Zappa è un’immersione negli immensi archivi del musicista ai quali il regista Alex Winter ha avuto accesso illimitato. Il film, che arriverà in Italia in autunno, è il documentario definitivo su Frank Zappa, ne esplora la carriera musicale, il pensiero politico, il rapporto con musicisti, famiglia, fan, avvalendosi dei contributi della vedova di Frank, Gail Sloatman, e di molti dei suoi collaboratori e amici tra cui Mike Keneally, Ian Underwood, Steve Vai, Pamela Des Barres, Bunk Gardner, David Harrington, Scott Thunes, Ruth Underwood, Ray White.
Lo sfaccettatissimo universo del compositore di Baltimora viene condensato in due ore, soffermandosi in particolare sul lato umano: l’uomo, il padre, il marito. Ed è proprio su questo aspetto che ho basato parte della mia chiacchierata con Ahmet Zappa, terzogenito del musicista che ha seguito il progetto sin dall’inizio insieme alla madre (venuta a mancare nel 2015), generando alcuni dissapori con il fratello Dweezil e le sorelle Moon Unit e Diva.
Da dove viene l’idea del documentario e perché Alex Winter?
L’ho conosciuto quando avevo circa 12 anni, siamo diventati subito amici. È stato lui a chiedermi come mai nessuno avesse mai fatto un documentario ufficiale su mio padre. C’erano stati dei tentativi e mia madre mi aveva coinvolto in riunioni con registi e produttori, ma nessuno era mai riuscito a portare a conclusione il progetto per la mancanza di fondi o per altri motivi, ma soprattutto perché alla fine mia madre non era mai del tutto d’accordo con i registi. Ho portato quindi Alex a conoscerla e a passare un po’ di tempo con lei. Mi sono inoltre assicurato che Gail vedesse alcuni documentari di Alex. Tra i due è nata una grande amicizia e un legame di fiducia. Abbiamo dato ad Alex accesso agli archivi ed è impazzito di gioia. Gli abbiamo detto che non volevamo censurare il suo punto di vista, il film sarebbe stato suo, noi ci saremmo assicurati che avesse tutto quello che gli serviva. Penso sia riuscito a ricostruire il contesto della vita di un compositore come Frank. Ci sono alcune cose nel film che sono molto difficili da vedere per me, c’è di tutto: le cose belle e le brutte. È un ritratto molto onesto di mio padre e ne sono molto fiero.
So che la genesi del documentario è stata travagliata e che ci sono state tensioni tra te, tuo fratello e le tue sorelle, dico bene?
Dopo la morte di mia madre ci sono state molte discussioni, in gran parte perché le persone non avevano informazioni corrette, è stato terribile e non ho gran voglia di parlarne, ma la morte dei nostri genitori è stata ben peggio delle nostre discussioni. Per quanto riguarda il film, all’inizio forse ci sono state delle opinioni non espresse, paure, informazioni insufficienti… non lo so. Ho cercato di passarci sopra. Io sono un libro aperto, faccio tutto alla luce del sole, in modo trasparente. Cerco di comunicare il più possibile, anche perché sono affari di famiglia. Credo che comunque alla fine siano tutti molto contenti del documentario. Hanno le loro opinioni ma immagino che siano d’accordo con me sul valore del film, che ne siano orgogliosi.
Zappa si sofferma parecchio sul lato umano oltre che su quello musicale.
C’è un buon equilibrio. Ci sono stati diversi montaggi del film, Alex ci ha messo più di cinque anni. Continuava a scoprire vecchie riprese e dialoghi, è stato incredibilmente difficile. Gli addetti al montaggio hanno fatto un bellissimo lavoro, passare al setaccio tutte quel materiale non è stato facile.
Ho visto la sequenza dell’ultimo concerto di Frank, quando ha suonato la chitarra nella Repubblica Ceca, molto emozionante…
Quando vedo quelle riprese anche io mi emoziono molto, perché so quanto era malato all’epoca. C’erano delle giornate buone e altre no. Non riesco a immaginare cosa pensasse in quei momenti, conscio della sua mortalità, con tutta quella gente che lo apprezzava.
Veniamo a sapere che a Praga Zappa fu nominato rappresentante per il commercio e gli affari culturali dal presidente Václav Havel e che si recò più volte a Mosca per cercare di contribuire a migliorare le relazioni est-ovest, osteggiato delle amministrazioni Reagan e Bush.
Sì, mi fa ridere con quel cappellone di pelliccia. Quando lo vidi da bambino gli chiesi se gli servisse davvero e lui rispose che faceva un cazzo di freddo tremendo da quelle parti.
È vero che da giovane voleva lavorare nel mondo del montaggio cinematografico e non fare il musicista?
Credo che alla fine abbia fatto entrambe le cose. Ha lavorato su molti progetti video, quindi ha fatto in modo che il suo sogno diventasse realtà. Il montaggio di una pellicola è simile alla composizione di un pezzo musicale che può essere assemblato in vari modi. Lui sperimentava non solo con la musica, ma anche con il video. Credo che 200 Motels sia il primo video da lui girato e poi trasformato in un film. Frank era molto diligente nel suo approccio alla risoluzione dei problemi. Molto cool.
