Quando tutto diventò blu è una graphic novel di Alessandro Baronciani – un piccolo classico della sua produzione, viene da dire – che racconta la vita con gli attacchi di panico. È uscita per la prima volta nel 2008 e, come il suo autore, ha un legame strettissimo con la musica. Lui infatti è musicista e cantante negli Altro e nei Tante Anna, oltre che fumettista e illustratore spesso “prestato” alle canzoni, collaborando con artisti (Colapesce, Baustelle, Bugo, Perturbazione) ed eventi tipo il MiAmi e quelli de La Tempesta Dischi, fra manifesti, copertine, artwork. Più semplice: avete presente i cartonati che Max Gazzè ha portato sul palco all’ultimo Sanremo? Ecco, erano suoi.
E il racconto, che nel 2012 ha ispirato una canzone di Colapesce, l’anno scorso è diventato uno spettacolo dal vivo, ideato da Baronciani e Corrado Nuccini dei Giardini di Mirò, rispettivamente a disegnare e suonare nello show, con vari ospiti sul palco. Da ieri è un disco con le canzoni dell’evento, pubblicato da La Tempesta e su vinile da Black Marmalade Records. Ed è un viaggio, fra suoni, trama e vignette che ritornano. La produzione è di Nuccini, in direzione dream pop e ambient; i testi di Baronciani; e le voci di Ilariuni (Ilaria dei Gomma), Her Skin e Verano a interpretare Chiara, la protagonista.
L’idea di fare un disco da un fumetto come nasce?
Nasce nel 2019, con il progetto Suner, a firma Arci e Regione Emilia Romagna. Mi ha coinvolto Corrado Nuccini. Siamo amici da parecchio tempo, abbiamo buttato giù idee ma alla fine quella che ci ha catturato di più era provare a creare uno spettacolo tratto da Quando tutto diventò blu. BAO Publishing lo stava ripubblicando e ho pensato che potesse essere interessante presentare il libro in una veste nuova, cioè attraverso uno spettacolo. Ho sempre cercato di unire musica e fumetto, anche in passato. Con Quando tutto diventò blu è stato tutto più complesso, e quindi attraente. Non avevo mai provato a trasformare un fumetto in un disco.
Ti sei chiesto perché esiste questo legame fra musica e fumetto?
Non so perché, però la prima associazione che mi viene in mente è Davide Toffolo. È una persona che ha sperimentato tanto in questo ambito, fra storie, concerti e spettacoli. Con lui siamo amici da tempo, pensa che per un periodo abbiamo vissuto anche a Milano insieme. Sento molto vicino il suo modo di creare questo collegamento tra musica e illustrazione.
Dicevamo dello spettacolo.
La prima esperienza di disegno dal vivo è stato il tour del 2015 con il “Concerto disegnato”, insieme a Colapesce che suonava in acustico i suoi pezzi, mentre io li disegnavo in diretta e un proiettore li sparava giganti sul palco. È stato il mio primo “spettacolo”, diciamo. Prima non avevo mai fatto caso allo spettacolo, con gli Altro salivo sul palco e concentravo tutte le emozioni in 30 minuti punk: chiudevo gli occhi, suonavo, urlavo e quando li riaprivo – ed ero ancora in piedi – era tutto finito. Con Colapesce ho capito quanto invece potesse essere interessante creare anche uno spettacolo, durante il live. Capire i tempi, cercare la battuta efficace, portare gli spettatori al climax del momento giusto. Ma anche, banalmente, ho capito dove mettere il tavolo da disegno nella sala concerti. All’inizio avevamo provato a inserire la mia postazione sul palco, ma non funzionava. Non è bello vedere una persona disegnare sul palco, secondo me. Sul palco devi muoverti, devi vedere le gambe, non uno con la testa bassa davanti ad un disegno. Quindi mi sono spostato dal palco alla platea, in mezzo al pubblico, con un microfono di quelli che si indossano, come quelli che usa chi ti chiama per venderti un telefono. E li ho scoperto quanto fosse forte la voce che viene dalla platea: è narrante, rompe la quarta parete, come la Gialappa’s. Sembra venire da dentro di te. Quando tutto diventò blu nasce da qui. Con una voce che non è sul palco e che racconta la storia di Chiara. Una voce nel profondo del mare, come le voci che sentiamo dentro di noi. Una voce che non parla dal palco, ma che tu seduto in platea riesci a vedere. Come se fosse una voce della coscienza. L’effetto è avvolgente.
Tra l’altro, immagino che ciò sia avvenuto con il pubblico distanziato, in pandemia, visto che il tour risale alla scorsa estate.
Da un certo punto di vista, paradossalmente il Covid è stato uno dei motivi per cui siamo riusciti a registrare il disco di Quando tutto diventò blu: a causa della pandemia abbiamo fatto meno spese del previsto, risparmiando soldi; e così abbiamo deciso di investire questi risparmi nell’album. Sono tutti pezzi inediti tratti dallo spettacolo. Tranne due, che sono cover: She’s Lost Control dei Joy Division e Sul Viking Express dei Massimo Volume.
Quindi, in ogni caso, è venuto prima lo spettacolo del disco. Anche nel processo creativo, dico.
