di prima generazione. Perché quella di 8blevrai – il vero nome è Otmen Belhouari, classe 1997, nato in Marocco, vive a Predore in provincia di Bergamo – è una seconda generazione non solo di italiani, ma anche di rapper, con affinità musicali e divergenze di stile rispetto alla prima, come ci racconta in questa chiacchiera in videochiamata per l’uscita del suo primo EP, Immigrato, e di un documentario diretto da Fabrizio Conte e scritto da Marta Tripodi girato in Marocco durate il Ramadan che ci mostra 8blevrai in mezzo a quella che chiama la sua “gente”.
Il rapporto con la sua terra d’origine caratterizza l’identità di questo giovanissimo rapper che, grazie a una scrittura real e a un flow originale, ha attirato l’attenzione di Big Fish e Jake La Furia che l’hanno messo nel roster della loro etichetta Yalla Movement prima della firma per Sony per questo nuovo EP: pezzi malinconici, come la title track, che danno voce a chi si affida al mare in cerca di un futuro migliore si alternano al ritmo serrato di canzoni come Robe da maranza e Fame & fama che parlano di strada e periferia, in un mix di saudade e rabbia sociale che ha il suo climax con Poveri stronzi, ovvero quelli illusi e poi feriti dall’ipocrisia di questo mondo.
Non c’è spazio però per la retorica, quella 8blevrai l’ha lasciata alle generazione che c’era prima. Quindi ora, probabilmente, la retorica sta in barca a Ibiza.
Immigrato sembra quasi un concept che ruoto intorno a un unico tema, è così?
Sì, volevo legare queste canzoni con un tema che rappresenta me e la mia gente.
Una tua canzone di qualche mese fa, La Haine, è un omaggio a un film di culto che ormai ha più di vent’anni. Cosa è cambiato da allora?
Mi sono identificato con i protagonisti del film di Kassovitz, quella realtà in certi ambienti si vive ancora…
Nel film il razzismo è molto presente mentre nelle tue canzoni è una parola che non ho mai sentito.
Non uso più quella parola perché penso di aver superato crescendo il male che il razzismo può fare. Ora non lo sento più, invece da ragazzino l’ho vissuto sulla mia pelle. Forse mi sono semplicemente abituato, e non ci do più peso. Però non c’è solo il razzismo che riguarda il colore della pelle, ce ne sono di vari tipi, tipo tra ricchi e poveri.
La parola “odio” però ricorre in ogni tuo pezzo, odio nei confronti di certe persone, delle istituzioni, delle forze dell’ordine.
L’odio verso le istituzioni c’è sempre stato e continuerà a esserci, è uno stile di vita quando nasci in certe situazioni e vivi determinati ambienti. Ormai è un dato di fatto, un’abitudine, sia per chi prova questo odio che per chi lo riceve.
In Immigrato campioni L’italiano di Toto Cutugno. Come mai questa scelta?
Questa canzone l’ho scritta appena tornato dal Marocco, luogo dove sono nato e cresciuto. Ho potuto osservare con uno sguardo un po’ più maturo la situazione della mia gente e lì la canzone di Toto è famosissima, rappresenta non solo l’Italia ma il sogno di molti ragazzi di andarci a vivere. E io, parlando da qui, dall’altra sponda del mare, della mia gente ho pensato di farlo così con “lasciatemi cantare, sono un immigrato”.
Nell’EP ci sono molti riferimenti a quella che chiami la tua “gente”…
Credo che gli immigrati in Italia siano già integrati, io voglio far conoscere a chi sta qua l’altro mondo aldilà del mare, quello della mia gente che è rimasta in Marocco.
Ti interessa anche il lato politico dell’integrazione? Penso alle battaglie per lo ius soli, o lo ius scholae.
Mi cogli impreparato, non seguo la politica.
Ma, vivendo nella provincia bergamasca, conoscerai la Lega e le sue idee su politica e società?
Sì, ma non gli do più peso, ora la politica sta fuori da tutto quello che vivo.
Ora c’è una wave che si sta affermando, giovani di seconda generazione come Seven 7oo, Baby Gang. È un movimento di cui senti di far parte?
Sì, siamo tutti emergenti.
E in cosa è diverso dal rap di prima?
Non vedo molta differenza, anzi il rap sta tornando proprio ora, con questa nuova wave.
Però esteticamente un cambiamento c’è stato: siamo passati dal bling bling tutto Gucci e Fendi alle tute e alle squalo. Vestiti meno costosi, meno ostentazione.
È cambiata la generazione, e questo ha portato qualcosa di nuovo. Prima si copiava molto l’America, adesso il riferimento è la Francia: tute e Nike TN, che poi è uno stile che arriva dal Nord Africa.
Hai rappato insieme a Paky in L’amore e la violenza di Jake La Furia, due generazioni a confronto che, mi hai appena detto, si assomigliano.
Sono cresciuto ascoltando i Club Dogo e per me è stato un onore suonare in suo disco, come lo è essere prodotto da Fish.
Ora riesci a campare con la musica o hai anche un altro lavoro?
Ogni tanto faccio lavori di giardinaggio, prima ho fatto qualsiasi cosa.
In Marocco ascoltano la tua musica?
Ora che ci sono tanti emergenti italiani di origine marocchina stanno iniziando ad ascoltarlo pure lì.
E mi sembra che tu abbia messo un po’ di sound marocchino nel tuo disco, o sbaglio?
Sono cresciuto ascoltando musica tradizionale araba, berbera, e sicuramente quei suoni sono finiti nell’EP.
Dopo questo EP inizierai a suonare live in giro. Ti porterai dietro la bandiera del Marocco?
Pensavo di farlo già qualche settimana fa, quando ero ospite di un altro artista, ma sicuramente ai miei prossimi concerti sul palco ci sarà la bandiera della mia gente.