Angela Baraldi e il lusso di essere se stessa | Rolling Stone Italia
Cuore elettrico

Angela Baraldi e il lusso di essere se stessa

Ha fatto un disco immaginando l’anno 3021, con la madre che fuma sulla Luna e Edgar Allan Poe preso male. Intervista: il rock, il cinema, i salti nel buio da apprezzare anche quando finiscono con uno schianto, la musica che nasce dalla libertà, i vaffa. E un appello: «Alleniamoci a riconoscere la bellezza»

Angela Baraldi e il lusso di essere se stessa

Angela Baraldi

Foto: Claudia Pajewski Caravan

Ci sono artisti che si prendono il lusso di sorprendere, persino di deludere. Angela Baraldi è una di loro. Lo dice con la tranquillità di chi ha alle spalle una carriera che spazia tra musica, cinema e teatro, e con la grinta di chi ha ancora voglia di giocare, di sperimentare. Il suo nuovo album 3021 è tutto questo: un viaggio sonoro che parte dalla Terra, vola nello spazio e ritorna a noi con otto brani che rifiutano ogni sovrastruttura. Registrato con la complicità di Federico Fantuz, è un lavoro che Angela definisce finalmente suo: «Per la prima volta non c’è distanza tra l’idea e il risultato finale. Mi sono presa tutte le responsabilità senza delegare ad altri e questa cosa mi gratifica tantissimo». Il rock si mescola a synth spaziali, chitarre come satelliti e batterie che pulsano dentro cuori elettrici. Ma è anche molto umano e le parole scendono dal cosmo per atterrare su sentimenti autentici.

Angela Baraldi, come ci ha raccontato in questa intervista, è cresciuta nell’underground bolognese, tra band che suonavano nei club fumosi e collaborazioni con giganti come Lucio Dalla e Francesco De Gregori (che ha prodotto il disco con la sua etichetta, la Caravan). Eppure la sua capacità di guardare avanti è rimasta intatta: «Questo pianeta è stanco e per immaginare il futuro ho usato la fantasia. Io non so se quello che faccio è rock, ma so che voglio rischiare». In 3021 ci parla di stelle, di bellezza, di tempo che scorre. E proprio sulla bellezza esibita e oggi stigmatizzata, in particolare del corpo delle donne, non ha dubbi: «Mi sembra una stronzata criticare Elodie».

C’è anche un omaggio a sua madre, che immagina fumare sulla Luna con una tuta spaziale. È il suo modo per ricordarci che anche i viaggi più lontani partono sempre dalle emozioni più vicine, dalla voglia di sorprendersi e, perché no, di sbagliare.

3021 è un disco fuori dal tempo, persino fuori dallo spazio. Almeno quello terrestre, visto che indaga il cosmo e non insegue le nuove tendenze. Come ci si sente a tornare con un album così libero in un mercato che sembra sempre più omogeneizzato?
Sono emozionata e sto davvero molto bene. Quest’album lo sento centrato, lo sento finalmente mio e voglio difenderlo. Per la prima volta non c’è distanza tra ciò che immaginavo all’inizio e il risultato finale. È tutto vicinissimo a come lo volevo. Probabilmente perché ho prodotto l’album insieme ad altre persone, ma senza delegare nulla. Mi sono presa la responsabilità di ogni decisione e questo mi gratifica. Sentirmi dire che è anche un bel disco non può che farmi piacere.

Tu, che hai iniziato nel circuito underground bolognese, come vivi il nuovo mondo tra social, streaming e musica fluida?
Diciamo che ci sono due piani. A livello personale non è stato complicato, perché ho lavorato cercando la massima sincerità, togliendomi paure e insicurezze legate a come va la società. A livello esterno, sociale, è stato difficile. La pandemia ha accentuato tutto. Sentivo che un mondo stava sfumando per fare spazio a un altro. C’è stata la sensazione di perdita, alcuni club hanno chiuso, ho aspettato passasse l’alta marea. Quando sono riemersa, lo skyline era cambiato. Era una sensazione da elaborare, con il mio modo di lavorare.

