Intervista agli American Football per i 25 anni di 'LP1'| RS
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American Football: «Siamo dei musicisti di mezza età diventati popolari all’improvviso facendo canzoni tristi e noiose»

Sciolti dopo un disco a 20 anni, riscoperti grazie a internet a 40, ora simbolo della nostalgia emo (e dei suoi meme) a 50. Abbiamo intervistato il leader della band Mike Kinsella in occasione del tour dei 25 anni di ‘LP 1’, in Italia il 30 maggio a Milano prima di due date al Primavera Sound

American Football: «Siamo dei musicisti di mezza età diventati popolari all’improvviso facendo canzoni tristi e noiose»

American Football

Foto press

Quella degli American Football è una storia unica. Siamo in Illinois, verso la fine degli anni ’90. Nello Stato – tra cantine e piccole sale concerti – sta prendendo forma la seconda ondata dell’emo, quella che poi verrà ribattezza come Midwest emo, ovvero un movimento che riunisce una serie di band di quel periodo del Midwest (e più precisamente Illnois, Missouri, Texas) che hanno preso la lezione dell’emo hardcore di D.C. per trasformarla in qualcosa di più melodico, catartico, intimo, in un confluire di math rock, indie rock e iper-sensibilità manifesta. Promise Ring, Get Up Kids, Cap’n Jazz, Braid, per fare alcuni nomi. E naturalmente gli American Football.

La band, in quella scena, è un unicum. «La nostra musica era diversa, tranquilla, senza distorsioni. Non urlavamo, non eravamo eccitanti, eravamo degli outsider», ci racconta Mike Kinsella, voce e chitarra della band condivisa con gli Steve (Holmes, alla chitarra, e Lamos, alla batteria). Mentre tutti urlano e distorcono, dal dentro verso il fuori, gli American Football preferiscono tempi, strutture e accordature inusuali facendo un percorso contrario, suonando pochissimo dal vivo concentrandosi sui moti interiori di chi sta attraversando un momento cruciale della propria esistenza, quel passaggio tra liceo e college, tra adolescenza e vita adulta. Escono così un EP nel 1998 seguito l’anno successivo da un album, titolato semplicemente American Football (ma dai fan ribattezzato LP1), entrambi pubblicati dalla Polyvinyl Records. Poi la band si scioglie («Non ci siamo sciolti in modo amichevole ai tempi, non siamo rimasti in contatto dopo quell’esperienza») e i tre membri intraprendono strade diverse. Kisella come Owen, Joan of Arc, Lies, gli altri tra day-job e insegnamento.

Per ora nulla di unico, direte, solo tre ragazzini con la voglia di far musica. Succede però che nel sottobosco del primo internet quell’LP1 inizia silenziosamente a riprodursi in rete grazie al peer-to-peer. A quasi 15 anni dall’uscita è oramai diventato un cult tanto che la Polyvinyl lo ristampa proponendo alla band di riunirsi per un paio di show celebrativi. È il 2014 e LP1 riesce nell’impresa di entrare nella classifica americana a 15 anni dalla pubblicazione. La band torna così a suonare a Champaign, il college dove tutto era nato, e per tre show a New York. «Era il momento giusto per tre uomini di mezza età di suonare alcune vecchie canzoni sui sentimenti da teenager», dirà ironicamente Holmes poco la reunion. Ai tre quarantenni si aggiunge Nate Kinsella, cugino di Mike, e gli American Football da quel momento tornano ufficialmente attivi, seppure a piccole dosi, pubblicando altri due album (provate a indovinare? Vengono tutti intitolati American Football per poi essere ribattezzati dai fan come LP2 e LP3).

Quest’anno LP1 degli American Football compie 25 anni e la band si è risvegliata dopo un periodo di inattività (LP3 è del 2019, LP4 è in fase di scrittura) per rimettersi in tour per questo anniversario. A Milano arriveranno il 30 maggio all’Alcatraz, per poi proseguire in un tour europeo che li vedrà esibirsi due volte al Primavera Sound di Barcellona, sia all’interno del festival che per una serata extra di domenica nel format Primavera a la Ciutat.