Molti pezzi sono stati scritti pensando a momenti precisi dello spettacolo, tenendo conto della trama e di come farla diventare un concerto disegnato. La tracklist del disco segue l’ordine del racconto, tra l’altro. La cosa che mi è piaciuta di più è che sia un lavoro collettivo, con più persone coinvolte nella scrittura già dallo spettacolo dal vivo. Nell’album hanno suonato Emanuele Reverberi, Daniele Rossi, Ilariuni, Her Skin, Verano. Con Nuccini abbiamo scritto le musiche, lui ha gestito produzione e suoni. Io ho scritto i testi, per i quali mi sono lasciato prendere dalle scene del libro – infatti ogni canzone racconta un momento particolare del libro. Ilariuni mi ha dato un mano tagliando parole che non riusciva a tenere nella metrica della canzone. Per questo, ripeto, è stato un lavoro collettivo, dove tutti hanno contribuito ad aggiungere qualcosa. Anche Andrea Rovacchi, che l’ha registrato, ha partecipato suonando diversi strumenti, per dire. E tutto ciò ha arricchito il disco.
Non vi siete mai sentiti limitato a livello creativo? Nel senso: comunque c’era una storia a fumetti, scritta da te, di cui tenere conto.
No, è stato il modo per non perdere il filo rosso, anzi blu del fumetto. Tutto è nato liberamente. Aggiungendo idee. Per esempio la prima traccia, Senza fiato, nasce da un pezzo à la Brian Eno che Nuccini aveva scritto tempo prima. Si chiamava Fiati, che penso fosse l’effetto GarageBand con cui aveva registrato il brano. Ho trovato una linea melodica canticchiandoci sopra. E ho pensato fosse perfetto per l’apertura dello spettacolo, quando la protagonista si trova nel profondo del mare e sente soltanto il suo respiro dentro la tuta da sub, quasi come se lo stesse perdendo, quasi appunto come stesse “senza fiato”. Sospeso invece nasce da un giro d’accordi aperti, in stile Slowdive, scritto da me. Doveva essere la canzone della fine dello spettacolo, quando lei torna ad immergersi nel profondo del mare, ma l’acqua sotto di lei sembra tenerla appunto in sospeso e non più spingerla nel profondo. Tra l’altro, è stata un’esperienza bellissima anche registrare l’album. Non avevo mai lavorato in uno studio tanto di lusso (il Sonic Temple Studio di Parma, nda), ed è una differenza che si percepisce anche nell’album. È registrato in presa diretta, anche per quanto riguarda la suoneria del Nokia 3310 di Squilla.
Che poi, devo dire, è un disco davvero “blu” anche nei suoni… no?
L’idea era riprendere le scene del libro, restituirle per intero aggiungendo atmosfere, sfumature. C’è tanto dream pop, ma anche ambient, oltre alle nostre influenze musicali, provenienti da diversi background. Comunque non avevamo precedenti: penso sia una delle prime volte che un fumetto si trasforma in disco. Ed è un disco che nasce da una storia che parla di attacchi di panico. Non è un tema facile, non se ne parla spesso nei dischi.
Ma dietro questa storia c’è dell’autobiografia?
In realtà Quando tutto diventò blu nasce da più esperienze reali che mi hanno raccontato un po’ di amici che avevano sofferto di attacchi di panico. Ad esempio nella canzone di Male / Bene mi sono ispirato al racconto di una mia amica, che tornando a casa da Bologna in treno si accorse di aver dimenticato di portare con sé il Lexotan. Il pezzo racconta quelle due ore infinite in treno, con la paura di avere un attacco di panico.
I problemi mentali, forse, sono fra gli ultimi tabù della nostra società.
Oggi, rispetto al 2008, credo se ne parli un po’ di più. Comunque poco. Penso che Quando tutto diventò blu sia ancora abbastanza attuale. Probabilmente riguarda molti, soprattutto in un momento storico così delicato in cui si sente ancora di più la necessità di parlare di tutto ciò.
Parliamo del “blu” del titolo.
L’intuizione del blu è venuta quando con l’editore dell’epoca avevamo pensato di utilizzare un inchiostro diverso da quello che si utilizza di solito per stampare i fumetti: il nero. Avevo scoperto che i manga in Giappone venivano stampati con inchiostri di diversi colori e volevo che il titolo avesse a che fare con la storia, con il contenuto. Volevo che tutto diventasse blu. Mettici anche che il blu è il colore della malinconia – in inglese si dice feeling blue quando si è tristi. Poi il blue monday, c’era anche la canzone dei New Order e in ultimo il mare della protagonista e il suo blu impenetrabile.
A chi è rivolto Quando tutto diventò blu?
Il disco è nato dall’incontro di persone ed esperienze, a dare voce alla graphic novel rendendola qualcosa di avvolgente e immersivo; da scoprire di nuovo, insomma. La storia che c’è dentro non è solo per le persone che hanno sofferto di attacchi di panico, ma anche per quelli come me che hanno sempre provato a capirli. Mi viene in mente il messaggio che tempo fa una ragazza mi aveva mandato su Instagram, appena dopo l’uscita in libreria del fumetto. Aveva scoperto che il suo compagno aveva comprato Quando tutto diventò blu, quindi lei gli disse che l’aveva letto già tanti anni fa, alla prima edizione. Lui rispose che in realtà l’aveva comprato per sé: voleva capire cosa provasse lei quando aveva gli attacchi di panico.