La voce gira, sì, tra amici, appassionati, fiancheggiatori: Notte immensa è uno dei dischi migliori degli Assalti Frontali, è un lavoro di spessore. Per qualcuno questo è semplicemente una rassicurazione, e la conferma di una certezza mai messa in dubbio: perché gli Assalti sono da tempo fra i pochi, pochissimi portabandiera di un certo tipo di rap: quello dei centri sociali, quello politicamente impegnato, quello che sta a «sinistra / a sinistra / all’estrema sinistra»; un rap che oggi è un po’ panda, un po’ curioso oggetto di modernariato, oggi che il rap è invece il grimaldello cinico, crasso ed adolescenzialnazionalpopolare per entrare di botto nelle stanze del mainstream, prendersi le poltrone più in vista e mettere i piedi sul tavolo. C’è una nicchia precisa per cui Assalti Frontali sono un dogma, la più sincera e barricadera delle abitudini. Ma allargando l’obiettivo: a chi interessano gli Assalti Frontali nel 2024, anzi, ormai 2025?
Per fortuna, ad ancora più di qualcuno. Alzando ulteriormente la posta della domanda: a chi servono Assalti Frontali, in questo 2024 che ormai è 2025? Risposta: in realtà a tutti. Servono, o almeno servirebbero, perché Luca Mascini alias Militant A è una persona talmente intelligente e al tempo stesso umana da aver saputo scivolare piuttosto bene dal ruolo di carismatico e incendiario barricadero antagonista di inizio ’90 zero compromessi a quello odierno di persona capace di critica e autocritica, pronto ad adeguarsi ai tempi – suoi, e delle società – prendendoli per quello che sono ma senza mai svendere se stesso. Il rap in Italia è ancora un genere musicale e diremmo culturale abbastanza giovane, acerbo, ancora non del tutto capito: c’è bisogno di persone di spessore ed esperienza che lo sappiano raccontare, rappresentare, “respirare”. Dargli cioè una dimensione storica, sociale, ad ampio respiro; non solo un battito di ciglia arrogante e individualista, per quanto di successo, per quanto certificato oro o platino.
A un certo punto nella nostra chiacchierata con Luca, tocchiamo nelle nostre considerazioni il bel documentario Una vita all’assalto di Paolo Fazzini e Francesco Principini, dedicato all’incendiaria nascita del progetto Assalti Frontali ed uscito poco tempo fa. Ed è un bel grimaldello. «C’è un passaggio bellissimo in cui, intervistato dagli autori, Ice One dice su di me una cosa bellissima, di cui lo devo ancora ringraziare – e intanto inizio col farlo qui. Dice qualcosa tipo “È incredibile pensare agli occhi di Luca sulla scalinata dell’Università di Geologia occupata, mentre canta Batti il tuo tempo, con uno sguardo davvero infuocato”, tutto questo contrapposto al me di oggi che va in giro per le scuole, si scioglie di fronte ai ragazzi, insegna ai bambini a fare rap con tanto amore… Ecco, io sono felicissimo della mia evoluzione. Davvero. È inutile avere dei rimpianti. Da pischello avevo una testa un po’ da matto: vero, verissimo. Sentivamo che stavamo a fare la rivoluzione per davvero, capisci? Salivo sul palco ogni volta come se fosse una battaglia! Ma la verità è che allora mentre lo facevo ero preso comunque da mille paranoie su cosa dovevo fare o non fare, dire o non dire; oggi, invece, quando salgo sul palco sono sereno. Completamente sereno. Sono felice. E voglio che tutti siano, molto semplicemente, felici».
Una pausa di riflessione, poi Luca prosegue: «Cosa significa questo, che avrei dovuto avere allora la testa di oggi? No, assolutamente no. O significa magari che rimpiango il fuoco che avevo allora, e che oggi invece è cambiato, si è ammorbidito? No, nemmeno. È tutto giusto così. Canto ancora “In alto la mia banda!”, ma lo faccio anche assieme ad altre cose, e l’atmosfera che si crea ai miei concerti – che lega ormai generazioni diverse fra loro – mi piace parecchio. Mi dà tranquillità».