Mike Kinsella, invece, di anni ne ha 47. Mi risponde da casa sua a Chicago tra memorabilia e chitarre appese alle pareti. Da poco ha pubblicato The Falls of Sioux, il suo ultimo disco a nome Owen (con cui è in tour), sta per imbarcarsi nella tournée internazionale con gli American Football e scrivendo il nuovo atteso quarto album della band. Per un «uomo di mezza età e un padre che non tenta di sembrare un hipster» (come si definisce) il calendario da musicista è bello pieno: «Sì, ho l’agenda piena fino a fine 2025». Per fortuna ha trovato il tempo di incastrare questa intervista con noi.

Vi siete formati per la prima volta 27 anni fa, nel 1997, quando avevi appena 20 anni. Ma che rapporto hai con gli American Football oggi dopo tutto ciò che vi è successo?
Sono davvero felice di aver gli American Football nella mia vita. È come se fossero un imprevisto, sai, quando siamo tornati insieme 10 anni fa non avevamo idea se ci sarebbe piaciuto o se avremmo voluto proseguire o meno. O anche solo se avremmo trovato del senso nel fare di nuovo musica insieme. Ora però posso dire che siamo diventati una piccola famiglia.

E che rapporto hai con LP1 che di ne anni ne fa 25? Alla fine è grazie al suo successo che gli American Football sono tornati attivi.
Un po’ meno entusiasta, ti dirò. Sono qui che sto re-imparando canzoni che avevo ripreso in mano 10 anni fa e che poi per altri 10 anni non ho più suonato. Non riesco a fare a meno di pensare alle cose che avrei fatto in modo diverso in questi brani. Ma penso che il fascino di quell’album stia proprio in questa ingenuità, nel momento di giovinezza che abbiamo catturato. È il motivo per cui trova ancora il favore delle nuove generazioni. Ma, ecco, preferisco pensare alla musica che farò in futuro e in cui potrò usare il mio cervello da adulto.

Considerando che siete in tour per celebrare LP1, che effetto ti fa cantare quei brani – scritti in tarda adolescenza – oggi?
Ricordo che durante la prima reunion mi sentivo come fossimo una cover band, non ricordavo di aver scritto quelle canzoni, o almeno alcune di esse. Ma più le suonavo, più le facevo mie, inserendole nella mia vita di allora (era il 2014). Ora sto cercando di capire come renderle attinenti alla mia situazione attuale. Ci rivedremo in questi giorni per trovare un posto appropriato per questi brani all’interno della scaletta. Non è come se li riscrivessimo, ma come se li re-immaginassimo.

American Football - Never Meant [OFFICIAL MUSIC VIDEO]

Durante la prima reunion avevi detto che il motivo per cui siete esplosi era stata puramente fortuna. Pensi ancora sia così? Non pensi che, alla fine, fosse una questione di merito?
Lo ribadisco: siamo sati fortunati. Lo dico perché questa band l’ho formata io: se la band fosse decollata o avesse attirato immediatamente l’attenzione o se qualsiasi band in cui sono stato avesse mai funzionato, avrei pensato: devo essere piuttosto bravo. Ma non è così. Ai tempi non volevamo copiare le cose che pensavamo fossero cool in quel momento tipo l’emo, l’indie, il rock. Stavamo provando a fare qualcosa di unico e penso che in qualche modo ci siamo riusciti. Nei brani usavamo diversi tempi, o accordature, strutture non canoniche. Volevamo catturare qualcosa, ma anche se penso che non l’abbiamo fatto in maniera straordinaria, quel qualcosa l’abbiamo catturato. E credo sia stata fortuna. Quasi tutti i miei amici dei tempi hanno fatto parte di una band al liceo o all’università, ma ce l’abbiamo poi fatta noi. E ribadisco che è fortuna perché molte band erano meglio di noi.

LP2 è arrivato a 17 anni dal vostro esordio. Hai o avete sentito una certa pressione nello scrivere una musica per un progetto che era stata solo una parentesi della vostra tarda adolescenza?
A essere onesti sì. LP2 è stato il primo disco che credo di aver fatto in cui sapevo che la gente l’avrebbe ascoltato. Quando abbiamo fatto LP1 l’abbiamo semplicemente messo in giro e fine. Ogni album di Owen invece riceve più o meno le stesse reazioni: so che ci sono persone a cui piace ma non diventerò mai ricco e famoso. In LP2 ci siamo fatti delle domande, credo che il fatto che qualcuno lo stesso aspettando abbia inciso. Penso sia stata però una buona pressione, mi ha reso un miglior songwriter.

