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Alberto Ferrari: «Dopo il coronavirus la musica sarà un misto di rabbia e felicità»

Questa sera il cantante dei Verdena suonerà in acustico sulla pagina Facebook della Latteria Molloy per raccogliere fondi per i medici di Bergamo e Brescia. Ci ha raccontato la vita che fa e la musica che verrà

Foto: Ilaria Magliocchetti Lombi

Non so se sia una mia deformazione, ma se penso alla musica e a Bergamo allora penso ai Verdena. Mi viene in mente subito la loro leggendaria sala prove, quel “pollaio” diventato ormai un luogo cult e come le chitarre di Alberto Ferrari, i suoi testi allucinati e visionari, la batteria del fratello Luca e il basso di Roberta Sammarelli hanno creato un immaginario enorme senza mai veramente uscire dalla loro terra, da quella realtà di provincia. Nonostante ciò sono riusciti comunque a sperimentare sui suoni di mezzo mondo, a sembrare davvero internazionali, dandoci la consapevolezza che i tre fossero una delle poche certezze dell’alternative italiano. Insomma: Bergamo, sulla cartina, come una delle capitali del nostro rock.

Adesso, però, la città è in prima linea nella lotta al coronavirus, e come nel resto del Paese i concerti si sono spostati online. Dallo scorso 16 marzo, infatti, è partita #StayON, una sorta di staffetta in cui i locali di musica dal vivo patrocinano dei live in streaming, per raccogliere donazioni – attraverso una specie di biglietto virtuale – a favore degli ospedali. E oggi, tramite la Latteria Molloy di Brescia, tocca proprio ad Alberto Ferrari. Sulla pagina Facebook del club, infatti, suonerà in acustico alcuni brani storici dei Verdena, oltre a cover di pezzi internazionali. Lo farà direttamente da casa sua, che è al centro di una delle zone più colpite dalla crisi sanitaria, con la vita sconvolta – come tutti, lì in particolare – dal virus. Il ricavato andrà a favore dei medici di Emergency impegnati contro l’emergenza proprio a Brescia e nella sua Bergamo. «Sono contento di farlo per la mia città, ma l’avrei fatto comunque per qualsiasi altra zona», premette subito.

Suonare in questa situazione per te è una sorta dovere morale?
Guarda, appena Luca Borsetti della Latteria Molloy mi ha chiesto di partecipare a questa raccolta fondi ho detto sì, non ci ho pensato un attimo. E l’ho fatto per la situazione sanitaria che stiamo vivendo, principalmente. Ho amici medici che mi hanno riferito che qui è un disastro. Dopo la prima settimana, uno di loro – un medico di base – mi chiamava in lacrime, dicendomi che non aveva mai visto tanta gente morire così. Gli ospedali hanno bisogno di aiuto. Ovviamente è una situazione che io non vedo coi miei occhi: sono chiuso in casa, col rumore delle sirene di fuori. Ma mi hanno anche detto che diversi medici si sono dati malati: a maggior ragione, quelli che sono rimasti sono davvero degli eroi, cazzo! Si fanno il culo tutto il giorno. Per fortuna ci sono, dobbiamo aiutarli.

La musica cosa può fare al momento?
Raccogliere fondi. E rincuorare la gente, trasmettere uno spirito positivo. Farci vedere nelle nostre case che suoniamo – o meglio: creiamo – non può che dare un messaggio positivo. Quello che sta succedendo è triste e assurdo, eppure: suono. Il mio invito è stare di in casa ed essere creativi.

Com’è la tua quarantena?
Io vivo in una corte, ci sono altre cinque persone con me, ognuno nella propria casa. Ci vediamo nella piazzetta dell’edificio, ovviamente rispettando le distanze. Ed è una situazione un po’ paradossale, specialmente quando ho dovuto registrare questo live per la Latteria Molloy.

