«Da quando Trump è stato eletto, mi è capitato un sacco di volte di guardare il telegiornale con in testa una canzone delle Bikini Kill», dice Kathleen Hanna. «È come se avessi bisogno di sentire quella musica».
Non è l’unica. Dopo la reunion dell’anno scorso – 22 anni dopo lo scioglimento – con la bassista Kathi Wilcox e la batterista Tobi Vail, Hanna è tornata a suonare canzoni come Rebel Girl di fronte al pubblico più grande della sua carriera. «Con i movimento #MeToo e un presidente che dice Grab’em by the pussy, è difficile non pensare: ok, il femminismo sta tornando», dice la cantante oggi 51enne.
Hanna ha scoperto il femminismo a 19 anni, quando ha letto per la prima volta Il secondo sesso di Simone de Beauvoir e si esibiva leggendo poesie che parlavano di sessismo e violenza. Poco dopo avrebbe riempito i club con le Bikini Kill. Sul palco, gridava ricoperta di vernice, spesso con la parola slut, troia, scritta sulla pancia. Dopo lo scioglimento del gruppo, Hanna ha continuato la sua strada con i gruppi Le Tigre e Julie Ruin. All’inizio, non era sicura di volere riunire la band. «Non volevo essere la parodia di me stessa», dice. «Ma ero così eccitata all’idea di sentire quelle canzoni dal vivo che mi è sembrato tutto giusto e naturale».
Rispetto agli anni ’90, dopo la reunion il mondo ha accolto le Bikini Kill con molto più calore. «Non abbiamo mai ricevuto così tanta positività e amore», dice Hanna, «e non dobbiamo sprecare le nostre energie contro una fanzine che pubblica un articolo sul mio culo».
Vail, 50 anni, sente la stessa energia. «Ai nostri concerti viene gente di tutte le età», dice. «Quando eravamo nella scena punk c’erano solo ventenni. Non era una cosa intergenerazionale come adesso. Sembra speciale».
La batterista è convinta che Tell Me So, una canzone catartica contro lo sguardo degli uomini pubblicata nell’album del 1993 Pussy Whipped, abbia una forza particolare. «Suonare quella canzone mi faceva sentire come un neonato che piange, qualcosa del genere, ma in un modo bizzarro sembrava anche naturale, perché è molto performativa. Nelle Bikini Kill potevo essere più femminile, perché avevo il controllo».
All’epoca del #MeToo, la riconquista di una femminilità separata dal desiderio maschile sembra ancora più rilevante che in passato – e nel catalogo delle Bikini Kill c’è una canzone giusta per ogni sentimento. «Faccio fatica a finire Feels Blind senza piangere. Devo davvero impegnarmi», dice Wilcox, 50 anni, a proposito della canzone dell’EP di debutto del 1991 in cui Hanna proclama: “Sono la donna che mi hanno insegnato a essere: affamata”.
«Adesso quando guardo le prime file vedo un sacco di gente che piange, e so che non sono l’unica», dice Wilcox.
Il fatto che in America questo sia anno di elezioni non è indifferente alle musiciste delle Bikini Kill, ed è per questo che hanno organizzato un tour concentrato e non tanti concerti separati. «La gente è nervosa, soprattutto le donne, e c’è molta rabbia ancora in giro», dice Wilcox. «Con i nostri concerti tutti possono unirsi in una sala e godersi il momento. Non mi sembra che siano lì solo per la nostalgia, come a dire: “Ehi, sto sentendo la stessa band che ascoltavo quando ero un teenager”. C’è una sensazione positiva, come se fossimo rilevanti».
L’ultima volta, ricorda Hanna, ha suonato a New York con le Julie Ruin poco prima della vittoria di Trump alle elezioni del 2016. «È stato catartico. Almeno non eravamo tutti a casa a piangere ascoltando i dischi di Cat Power». Sta ancora cercando di decidere chi supportare nelle primarie del Partito Democratico, ma dice: «Credo in Elizabeth Warren. Vorrei tanto vederla vincere».
Nel frattempo, tornerà in tour con la band da cui tutto è cominciato. Si parte con alcuni show di beneficienza nella loro città, Olympia. «Viviamo senz’altro in tempi turbolenti», dice Hanna. «Ma suonare è… fortificante».