E cosa pensi di LP2?
Se qualcuno mi dice che quel disco è una merda, gli risponderei che dice una cazzata, che abbiamo spaccato. Ma se qualcuno mi dice che con quel disco abbiamo spaccato, che era come LP1 ma più nuovo e intelligente, risponderei che ci siamo persi un po’ di cose lungo il processo. Ha senso come cosa?

Sembra sia stato davvero un momento cardine per te, per voi.
Fare LP2 è stato strano, ho perso un po’ di amici durante quel periodo. È stato un periodo particolare. Alcuni pensavano che saremmo diventati una band di successo, anche il nostro manager dell’epoca. Ma per noi è andata bene così. Cioè tutto figo, ma abbiamo altre idee: alcune della band hanno dei lavori fissi, siamo dei padri. Non stavamo cercando di diventare famosi all’improvviso, volevamo solo scrivere un disco all’altezza di quello che è stato LP1. In LP2 abbiamo imparato come si fa la nostra musica, e per LP3 eravamo sicuramente più pronti.

Non avete solo altri lavori (chi musicali come te, chi 9-to-5) e famiglia, ma abitate anche in città diverse. Da quando vi siete riuniti – come dicevi – non avete cercato di sfruttare il momento, anzi, avete continuato coi vostri ritmi. Ma come lavorate a nuova musica assieme?
Molto file sharing in realtà. Ci troviamo a jammare in una stanza assieme come una band normale, poi dopo a distanza raffiniamo il tutto e mettiamo assieme le parti che più ci piacciono. Quando qualcosa germoglia, io e Nate lo rifiniamo mentre Steve pensa alle batterie, alle transizioni. Nel mentre io cerco di scrivere le parti vocali. Dopo qualche mese poi ci ritroviamo per capire a che punto siamo. Non è il metodo più efficiente, ma a me piace aver lo spazio dove sedermi da solo e lavorare, idem per gli altri.

Nella tua vita artistica non ci sono solo gli American Football, ma altri progetti come Owen e Lies. Come capisci quando un brano che hai scritto è più adatto per uno o l’altro progetto?
Ho un sacco di demo sul mio telefono. Parole e musica. E quello che faccio è provare ad abbinarle. Magari per atmosfera, o vibrazione. Le canzoni di Owen sono un po’ più disinvolte, a volte è un po’ più crude o pungenti. Per gli American Football invece è diverso, non sono parti di chitarra che mi siedo a scrivere, sono più una reazione a qualcosa. Come vedi qui attorno ho quattro chitarre a portata di mano da utilizzare in qualsiasi momento, sono tutte con accordature differenti. Se mi ritrovo a suonare una stessa cosa per un paio di settimane capisco che è una canzone.

Ti faccio una domanda che potrebbe suonare strana. Eravate una band, vi siete sciolti, vi siete riuniti per il volere dei fan e ora non vi ci dedicate nemmeno full time a questo progetto tra famiglia, lavori, altri progetti. Mi viene da farti una sorta di provocazione: ma voi vi sentite una band?
Ci vogliamo bene. Non siamo dei performer, siamo gente che scrive canzoni e che cerca di farlo al meglio possibile. Preferiamo avere una vita normale. Se mi dicessero che nella mia carriera dovrei stare due anni in tour di fila come Taylor Swift, preferirei ammazzarmi.

Non hai rimpianti che il successo sia arrivato così tardi?
Già che sia arrivato è di per sé una cosa assurda se ci pensi.

In effetti…
Penso che se bramassimo a qualcosa in più sarebbe strano. Non ci siamo lasciati molto bene ai tempi e non siamo rimasti in contatto dopo quell’esperienza. Ma ritrovarci ora, da adulti, più centrati in noi stessi e con un po’ più di prospettiva, posso dirti mi piacerebbe suonare un po’ di più assieme con la band perché amo viaggiare. Ma non lo farei full time, ecco.

American Football - Uncomfortably Numb (ft. Hayley Williams) [OFFICIAL MUSIC VIDEO]

Con tutti i progetti che hai riusciresti comunque a suonare di più con gli American Football?
È tutto in agenda! Considera che ho tutto pianificato per 2024 e 2025.

