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Anche scrivere ‘Canzonine’ per bambini è un’arte

Enrico Gabrielli ha chiamato a raccolta altri papà della scena italiana (Bianconi, Dimartino, Cosmo, Brunori, I Cani) per cantare pezzi che ricordano Endrigo e Rodari. «Mancavano canzoni per l'infanzia con dentro un po' di etica e poesia»

Foto: Antonio Novelli

Pubblicare un disco di canzoni per bambini è una scelta quantomeno curiosa. Non per un musicista come Enrico Gabrielli, abituato a muoversi nella musica come un esploratore e che nel corso della sua carriera ormai più che ventennale ha fondato band (Mariposa, Calibro 35, Winstons), creato una collana discografica, la 19’40″, suonato con Afterhours, Mike Patton, PJ Harvey, arrangiato un live con orchestra per Iggy Pop, composto musica contemporanea e colonne sonore. Oltre ad aver scritto un libro di racconti ed essersi inventato alcuni progetti solisti.

Mancava un disco a suo nome ed eccoci a Le canzonine: 18 brani concepiti per i figli Agata e Martino Durante, 5 e 2 anni, poi sviluppati e incisi con Valerio Canè al basso, Alessandro Trabace al violino e Marco Santoro al fagotto e alla tromba, cui si sono aggiunti altri complici come Sebastiano De Gennaro, Alessandro Grazian e Fabio Rondanini, più il Piccolo Coro Angelico di Bologna e un manipolo di colleghi, tutti padri come Enrico, che hanno prestato la loro voce in alcune canzoni: da Alessandro Fiori ad Andrea Laszlo De Simone, da Brunori Sas a Cosmo, da Dimartino a Francesco Bianconi, da Giovanni Truppi a Roberto Dell’Era.

«I primi provini sono nati per gioco», spiega Gabrielli. «Sono diventati un progetto discografico vero e proprio per una spinta abbastanza urgente, quella di sviluppare una letteratura di canzoni per l’infanzia che sia moderna e non stupida, dato che da questo punto di vista in Italia, al momento, siamo al vuoto cosmico. Su YouTube c’è un sacco di roba, anche con miliardi di visualizzazioni, ma siamo sempre dalle parti della canzone un po’ glicemica, senza nessun lato metaforico, né simbolico, né etico. E per me che sono del 1976 e sono cresciuto con un patrimonio di canzoni per bambini come quelle di Sergio Endrigo, Gianni Rodari, Virgilio Savona e Vinícius de Moraes, in cui c’era il divertimento, ma non mancavano l’etica e la poesia, è un peccato».

Di qui l’idea di colmare il vuoto con questo album insolito in uscita oggi, non a caso due giorni prima della Festa del Papà: una collezione di filastrocche dai testi ludici, scherzosi, semplici, ma non per questo insulsi o banali, e non privi di un afflato educativo e sociale. Qualità che rendono l’ascolto piacevole anche per gli adulti. «Perché no? In fondo ogni adulto è un bambino a corrente alternata», commenta Gabrielli, che nel disco canta e si destreggia tra pianoforte, clarinetto, flauto, sax alto, ukulele. E che ha affrontato ogni traccia con maestria compositiva e grande cura negli arrangiamenti, in un divertissement che fonde lo sguardo tenero del genitore con quello colto del compositore e polistrumentista cresciuto ascoltando i vinili di famiglia.

«Quando ero piccolo mio padre mi faceva ascoltare L’arca di De Moraes, un’opera particolare, del 1972, con dentro i Ricchi e Poveri, Luis Bacalov, personaggi di un’epoca passata, e brani come Il gatto, La foca. E Il pappagallo, che mi è rimasto impresso perché all’apparenza parlava di un volatile, ma in realtà celava tra le righe la storia dell’esilio in Italia del brasiliano De Moraes; da lì la mia Il pappagatto».

Quanto alle atmosfere forgiate per le sue “canzonine”, tutto è emerso da un’idea di organico ben precisa: «Avevo in mente una piccola orchestra elettrico-sinfonica in miniatura. Questa la base da cui sono partito per scrittura e arrangiamenti, che però non sono stati la parte più complessa. La vera difficoltà è stata quella di trovare il coro di bambini, merce rara oggigiorno. Ma l’abbiamo trovato, il Piccolo Coro Angelico diretto dalla strepitosa Giovanna Giovannini a Bologna, dove abbiamo fatto una bellissima sessione di due giorni durante i quali io stesso ho preparato la merenda – ho comprato i succhi di frutta, le pizzette con i würstel – per poi far cantare i piccoli componenti del coro, che non essendo ancora dei professionisti, non sono l’Antoniano, lo hanno fatto a modo loro, in una maniera per me splendidamente poetica».