Da bambino Frank aveva una vera passione per gli esplosivi.
Sì, l’ho saputo per la prima volta quand’ero bambino e cercavo di sperimentare con sostanze chimiche che trovavo sotto il lavandino, oppure mescolando liquidi infiammabili per distruggere i miei giocattoli. Mi colsero in flagrante a produrre delle esplosioni in una zona dietro casa e mia madre mi mandò a parlare con papà. Disse che mi capiva, che avevamo alcune cose in comune, ma che da piccolo aveva rischiato di farsi esplodere le palle e di farsi seriamente male. Non era arrabbiato, aveva un suo modo di farsi capire. Disse che se volevo continuare a fare queste cose dovevo farlo in modo sicuro e sapere di più sui materiali con cui lavoravo. Mi spiegò che quand’era ragazzino si informava andando a leggere libri in biblioteca e che anch’io avrei dovuto documentarmi. Era un genio anche in questo. Io lo capii, ma chi cazzo aveva voglia di leggere quei tomi belli grossi? Ora che sono padre apprezzo il modo in cui Frank si è comportato in situazioni come quella. Nell’autobiografia Frank scrive di formule su un combustibile per razzi. È impressionante.
La sua autobiografia è spassosa: l’idiosincrasia per le feste, i pranzi di famiglia, ma anche gli spuntini notturni. Ti ricordi quei tempi?
Sì. La famiglia di Frank era molto povera, potevano permettersi solo certi cibi ed è da lì che vengono le passioni segrete di mio padre: i tagli di carne più convenienti, gli hot dog veloci da preparare, il cibo poco costoso continuava a piacergli, così come gli piaceva un piatto di pastasciutta ben fatto oppure una buona bistecca.
Fin da giovanissimo Frank si appassionò a quello che lui definiva musica strana. Le composizioni di Edgard Varèse, ad esempio. Da qui emerse il desiderio di creare la propria musica strana…
Capisco quello che vuoi dire, ma non la metterei così. Sulla copertina di Ionisation, il primo disco di Varèse che mio padre comprò, il compositore sembrava uno scienziato pazzo. Questo fu di ispirazione per Frank, un qualcosa che la gente non capiva e bollava come assurda, ma nella quale lui intravedeva della bellezza. Quello che per gli altri era strano, per Frank era fantastico. Ma non credo che volesse fare musica strana, ha dato semplicemente sfogo alle sue passioni. E penso gli abbia dato forza sapere che c’erano altre persone che facevano musica che lui trovava interessante e che lo ispirava. Continuava a scoprire cose che gli piacevano, ma non avevano necessariamente lo stesso impatto della musica che aveva ascoltato da bambino. Voglio dire, io ascolto ancora con affetto le cose che ho scoperto dagli 11 ai 17 anni, per me rappresenta ancora la musica migliore del mondo e credo che lo stesso valesse per Frank. Gli piacevano sia il doo-wop che Varèse e li ha integrati nelle sue composizioni.
Nel documentario viene fuori anche la sua ricerca della perfezione, che secondo alcuni l’ha reso solitario ed egocentrico. Alex Winter non cerca di addolcire questo aspetto del suo carattere. Cosa ne pensi?
Ci sono varie interpretazioni. Per mia madre e per me era importante che Alex facesse il film che voleva, ma guardandolo trovo paradossali certe cose che le persone pensano di Frank. Per alcuni era un tipo non molto socievole, per altri era uno che abbracciava chiunque. Per me era semplicemente autentico. Amava le persone, certe persone più di altre. Era umano e dal film si capisce che aveva le sue giornate sì e quelle no, era molto concentrato su quello che faceva, ecco perché poteva sembrare egocentrico ed egoista. Se non riuscivi a fare quello che ti aveva chiesto allora non eri la persona giusta per il lavoro. Capisco come alcuni potessero sentirsi offesi, o pensassero che lui fosse una persona con cui era difficile andare d’accordo, ma sono fiero che lui abbia fatto tutto quello che era necessario per realizzare il suo lavoro.
Quando eri bambino lui era sempre in giro per concerti o se ne stava rintanato in studio. Ti mancava?
Sì, certo. C’erano momenti in cui avrei voluto più attenzione da parte sua. Eravamo quattro bambini e volevamo tutti la stessa cosa, l’attenzione dei genitori. Ma anche adesso che sono padre anch’io e sono conscio dei bisogni dei miei figli, capisco le sue difficoltà. Doveva mantenere uno stile di vita costoso: quattro figli, tutti iscritti a scuole private, e non è che la sua musica avesse un gran successo commerciale. Lui si autofinanziava, investiva nella sua arte, bisogna tenerne conto. Ora che devo farlo anch’io riesco a perdonargli certe cose. Avrei voluto passare più tempo con lui, ma è andata com’è andata. Il tempo che passavamo insieme però era meraviglioso. Paradossalmente solo quando si ammalò riuscì a recuperare, non era mai stato così tanto tempo a casa.