Ma non impazzisci? Stai facendo già adesso due tour in contemporanea…
Ora sono in tour con Owen con un nuovo album appena uscito. Ma sto anche facendo le prove con gli American Football. Il disco di Owen l’ho scritto tempo fa e sto imparando di nuovo i brani perché non li ricordo. E con gli American Football suoniamo LP1 di cui ricordo nulla e sto studiando anche qui. Nel mentre – te lo svelo – sto lavorando a nuove canzoni per un nuovo disco degli American Football e dovremmo vederci a luglio per terminarlo. Ogni giorno è come se mi mettessi un cappello diverso.

Ora indossi un cappellino degli Slayer, devi dirci qualcosa?
(Ride).

Negli anni l’eredità della band si è allargata al di là del vostro controllo. Da un lato siete entrati nella memetica, penso ai meme sulla casa che appare nella copertina di LP1 (che la band ha deciso di acquistare lo scorso anno, ndr) o su Never Meant. E poi c’è chi vi ha campionato, come Central Cee, il driller inglese del momento, nella sua Obsessed With You. Che rapporto avete con tutto questo?
Noi sta roba la ignoriamo. Non ci prendiamo così sul serio. A me fa ridere che siamo dei musicisti di mezza età che sono diventati popolari improvvisamente facendo della musica triste e noiosa. Non ha alcun senso.

Che pubblico c’è oggi ai vostri live?
Ci sono i nostri coetanei, che ora spesso si portano dietro i figli. E poi ci sono i più giovani che ci hanno scoperto ora.

Come reagisce il pubblico più giovane, che è arrivato a voi grazie al giovanilismo di LP1, alla vostra musica più recente, più adulta?
Non ci penso. Mi fido del fatto che se fai il tifo per noi allora ti fidi. Magari i più giovani non riescono ad immedesimarsi in quello che sto cantando, ma possono prenderlo e farlo proprio a modo loro. È una sorta di fiducia: se hai trovato questa band, indipendentemente dal fatto che tu sia giovane o vecchio, penso tu sia disposto a essere emotivamente vulnerabile, disposto a raggiungere un altro livello.

Gli American Football sono nati in un terreno molto fertile. In quegli anni stava nascendo il Midwest emo, di cui avete fatto parte sia con questa band che separatamente in altri progetti. Spesso le scene sono raccontate a posteriori o individuate dai giornalisti. Voi vi sentivate parte di una scena ai tempi?
Ero a conoscenza di questa scena, ma metterò un asterisco: nessuna delle mie band ha mai fatto parte di quella scena. I Cap’n Jazz si sono sciolti proprio mentre stavamo prendendo slancio e c’erano sempre più ragazzi venivano ai concerti. Era tutto molto punk: le cantine piene, i concerti selvaggi, era eccitante. E poi ci siamo sciolti. I Joan of Arc erano invece troppo strani, anti pop, musicalmente non si adattavamo a quello che c’era attorno, ai Promise Ring, ai Get Up Kids, band che stavano diventando grandi. Invece con gli American Football stavamo scrivendo musica diversa, tranquilla, senza distorsioni. Non urlavamo, non eravamo eccitanti, eravamo degli outsider. Poi sono arrivate delle label – la Jade Tree, la Vagrant Records – che hanno radunato queste band dando più l’idea di un movimento. Ma non posso dire di averne fatto parte: certo andavo ai concerti di queste band, ero fan, ma non penso che ai tempi fossi un artista di quel movimento.

E ora, in retrospettiva?
Io ero quello che apriva per gli altri. Ho suonato prima di ogni band conosciuta della scena (ride).

Un concetto che vi segue è quello della nostalgia. Che rapporto hai con la nostalgia tu?
Credo che a volte si rischia di rimanerci incastrati. So che è strano dirlo mentre sto facendo quest’intervista per il tour dei 25 anni di LP1, ma se ci stai troppo dentro alla nostalgia, e ci giochi troppo, può sembrare falsa. Ma non sento di dire che con gli American Football stiamo ingannando qualcuno. Non fingiamo di essere diversi da ciò che siamo: ci sentiamo fortunati e ci divertiamo a suonare. Ho una reverenza verso la nostalgia, la rispetto, ma non mi interessa sfruttarla. Ribadisco: preferisco pensare alle nuove canzoni.

Ne continui a parlare quindi ti chiedo: puoi dirci qualcosa?
Come al solito punteremo a fare qualcosa di un po’ diverso. Magari meno triste. Ma è presto per dirlo. Ma posso dire che arriverà, già tanto per noi, no?

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