Ah quindi non sarai in diretta.
No, è questa la verità! (ride, nda) Ti spiego: io vivo senza internet, ho WhatsApp, ma non prende neanche bene. Così mi ha aiutato questo mio amico, Gigi, che vive qui vicino: è salito in casa mia, ha pigiato “record” coi suoi mezzi ed è sceso; poi sono salito io, e ho suonato. Strano, no?

Strano, certo. E che sensazione ti ha dato suonare?
Ero emozionatissimo, mi tremavano le mani, non riuscivo neanche a toccare le corde. Questa è una situazione particolare, mai avrei pensato di suonare così, chiuso nella mia casa, in streaming, con una pandemia fuori. Ho fatto anche diversi errori, per l’emozione. Ma nel senso che è proprio un concerto terribile, il mio (ride, nda). Non riuscivo a carburare, e neanche a ricordarmi i pezzi. Però, cazzo, andava fatto così. Volevo proprio restituire a chi lo guarda i sentimenti di incertezza di ora, suonare d’istinto… Pensa che non ho fatto neanche prove.

Per il resto, come stai vivendo questo periodo?
Sono qui col mio gatto, il suo miagolare è l’unica compagnia costante. Stappo la prima bottiglia di vino la mattina, dopo suono. E poi bevo altro vino e birra e fumo troppe sigarette, cazzo, è terribile. Però non mi sento nervoso, anzi. Anche se devo dirti la verità, sono sempre stato un solitario, un eremita. Mai stato socievole, figurati.

Foto: Paolo De Francesco

Bergamo invece come la vedi?
Non l’ho mai vissuta molto, se escludi tipo il ’98-99. All’epoca ci vedevamo con tanti amici in un bar, poi ha chiuso e abbiamo iniziato a incontrarci a casa. Ovviamente adesso è un momento di dolore, terribile per tutta la gente che sta morendo. Io non vado mai oltre l’Esselunga sotto casa, però ho potuto scorgere comunque una città diversa: silenziosa (se escludi il rumore delle sirene) e con l’aria molto più pulita. Non si sentono gli aerei, se non quelli grossi che passano la notte, quando invece di solito qui c’è molto rumore. Vedo una realtà più ecologica, ecco. Anche se praticamente ora mi sembra si stare nella Wuhan che vedevamo in tv.

E che mai ci saremmo aspettati si sarebbe riprodotta qui.
Già, siamo cresciuti con l’idea di queste malattie nascono lontano e non arrivano… E invece questa è arrivata, eccome. Ma ci serva da lezione, eh. Io spero che il mondo possa cambiare. Adesso, come ti dicevo, per esempio l’aria è più pulita: vorrei rimanesse così anche in futuro. Al netto della gente che muore, soffrendo tantissimo. Che quello non è per un cazzo bello, e mi mette una tristezza assurda.

E non c’è neanche contatto fisico, adesso.
La cosa che mi manca di più sono i miei figli, senza loro mi sento solo. Al momento sono separato con la mia compagnia, ero in questa casa i primi giorni della pandemia, ho avuto delle linee di febbre e sono rimasto bloccato qui. Non mi hanno fatto il tampone, ma non credo di aver avuto il virus. Sono certo, però, che ai primi colpi di tosse mi sono spaventato parecchio. Ero davvero strano quei giorni…

Mi dicevi dei tuoi figli.
Sì, dicevo, causa febbre sono rimasto bloccato qui. Poi c’è stato il lockdown e addio proprio. Li sento tramite WhatsApp, ma ovviamente non è lo stesso. Sto facendo il conto alla rovescia per rivederli, mi mancano tantissimo. Mi sarebbe piaciuto vivere la quarantena insieme, perché hanno quello spirito da bambini che gli adulti non hanno. Vedo la gente che abita insieme, e in molti – anche qui, nella corte dove vivo – stanno dando di matto per la troppa convivenza. In questo periodo secondo me è meglio stare da soli, ma con i bambini sarei stato volentieri, sarebbe stata tutta un’altra cosa. Mi mancano, e mi manca la mia ex. E ovviamente mi mancano anche i Verdena: la Robi e il Luca. Ci sentiamo spesso, ma non possiamo suonare insieme perché né io, né Luca abbiamo internet.