Cosa pensi della relazione con Gail? Tu madre ha avuto tanta pazienza con lui, per molti versi.
Il documentario parla anche del fatto che Frank andasse a letto con altre donne, cosa che io all’epoca ignoravo. Si sa che mio padre ha tradito Gail più volte, ma tradimento non è la parola giusta perché lei lo sapeva benissimo, i miei genitori avevano un accordo. Questo non significa che i sentimenti di mia madre non fossero feriti, ma non ce lo faceva sapere. Io non ne sapevo niente da bambino. Assolutamente niente. Per me erano mamma e papà, ed eravamo tutti insieme. Magari a volte capitava di sentire una discussione tra loro, ma ci proteggevano da tutto questo. Mia madre era una persona determinata quanto Frank ed erano i migliori amici l’uno dell’altra. Condividevano tanti valori, erano una squadra. Frank poteva contare sul sostegno di Gail che lavorava per assicurarsi che i dischi uscissero, organizzando le vendite per corrispondenza. Lei era veramente il suo socio, nella vita e nel lavoro, e credo meriti più rispetto. Tutti parlano di Frank, ma ci vuole una squadra per produrre un disco. Io adesso faccio i miei dischi e ho una squadra che lavora con me da vent’anni, nella quale ognuno fornisce un contributo. Il documentario che è uscito su Yoko Ono mostra il lavoro di squadra di lei e John, e la stessa cosa vale anche per i miei. È vero, Frank andava con altre donne e non mi fa piacere saperlo, io non lo farei, non è il mio stile di vita, ma ciò non leva nulla al fatto che lui e Gail si amassero molto.
Qual è il tuo album preferito tra quelli di tuo padre e perché?
Mi piace molto Sheik Yerbouti soprattutto perché pensavo che Frank avesse scritto Baby Snakes per me. Mi fece una cassetta e prima ancora che uscisse mi regalò un mangianastri per Natale con dentro quella cassetta sulla quale aveva disegnato dei piccoli serpenti. Ecco perché l’album che la contiene ha un posto speciale nel mio cuore. Ora che sono adulto, il mio preferito è Philly ’76, perché sono ossessionato da Lady Bianca, adoro sentirla cantare le canzoni di Frank.
Cosa pensi direbbe tuo padre del politicamente corretto?
Se Frank fosse qui ad affrontare la cancel culture andrebbe in tutti i telegiornali a prendere in giro la gente, a dire quanto sono idioti. Ma allo stesso tempo cercherebbe di capire i problemi reali, mettere da parte le cose che ci distraggono per arrivare a un vero cambiamento. E lo farebbe con il suo senso dell’umorismo, farebbe discorsi sensati a persone che dicono cose senza senso.
Quali saranno le prossime uscite tratte dagli archivi? Sulla base di quali criteri scegliete cosa pubblicare?
Decidiamo soprattutto ascoltando i fan. Conta il tipo di nastro, quanto sarebbe complicato prepararlo per la pubblicazione, se ci sono buone fotografie, se è possibile contattare chi c’era. Personalmente sono interessato al materiale dei primi Mothers of Inventions e a quello anni ’80. Non abbiamo un programma e dobbiamo ancora cercare i nastri, ma vorrei pubblicare materiale dalle session di Them or Us e You Are What You Is, all’epoca ero bambino e mi ricordo di tanta roba poi messa da parte, voglio sapere se ho ragione e magari fare come con il box su Hot Rats o quello sul Roxy. È una forma di archeologia musicale, ma è divertente.
Programmi per la pubblicazione di The Rage and the Fury, il tributo a Edgar Varèse?
È uno dei motivi per i quali sono arrivato in ritardo a questa intervista (ride).
C’e dell’altro materiale video del 1974 che potreste pubblicare?
Parecchio. Non so quando potremmo pubblicarli, ma ci sono un paio di spettacoli che hanno perso la sincronizzazione, quindi dovremmo lavorare per combinare l’audio e il video, mentre il Roxy era piuttosto solido, ne sono orgoglioso. È uno dei primi progetti su cui ho lavorato insieme a mia madre, prima che morisse. Abbiamo un sacco di riprese, ore e ore di roba, Frank non smetteva mai di filmare.
Secondo te, cosa piacerebbe a Frank della musica di oggi, e cosa odierebbe?
Penso che apprezzerebbe le possibilità offerta dalla tecnologia, il collaborare a distanza con musicisti in tutto il mondo. Quand’era vivo non c’era neanche Pro Tools. Immagina cosa sarebbe successo se gli si fosse dato in mano il potere di tutti gli strumenti che ci sono ora. Probabilmente avremmo un altro miliardo di ore di contenuti audio e video da gestire.
Ha collaborato Joanne Roan.