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Alicia Keys: «Il coronavirus ci farà riscoprire l’empatia»

La musicista racconta come ha convinto Bono e Jay-Z a contribuire al suo libro, com’è stato presentare i Grammy dopo la morte di Kobe e come vive questo periodo di isolamento

More Myself, il nuovo libro di Alicia Keys, non è la tipica autobiografia di una celebrità. La musicista ripercorre tutto il suo percorso, dall’infanzia a Hell’s Kitchen fino alla vittoria di 15 Grammy (e alle due volte in cui li ha presentati), e contemporaneamente lascia la parola ad alcuni suoi amici: Bono, Oprah, Jay-Z e il marito Swizz Beats aprono diversi capitoli raccontando i loro momenti preferiti passati con lei. Keys dice che il libro racconta gli anni che ci ha messo per liberarsi dalla “armatura” che ha indossato per tutta la vita.

«Non sono mai stata così aperta verso gli altri», dice. «Si vive meglio quando ci si concede di essere se stessi». La musicista, che nel 2020 pubblicherà l’album Alicia, racconta come va l’isolamento a casa con la famiglia a New York.

Come sta andando l’isolamento forzato a casa con la famiglia?

Siamo positivamente sorpresi da quanto le cose stiano andando bene. Non diciamo mai di no a una bella partita a Monopoly. Cuciniamo insieme. Facciamo anche di esercizio fisico di gruppo. Stiamo cercando di mettere insieme un programma, così da mantenere un certo grado di normalità. Ma è un periodo strano, non ci sono dubbi.

Che musica ascolti per trovare conforto in questo periodo?
Amo i classici: Nina Simone, Lauryn Hill. C’è un’artista di cui mi sono innamorata di recente, si chiama Chika. Se va in radio, allora ascolto anche DJ Tony Touch, mi fa sentire bene. Apprezzo anche la musica meditativa, la ascolto quando sono giù di morale o quando sono ansiosa. Mio marito e Timbaland hanno organizzato Verzuz, delle battaglie su Instagram (dove i produttori mettono frammenti delle loro hit e il pubblico decide la migliore, nda), credo che le guardino in parecchi.

Pensi di partecipare anche tu?
Non si sa mai. Potrei farlo. So che qualcuno ha chiesto una battaglia tra me e John Legend, pianoforte contro pianoforte.

Perché hai chiesto ad amici come Michelle Obama e Jay-Z di contribuire al libro? 

Fa bene vedere le cose da altri punti di vista.

Sono persone piuttosto impegnate. Chi ha avuto più difficoltà a rispettare la consegna? 

Forse Bono. Un giorno mi ha scritto: “Alicia, ho dimenticato di dire a un adulto che dovevo mandarti questa cosa, e quindi nessuno mi ha costretto a farlo. L’ho dimenticato”. È fantastico, un vero amico.

Il libro è pieno di storie meravigliose degli incontri con i tuoi eroi. Adoro quella con Prince… 

Avevo bisogno del suo permesso per suonare How Come You Don’t Call Me Anymore in Songs in A Minor. L’ho dovuto chiamare ed è stata una delle cose più spaventose che abbia fatto in vita mia. Ho preso in mano il telefono consapevole che avrei dovuto convincere a farmi suonare una sua canzone la mia persona preferita sul pianeta, uno che spesso nega il permesso di rifare le sue composizioni. Ma è stato davvero gentile.

Mi ha invitato a Paisley Park. Ha detto: “Perché non vieni a suonarla qui per me?”. Sono andata a Minneapolis e si gelava. Camminavo nei corridoi di casa sua e vedevo un’infinità di cimeli straordinari, tutti da momenti incredibili della sua vita: i pianoforti, le candele, le colombe e i costumi di Purple Rain. Non riuscivo a non tenere la bocca spalancata. Poi mi ha detto che non avrei dovuto dire parolacce, una cosa difficile per me, perché adoro farlo.

Nel libro racconti che Empire State of Mind rischiava di saltare perché Jay-Z non riusciva a contattarti. Come sarebbe cambiata la tua carriera senza quella canzone? 

Oh dio. È stato un momento fondamentale per me e per lui. Ancora oggi racconta di quanto sia felice che la sua canzone più famosa parli della nostra città natale. Sarebbe stato un peccato non farla.

In gennaio hai presentato i Grammy per la seconda volta. Pensi che tornerai anche il prossimo anno? 

Non so che cosa succederà ai Grammy. Sono stati due anni fantastici, devo dirlo, anche con l’ombra di Kobe e Gigi Bryant e di tutte le persone che erano con loro su quell’elicottero e che sono morte poco prima della cerimonia. Sono grata di aver contribuito a tranquillizzare un po’ gli animi, perché eravamo tutti sotto shock, è successo letteralmente poche ore prima dello show. La morte è vicina. Per succedere a chiunque, in qualsiasi momento, non sai quando.

Ultimamente si parla molto del tuo singolo Underdog, soprattutto dopo che l’hai dedicato ai medici in prima linea nella crisi del coronavirus. Cosa ti ha ispirato a farlo? 

Vedere i paramedici, i professionisti e gli eroi dimenticati che sono là fuori a prendersi cura di chi soffre è stato incredibile. In realtà, mi sento piena di speranza, vedo che tutti cercano di entrare in connessione con gli altri, di provare empatia.

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