S’è capito fin da quando Whatever People Say I Am, That’s What I’m Not s’è rivelato in tutta la sua matta frenesia che gli Arctic Monkeys erano destinati alla grandezza. Ma le grandi band, da sempre, fanno svolte che spiazzano alcuni fan (magari conquistandone di nuovi) e gli Arctic Monkeys non fanno eccezione. Il loro apice commerciale e creativo, il rock groovy e martellante di AM, è stato uno degli ultimi album di una rock band in grado di dare uno scossone al mondo della musica. Dopo uno stop di cinque anni, nel 2018 è arrivato Tranquility Base Hotel + Casino, un concept in salsa space lounge tanto meraviglioso quanto strano e spiazzante.
Nel nuovo, seducente The Car gli Arctic Monkeys continuano a preferire l’invenzione di paesaggi sonori (con nutrite parti di archi e un suono patinato degno degli Steely Dan) alle bombe rock, anche se questa volta si intravede un po’ più di muscolarità. «Non mi pare suoni come il disco di una band differente, anche se immagino che qualcuno lo penserà», dice il frontman Alex Turner. «Quel che rimane immutato è la voglia di mettere alla prova la nostra idea di cosa può essere questo gruppo».
Dopo AM vi siete stancati del rock?
(Imitando la voce di un dj, nda) «Questa è Burned Out su Radio Big Rock». Quel disco lì, AM era proprio rock, vero? Ma per noi c’è sempre stato dell’altro. Forse per via della pausa che ci siamo presi, ma tornare a quelle sonorità non ci sembrava poi così semplice. Non so come dire, non è che mi fossi stufato del rock, è che avevamo scoperto ben altre possibilità ed esplorarle ci sembrava la cosa più sensata da fare.
Una volta hai detto che insistendo con quello stile non sarebbe stato possibile fare di meglio e perciò dopo AM avete imboccato l’unica via possibile.
È così, sì. Era importante mettercelo alle spalle. Anche le altre cose a cui ho lavorato fuori dalla band hanno probabilmente contribuito a plasmare Tranquility. A dirla tutta, ci sono stati momenti in cui ho provato a rimettermi gli stivali da motociclista e capire se potevo scrivere qualcosa d’altro in stile AM, ma mi sembrava una parodia, soprattutto se paragonato alle altre idee che giravano in quel momento. Comunque, si vedrà. Non sto dicendo che non faremo mai più qualcosa che ricorda un po’ i Sabbath, non lo escludo, anche perché sento che in questo disco ci sono alcuni grandi momenti rock.
In pratica ora lasciate che il rock venga fuori qua e là.
Emerge e poi svanisce. Prendi la traccia numero tre, Sculptures of Anything Goes. Si regge interamente su Moog, drum machine e voce, ma in alcune battute la band viene fuori, per poi sparire.
È una delle differenze principali fra questo disco e il precedente.
Sì, le chitarre distorte. Forse perché abbiamo fatto delle session con la band al completo. Ha sorpreso anche me quanto rock e distorto sia diventato il finale di Body Paint, con quella chitarra. Quando abbiamo ricominciato a suonare assieme m’è venuta voglia di suonare ancora un po’ di chitarra rock.
Hai incontrato qualche resistenza all’idea di usare la band come se fosse uno dei tanti elementi del sound?
Dici resistenza da parte degli altri membri del gruppo? Man mano che andavamo avanti si sono dimostrati sempre più propensi ad appoggiare idee di questo genere. In passato, quando portavamo le giacche a vento con la zip tirata su fino al collo e schitarravamo moltissimo, si suonava sempre tutti e tutto il tempo. Poi abbiamo capito che potevamo anche sfruttare i vuoti. Anche se non suoni, sei pur sempre quello che sta facendo silenzio, no?
Il riff di Do I Wanna Know è famosissimo. I ragazzini che stanno imparando a suonare la chitarra lo fanno di continuo su TikTok. È la nuova Wonderwall o la nuova Seven Nation Army. Che effetto fa?
Wow, non saprei. Ho comprato quella chitarra, la Vox a 12 corde arancione, alla fine delle session di Suck It and See. Il riff di Do I Wanna Know l’ho tirato fuori da quello strumento. Era lì, dentro la chitarra.
Matt Healy dei 1975 ha detto che nel primo decennio degli anni Duemila voi siete stati i padroni indiscussi e che la sua band lo è stata nel secondo decennio.
(Ride) Davvero?
Sei d’accordo?
Glielo concedo. Ma ora siamo nel terzo decennio, occhio.
È incredibile, ma siete in giro da una ventina d’anni. Volete diventare come gli Stones e rimanere insieme più o meno per sempre?
Al momento cerco solo di uscire vivo dal prossimo concerto. Pensare a cose del genere è prematuro. I nostri concerti stanno diventando più solidi, mi sembra ci sia in atto una trasformazione e penso che il nuovo materiale sarà d’aiuto. Mi elettrizza anche solo pensarci. Facciamo un passo alla volta, però. Vediamo intanto dove ci porterà The Car.
Tradotto da Rolling Stone US.