A noi avevi detto che il vostro prossimo album sarebbe uscito entro lo scorso anno, poi non è successo. Questa quarantena ha interrotto qualcosa?
Sì, ci ha colti che stavo scrivendo i testi, che è una cosa che teoricamente potrei fare anche da qui. In pratica, però, sono abituato a comporli con Luca e Roberta davanti, mentre stiamo insieme in sala prove. E poi, anche a livello di contenuti, sento che qualcosa dentro di me ormai è cambiato. Venivo da un momentaccio e di quello volevo parlare nell’album. Ora è un periodo nuovo, in cui ho anche riferimenti diversi e il mio mondo è cambiato. Non vorrei confondere i due momenti, magari di questi nuovi testi faremo altro, un EP o chissà. Certo, ho una gran voglia di musica. Se finisse la quarantena domani, direi agli altri di vederci immediatamente in sala prove. Perché ho bisogno di scrivere, comporre.

Immagino tu sia molto legato alla sala prove.
Sono trent’anni che praticamente vivo lì, mi ci sono chiuso, per me è come stare ai Caraibi. Ero arrivato a odiarla, ultimamente, perché ci avevo trascorso davvero troppo tempo. E invece no, adesso mi manca tantissimo. Vedi? Ci si stanno ribaltando le prospettive (ride, nda). Sto ritrovando tante cose che avevo perso: l’amore per la sala prove… l’alcol.

Pensi che la pandemia possa cambiare la musica?
Sì, assolutamente. Certe cose, secondo me, adesso già non hanno più senso, tipo quei nuovi generi che sono nati da poco, come il nuovo poppettino italiano. Mi sembra già antico, ecco. E, semplicemente, brutto. Io voglio una musica diversa, almeno per me. I primi giorni del virus, quando ancora riuscivamo a vederci per scrivere, sono venuti fuori pezzi interessanti: un misto di rabbia e felicità.

Sono questi i sentimenti della tua quarantena?
Sono i sentimenti che vorrei alla base della musica post coronavirus. Rabbia, perché ovviamente siamo tutti incazzati per ciò che sta succedendo; felicità, perché sarà bellissimo tornare ad abbracciarsi, a suonare. Fai così: strofa felice, ritornello arrabbiato. Per i testi, invece, chissà che verrà fuori. Sono curioso di assistere al risultato, quando io, Roberta e Luca ci rivedremo. Certo ci sarà voglia di sfogarsi. E la musica questo dovrà fare: sfogare e far divertire.

Per la paura, invece, in questi giorni c’è spazio?
Sì, ed è un sentimento famigliare. Non è la prima volta: da piccolo, quando scoppiò la Guerra del Golfo, andavamo in giro con le mascherine, i miei temevano che avrebbero bombardato Bergamo e io ero terrorizzato. Ora è diverso: all’epoca il sentimento era scatenato da un’azione dell’uomo, oggi è semplicemente la natura. Per me è come se il pianeta stesse operando una selezione, come se noi umani non gli piacessimo più. Anche per questo spero in un cambiamento post pandemia, ci rimarrei troppo male se tutto tornasse come prima. Io nel mio piccolo ho già deciso di usare il meno possibile la macchina: se dobbiamo andare in sala prove in tre, con tre macchine diverse… mettiamoci d’accordo, e andiamo con una sola.

Il futuro dei concerti, invece, come te lo immagini?
Chissà se torneremo a riempire i locali. Ho in mente queste scene degli anni post terrorismo, coi locali pieni a metà per motivi di sicurezza. Ripeto: chissà. Mi manca davvero la fisicità dei live, e spero che quando tutto questo sarà finito torneremo a fare assembramenti. Anzi: il punto è che ne dovremo fare ancora di più. Abbracciarci, ricevere affetto. E dare affetto, soprattutto.

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