Una tranquillità, e una saggezza, che Militant A tira fuori anche quando lo portiamo – inevitabile, visto che lui che ormai gira tanto per le scuole e parla tanto con i ragazzi giovanissimi – a parlare della piega che ha preso il rap oggi. Un rap, che sia trap o meno, che rispetto agli impegnatissimi, ascetici e rivoluzionari primi anni ’90 è diventato invece un inno al consumismo, all’ostentazione di beni materiali, al disimpegno politico. Giusto? «Guarda, ci sta. Si vede che oggi i ragazzi hanno bisogno un po’ di questo»: questo l’incipit accomodante. Ma la prosecuzione del discorso è interessante assai: «E poi, sai perché oggi tutto il rap è così? Perché si è diffusa la convinzione che il rap si può fare solo in questo modo qua: parlando insomma di certi argomenti, in un certo modo… All’industria va bene così, non fa nulla per cambiare le cose: tanto a lei interessa solo fare i numeri».
«La droga, la macchina, il vestito: se non parli di queste cose, sembra quasi che sei noioso. O addirittura che quello che fai non sia proprio rap. Oggi i ragazzi sono convinti di questo. In realtà il rap può essere tutto, ed è una traduzione – spesso non semplice – del proprio pensiero, della propria individualità. Seguire solo quello che funziona e che fanno tutti è la cosa più comoda e semplice da fare. E il mercato, appunto, incentiva questa pigrizia. Al momento gli fa gioco». Ma… «Ma, le cose comunque cambiano. Sono cambiate ai tempi nostri, cambieranno ancora. Oggi se non vai a Sanremo non conti un cazzo; ai tempi nostri a non contare un cazzo nel rap erano proprio quelli a Sanremo ci andavano. Ma che dire? Non sono qua per giudicare. Che ognuno si giochi le sue carte come preferisce. Io non voglio imporre niente a nessuno: faccio la mia parte, tiro fuori il meglio di me, mi impegno il più possibile – e guarda, sono ancora qua. È appena uscito il nostro undicesimo album: esserci, essere ancora qui, in movimento, felici, già è davvero bello».
Esserci, e con un disco che sta pure convincendo parecchio. Lo diciamo: a dirla tutta, Luca, sta convincendo più di quelli precedenti. «Effettivamente gli ultimi dischi erano stati un po’ più, diciamo, pedagogici… Questo è molto più libero. Come mai? Non lo so, forse ora i miei figli sono diventati più grandicelli. O forse molto semplicemente ho sentito un grande bisogno di tornare a parlare proprio dei grandi eventi storici che ci stanno circondando e questo mi ha dato un’attitudine diversa, mi ha dato una forza differente, mi ha appunto liberato. Prendi la Palestina, ad esempio: una questione che mette in discussione tutta una serie di certezze su cui noi occidentali ci eravamo adagiati. Noi, che ci sentivamo il grande faro della democrazia e dei diritti umani».
Peraltro, parlando più a fondo con Militant A di cortei, mobilitazioni e quant’altro, salta fuori che proprio una manifestazione per la causa palestinese è stata una sorta di stimolo-al-contrario per lanciarsi a creare Notte immensa: «Un giorno stavo andando a una manifestazione per sostenere la causa palestinese e, arrivo lì, trovo poca gente. Molto, molto poca. Di primo impatto mi prende una grande delusione, e sto per decidere di lasciar stare, di non unirmi nemmeno alla cosa, tornandomene a casa. Proprio quando ho iniziato ad allontanarmi, mi è scattato qualcosa dentro, che mi ha fatto dire: no, devi tornare lì, devi darti da fare… Sono salito sul camion in testa al corteo, ho preso il microfono, ho cominciato a rappare mettendo appunto il focus sulle rime, che poi è il titolo della canzone che ha dato un po’ la scintilla iniziale a Notte immensa. Questo e nient’altro, all’inizio. Il focus sulle rime. Mi sono subito sentito bene. Mi sono sentito davvero nel mio mondo. Da lì, abbiamo iniziato a caricarci tutti quanti, lì al corteo, ed è stato bellissimo. Appena finito il corteo stesso sono corso in studio a raccontare ai miei soci quello che era successo: il lavoro sull’album è iniziato così».
