Il music supervisor è quel tipo di lavoro che tutti vorrebbero fare ma che nessuno sa descrivere davvero. Tutti, almeno una volta, abbiamo scoperto una canzone o un artista grazie a una serie tv, e tutti abbiamo provato a fare scelte alternative sulla base dei nostri gusti personali. Ma come funziona davvero il lavoro di music supervisor? Francesco Menegat, consulente musicale di Operà Music, la definisce una “professione alchemica” – «persone con una passione sfrenata per la musica, con una conoscenza enciclopedica e una sensibilità che permette loro di immaginare associazioni tra immagini e musica inedite» – che sta lentamente acquistando credibilità anche in Italia. Per questo, in occasione dell’ultimo IF Festival a Milano, abbiamo incontrato Amelia Hartley, music supervisor di Peaky Blinders e Bandersnatch, e abbiamo cercato di capire meglio come funziona il suo lavoro.
Come si diventa music supervisor?
Io non ho studiato per fare questo lavoro, ho iniziato in una azienda di produzione televisiva, era la mia prima esperienza dopo l’università e facevo l’assistente di produzione. Lavoravamo a progetti musicali, io mi sono fatta avanti e sono finita a lavorare lì, mi occupavo dei contatti con le band… poi è cresciuto tutto naturalmente, sono passata ai documentari e poi sono arrivata alle serie.
Quali sono le qualità essenziali per fare bene il tuo lavoro?
Devi essere un ottimo mediatore. Devi amare la musica, ovviamente, ma lo do per scontato. Devi essere un facilitatore, perché se lavori a un progetto molto grande, come una serie tv drammatica, devi confrontarti con sette o otto produttori esecutivi, il regista – o addirittura più registi –, gli autori… ci sono un sacco di voci da tenere in considerazione. E ovviamente c’è il lato discografico, etichette e artisti. Ti ritrovi a mandare playlist a mille persone diverse e tutte ti danno il loro feedback creativo, spunti su cui lavorare e idee da sviluppare. Allo stesso tempo devi negoziare con le etichette discografiche e gli editori, devi assicurarti che la musica che vuoi mettere su una scena sia davvero utilizzabile. Insomma, oltre all’aspetto creativo, cioè di saper mettere insieme musica e immagine, devi riuscire a tenere insieme tante voci, devi essere un grande comunicatore e saper ottenere il miglior risultato creativo possibile senza sforare il budget.
Qual è secondo te la scena che tutti i music supervisor dovrebbero conoscere?
Tra le mie preferite c’è sicuramente il trailer di Uomini che odiano le donne di David Fincher. E non è solo per la cover di Trent Renzor (Immigrant Song dei Led Zeppelin, suonata con Karen O, nda)… il montaggio è geniale, davvero intenso, credo che il montatore meriti di essere celebrato tanto quanto Reznor. Sono riusciti a interpretare perfettamente la visione di Fincher. Non ho mai lavorato con un regista che non fosse incredibilmente attento alla musica. Charlie Brooker, per esempio, l’autore di Black Mirror, ha una conoscenza musicale incredibile, è un grande appassionato e ascolta davvero tante cose diverse. Di solito queste persone così creative… nelle loro visioni c’è già la colonna sonora.
In che momento della produzione vieni coinvolta?
Normalmente entro in gioco quasi subito, nelle prime fasi di sceneggiatura. Ricevo i copioni, di solito alla seconda stesura, e in questa fase raccolgo tutta la musica che secondo me può funzionare in quel contesto. All’inizio lavoro sulle scene dove la musica è in primo piano, come le feste o quando un personaggio canta, poi mi dedico al resto. Nel caso di Peaky Blinders, per esempio, c’è moltissima musica: jazz, persone che cantano canzoni anni ’30… all’inizio mi occupo di queste cose, poi inizia lo scambio con il regista e il compositore della colonna sonora.
Hai un contatto diretto con il compositore? Oppure è il regista che mette insieme il vostro lavoro?
Il compositore si occupa delle emozioni, dei piccoli dettagli, di sottolineare le sfumature di ogni scena, tutte quelle cose che un brano commerciale non può fare, perché non è composto per il film. Generalmente incontro sia il regista che il compositore nelle prime fasi di produzione, ed è il regista che stabilisce che tipo di musica – originale o meno – servirà per ogni scena.
Ho letto che il music supervisor di Breaking Bad costruiva playlist specifiche per ogni personaggio, così che tutti avessero un universo musicale specifico. Usi un metodo simile?
A volte sì, dipende dal progetto. Per esempio, quando ho lavorato a Fortitude, nella serie c’è un pub, il “Blue Fox”, con una colonna sonora tutta sua, così che il pubblico capisse subito quando i personaggi erano lì. Per Peaky Blinders, invece, non costruisco necessariamente playlist specifiche, ma cerco di fare in modo che la musica sveli cosa succede nella testa dei personaggi.
In che senso?
L’idea è che la musica riesca a “portare fuori” le emozioni dei personaggi. Per raccontare cosa passa nella testa di Tommy, per esempio, la musica heavy è perfetta. L’obiettivo non è riportare il pubblico alla musica di quel periodo storico, assolutamente. Voglio esplorare la psicologia dei personaggi, entrare nella loro testa, non preoccuparmi di essere storicamente autentica.
Hai lavorato alla colonna sonora di Bandersnatch, il film “a scelte” di Black Mirror. In che modo la natura interattiva del progetto ha influito sul tuo lavoro?
Abbiamo approcciato il progetto come se fosse un unico film “fluido”, cercando di fare due cose. Innanzitutto ci sono i Tangerine Dream e tutta la musica scelta per sottolineare la sensazione di disagio che prova il pubblico ogni volta che deve prendere la decisione giusta per Stefan. Poi c’è la musica dell’epoca, gli anni ’80, che ascoltate insieme al protagonista in diverse scene.
Oggi mettere una canzone nella colonna sonora di una serie tv può cambiare la carriera di un musicista. È un fattore che tieni in considerazione prima di scegliere un brano?
Beh, è fantastico poter aiutare un artista a farsi conoscere, e i musicisti sono sempre contenti di collaborare con Peaky Blinders perché la serie è conosciuta anche per la musica. Ma non lo teniamo minimamente in considerazione, le nostre scelte sono basate puramente su cosa funziona meglio per ogni singola scena. È davvero raro che le cose vadano diversamente.
Ricevi pressioni dalle etichette discografiche?
No, probabilmente è una cosa che capita con i reality show, programmi con un seguito enorme come Love Island. A noi non succede. Ricevo un sacco di email e offerte di ogni tipo, certo, ma non sono pressioni, sono suggerimenti.