Arricchiscono la tracklist due tributi ad Anne Sylvestre e a Gianni Rodari, tra i riferimenti principali di Enrico. «Assieme a Virgilio Savona del Quartetto Cetra, personaggio un po’ dimenticato che attorno alla metà degli anni ’90 ho avuto la fortuna di conoscere con sua moglie Lucia Mannucci, la voce grave dello stesso Quartetto, e che ha fatto anche dischi di natura politicamente impegnata. Oltre a Filastrocche in cielo e in terra con Rodari e a Ci vuole un fiore di Endrigo, lavori che mi hanno ispirato perché parte della mia infanzia».

Diversa la storia del rapporto con Sylvestre, artista francese morta nel 2020, lanciata da Brassens, nota per le battaglie femministe, il pacifismo, nonché per le sue “favolette sociali” per bambini, in cui l’immaginazione e un certo umorismo erano messi al servizio di grandi questioni quali il multiculturalismo e la lotta all’inquinamento. «Lei l’ho scoperta grazie a una band di Venezia, gli amici Grimoon, che qualche tempo fa mi spedirono Les Fabulettes, 50 canzoni che ho ascoltato con i miei figli e che si sono rilevate una fonte inesauribile di immagini, idee, inventiva. Così ho pensato di omaggiare questa meravigliosa signora che da noi si conosce poco, permettendomi di trasformare la sua Berceuse pour rêver nella mia Berceuse dei sogni e di modificare i suoi versi mettendoci dentro i miei affetti».

In questo disco targato 42 Records ci sono tanti papà, ma non ci sono madri, il che (bisogna dirlo?) non ha nulla a che vedere con qualsivoglia rigurgito patriarcale. Semmai c’è la volontà, da parte di Gabrielli, di rivendicare il valore della paternità e l’importanza del ruolo dei padri in una società come quella italiana, che tende a far pesare la responsabilità della genitorialità solo sulle donne, condannandole a una pressione sociale enorme.

«A essere sincero non seguo il dibattito su queste questioni, ma sono un papà fai-da-te, nel senso che non ho genitori così strutturati come nonni, e durante la pandemia ho trascorso intere giornate con mia figlia – Martino non c’era ancora – perché mia moglie lavorava fuori, e con i miei nipoti, sperimentando cosa significhi non avere nemmeno un secondo di privacy. Per un periodo ho fatto più il padre che il musicista e questo mi ha fatto pensare che a parte il parto, che resta una forza tutta femminile, padri e madri nel 2023 possono equivalersi. Ci sono tanti uomini che come me si occupano di tutti quei compiti – cambiare i pannolini, portare i bimbi a scuola – che una volta erano demandati esclusivamente alle donne; sarebbe auspicabile che i due ruoli diventassero effettivamente intercambiabili».

La parità passa anche per il decadimento di certi ruoli precostituiti, questo lo spunto di riflessione suggerito da Gabrielli, che nelle “canzonine” non si tira indietro dal toccare temi d’attualità importanti quali l’ecologia e la dipendenza dagli smartphone, quest’ultima al centro di Social-dramma, rilettura della rodariana Teledramma con un ottimo Brunori al microfono. «L’originale parlava di dipendenza dalla tv, la mia è una traslazione libera costruita attorno a quell’anestetico sociale che sono oggi i cellulari, il cui utilizzo, senza voler bacchettare nessuno, mi pare eccessivo».

Disponibile a breve anche in edizione limitata in vinile, con un libro di 40 pagine con i testi scritti a mano e illustrati ad acquerello dallo stesso Enrico, Le canzonine vede la partecipazione di sua figlia Agata in Pellicano dove vai?. «Il testo è suo, ma era restia a cantarlo, per cui alla fine si sente solo lei che interrompe l’ascolto dicendo “papà, spegni!” (ride). Mi ha commosso, ma al di là di questo credo che questo album farà effetto soprattutto a loro, ai miei figli, quando saranno grandi. Adesso non so nemmeno se avranno voglia di ascoltarlo, ma sono felice che da adulti potranno godere di questo lascito, di questo regalo. Registrarlo e stamparlo è stata la chiusura di un cerchio, sono già contento così. Poi se girerà, tanto meglio: la speranza è di proporlo anche dal vivo, ovviamente non di sera, faremo dei fantastici live pomeridiani!».

Ma cosa propina Gabrielli ai suoi figli, in quanto a musica? «La bimba va matta per il western, per cui le faccio sentire le colonne sonore dei film di Peckinpah. Lo so, è tutto in vinile. Al piccolo passo un sacco di 45 giri, cose tipo Peppino Di Capri e Anna dai capelli rossi. E lui li ascolta, e il vinile è uno strumento di educazione all’ascolto formidabile, perché i bambini lo vedono girare, vedono da dove arriva il suono, mentre i mezzi di riproduzione digitale fanno sì che non si capisca da dove esce la musica e il rapporto con la stessa diventa meno divertito, meno profondo».

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