Sul perché quella manifestazione fosse così poco partecipata, Militant A non si tira indietro: «Era poco partecipata, beh, per tanti motivi. Un po’ di stanchezza; il fatto che oggi il movimento è molto spezzettato. Oggi, è vero, si fa più fatica a ritrovarsi tutti assieme, manca una spinta a ricomporre le varie anime e le varie idee. Però sono convinto che covi sotto la cenere una sensazione molto, molto diffusa, che tocca un po’ tutti: il fatto come ti dicevo che stiamo tornare a fare i conti, come mai negli ultimi anni, con la storia, con la grande storia mondiale. Tentano di farci credere che noi non possiamo farci nulla, ma io ricordo bene cosa ci diceva quel personaggio incredibile che era Georges Lapassade, antropologo francese: la società è la risultante dell’incontro tra una forza istituente che viene dal basso, che è di sua natura libera, e lo status quo del potere che invece viene calato dall’alto. Quanto più forte sarà la spinta dal basso, più sarà libera la società in cui vivremo».
E se restiamo sulla storia, nella piccola (ma ormai nemmeno tanto piccola) storia del rap italiano gli Assalti Frontali ci sono, Militant A questo lo rivendica. Con toni calmi, ma con forza. «Puoi dire quello che ti pare, ma la storia è fatta sempre da eventi-simbolo e un evento-simbolo nella storia del rap italiano è stata l’uscita di Batti il tuo tempo. Per quello che è stato, per quello che ha rappresentato, per le energie che ha liberato. E lì noi c’eravamo. Eravamo noi».
A rinforzare il concetto, aggiungiamo volentieri: se Batti il tuo tempo è stato il primo brano di rap in italiano uscito su disco, e lo è stato, il primo album è stato Terra di nessuno, ovvero quando Onda Rossa Posse si è rimodulata in Assalti Frontali. «Se racconti la storia del rap in italiano, se hai un minimo di onestà intellettuale, noi dobbiamo esserci. Non lo dico per vantarmi, non lo dico per rivendicare alcunché, anche se ovviamente siamo molto orgogliosi di aver poi resistito nell’arco degli anni mantenendo sempre un certo tipo di coerenza, senza mollare mai. Ma il punto è che sì, siamo perfettamente consapevoli che oggi magari ci sono persone molto più forti di noi, che fanno numeri molto più alti dei nostri, ma noi comunque siamo nella storia: e questo è una cosa che non ci può togliere più nessuno. Naturalmente guardiamo avanti, pensiamo al futuro, ci piace pensare che cose ancora più belle arriveranno. Ma intanto noi ci siamo, abbiamo lasciato una traccia importante che nessuno può disconoscere. E siamo ancora qui. Integri. Coerenti».
Ci siete voi, non ci sono più invece i Sangue Misto, a proposito di momenti fondamentali e fondanti per la musica rap in Italia. Si è parlato un sacco del trentennale di SxM, e la ristampa del disco fatta di recente dalla Warner ha pure toccato numeri interessanti, forse sorprendenti. All’epoca si era creata quasi una contrapposizione tra Assalti Frontali e Sangue Misto: da un lato voi Assalti, i cavalieri del rap delle posse, politicamente impegnato e schierato, legato a doppio filo coi centri sociali; dall’altro i Sangue Misto, l’espressività hip hop pura, il distacco dal DNA politicizzato… «In realtà a noi Assalti SxM quando uscì piacque moltissimo, e glielo dicemmo pure ai Sangue Misto: loro lo sanno. Ma vedi, quello in realtà è un disco molto, molto, molto politico, al contrario di quello che si diceva in giro quando lo si contrapponeva a quello che facevamo noi. È un disco con uno stile incredibile, ma anche con tanto, tanto contenuto. E intendo proprio contenuto politico. Se lo riascolti bene, ad esempio prendi una traccia come Lo straniero, il clima da primi anni ’90 si sente tantissimo: quello dei centri sociali occupati, di un certo tipo di messaggi, di istanze, di sensibilità… SxM è un disco perfetto. Poi loro secondo me hanno cambiato direzione, perché volevano emanciparsi in primis da se stessi e da quello che avevano fatto, perdendosi un po’: hanno in qualche modo ripudiato SxM, sì, ma perché volevano di partenza proprio ripudiare se stessi».
All’epoca comunque la rivalità un po’ si sentiva, anzi, più di un po’. Militant A sorride: «Un po’ di competizione è sempre giusto che ci sia, se è competizione sana. Non era nemmeno una competizione fra persone in realtà, ma fra scene, fra città: c’era Roma, c’era Bologna, ma c’erano anche Torino, Milano, il Salento, ognuno era giustamente orgoglioso di quello che faceva. Ma l’humus originario era lo stesso. E quando qualcuno della scena rap veniva a Roma a fare concerti, la serata venivano a finirla sempre al Forte Prenestino, da noi, a stare bene. A stare bene insieme».