Come fa un ragazzino nato a Marsala, cresciuto a Boltiere in provincia di Bergamo a diventare uno dei più importanti nomi del reggae mondiale? Alborosie ha appena pubblicato due album: Freedom & Fyah, il suo nuovo album in studio e The Rockers, un progetto inedito in cui Albo si mette le sue vesti da produttore coinvolgendo un sacco di amici in un disco ambiziosissimo, a cavallo tra i generi.
Il primo estratto di The Rockers è A Piedi Scalzi, assieme a Giuliano Sangiorgi dei Negramaro. Uno stile diverso che rappresenta al meglio l’apertura mentale di Alborosie e la sua volontà di unire piuttosto che dividere, andando oltre le differenze.
Mi racconti qualcosa di più su questo progetto The Rockers?
Posso dirti una parola: è diverso da tutto il resto, perché non è un lavoro mio come artista ma come produttore. Questa è un po’ la chiave di tutto. Secondo me non è mai stata fatta una cosa del genere in Italia. È un disco di un produttore che fa 12 basi e su cui fa cantare tutti gli amici di sempre.
E sono tutti uno diverso dall’altro…
Sì, sono tutti diversi ma anche le loro basi si distinguono una dall’altra, con influenze diverse, dal dub all’hip hop al reggae. Sono vari generi però è un disco mio, ma dal punto di vista di produttore. È un caso che adesso sia uscito il pezzo con Giuliano, che è uno dei due pezzi cantati da me. È un concept album.
Nel mondo dell’hip hop si usa spesso, questa cosa…
Esatto, perché il produttore lì è importante tanto quanto l’artista. La filosofia di The Rockers è questa, è un terreno tutto nuovo. Può essere complessa ma sicuramente diversa.
C’è anche un aspetto benefico, vero?
I proventi dalla vendita del singolo andranno in beneficenza a Stand Up for Jamaica ONLUS, è un’associazione che lavora con Amnesty International e si occupa dei detenuti giamaicani e dei problemi dei minori. È una causa sociale in più, visto che anche A Piedi Scalzi è molto sociale.
Essendo un progetto diverso, com’è stato produrre un album a poca distanza dal tuo ultimo lavoro Freedom & Fyah?
Per tutt’e due i progetti mi sono preso due anni di tempo, visto che sono stati realizzati contemporaneamente. Da una parte il mio disco, fedele alla linea, e poi quello da produttore. Era interessante spingerli insieme, da un lato faccio quello che devo fare come artista, come rivoluzionario musicale diciamo, e nello stesso tempo cerco di spingere discorsi alternativi musicali con questa compilation. È tutta farina del mio sacco.
E ora, in questo tour, spingi entrambe le cose? Come sta reagendo la gente?
Beh, abbiamo già fatto Milano, dove c’è stata un’accoglienza enorme! Faremo poi altre città e poi partiamo per più di trenta date in giro per l’Europa per l’album. Conta che non venivo in Italia da due anni, sono tornato solo per l’album e per presentare The Rockers. Però è sempre bello tornare qui, è sempre il mio Paese anche se la mia vita è da tutt’altra parte, tra Giamaica e Miami…
A proposito di Giamaica, sei stato subito accettato in una cultura parecchio lontana da quella italiana. Ultimamente si parla spesso di appropriazione culturale, soprattutto nel mondo del pop. Che ne pensi?
C’è sempre un discorso molto ampio da fare, c’è bisogno di tanto lavoro per essere “accettato”. Io sono stato fortunato, la mia musica mi ha sempre preceduto e mi ha aperto tante porte. Io personalmente non ho dovuto fare un grande lavoro per farmi accettare, da questo punto di vista sono stato molto fortunato. La musica mette a posto tutti i tasselli, mi ha sempre preceduto.
Pensi che invece tanti l’abbiano fatto per immagine?
Non mi interessano certi discorsi, non ho mai fatto musica per queste cose, mai per i soldi. Ho sempre lavorato solo a cose in cui credevo, è stata forse questa genuinità che mi ha portato a dei risultati importanti. Io sono io, sono così. Se ti piace va bene, se non ti piace… e qui metti una parolaccia.