Hai collaborato con tanti grandi artisti, da Lucio Dalla a Gianni Morandi, da Samuele Bersani a Luca Carboni. C’è qualcosa che li accomuna?
Uniscono tutti la passione al lavoro, che quindi assume un altro valore. Perché cambia radicalmente il processo. Quando fai un lavoro che ti espone a livello personale ed emotivo, è fondamentale difendere quello che fai, anche se gli altri ti dicono che non va bene. Può essere doloroso, soprattutto quando non viene riconosciuto o non riesci a farlo come vorresti. Litigi negli studi di registrazione o con le case discografiche sono all’ordine del giorno. Ci si sente come quando porti un bambino a scuola e ti dicono che è bravo o non è bravo. Ma è anche per questo che si tratta di mestiere straordinario.

Gli artisti citati sono tutti nati o cresciuti a Bologna, come te. Questo unire passione e lavoro è un tratto caratteristico di quella città?
Bologna è diversa. La competizione è più blanda, c’è molta osmosi tra gli artisti. Il mainstream e l’underground si intrecciano in un modo forte, come nel brodo dei tortellini. Ora vivo a Roma, che amo moltissimo, ma lì l’atmosfera è un po’ più competitiva. È una competizione sana, ma è più difficile formare gruppi. A Bologna, invece, ci sono sempre state molte band. Questo ti fa capire che c’è un aspetto ludico più forte.

Hai spiegato di aver «immaginato il suono delle sfere, dei pianeti e dello spazio profondo e abbiamo provato a riprodurlo usando chitarre, basso, batteria e qualche synth». Questo disco è la colonna sonora per la nuova corsa allo spazio lanciata da Elon Musk?
La mia è una corsa romantica, senza un ritorno economico. Sono viaggi siderali che compio da sola. Questo pianeta è stanco, per cui immaginare lo spazio e il futuro mi ha costretta a tirare fuori la fantasia. Per me, lo spazio ha a che fare col desiderio e il futuro remoto. Non ci arriverò, nessuno di noi oggi ci arriverà al 3021, ma lo spazio che verrà è almeno immaginabile. In questo c’entra la tecnologia, con la quale ci sentiamo in grado di fare più cose di quelle che in realtà siamo in grado di fare.

Il futuro era un tema centrale anche in Lucio Dalla, tuo amico e con il quale hai collaborato. Tanto che sei stata la prima a sentire Caruso in quell’albergo di Sorrento…
La classica botta di culo che si può avere solo a 20 anni. Lui aveva l’abitudine di andare in giro, lavorare di fantasia su quello che vedeva, a volte senza neanche scrivere veramente. Poi tornava a casa, si chiudeva in studio, scriveva quello che aveva vissuto e lo rielaborava.

È anche il tuo metodo di lavoro?
Lucio era ancora più libero, un’antenna straordinaria per captare quello che sarebbe successo. Io ho bisogno di sedermi a un tavolino, come una brava scolaretta, e scrivere e riscrivere. È il mio metodo, ma non ce n’è solo uno valido. Lui, invece, lavorava più d’istinto, su quello che captava nell’aria. Ma chi fa questo lavoro è un po’ un ripetitore delle emozioni che incontra.

Angela Baraldi - 3021 (Official Video)

Presentando il disco hai detto: «Mi sono presa il lusso di sorprendere o magari anche di deludere chi mi segue. Agli artisti che amo succede anche questo…». Si può aggiungere che, per tanti motivi, gli artisti oggi sono portati a rifuggire dal rischio di deludere?
L’hai interpretato bene, anche se non mi piace fare paragoni tra ieri e oggi. Il salto nel buio di un artista ha qualcosa di speciale, è qualcosa di straordinario, sempre da ammirare, persino quando si va a schiantare. Trovo meno interessante chi segue strade già battute. Sono stata adolescente tra il ’77 e l’80, anni in cui Sanremo si vedeva in playback e non aveva nessun riscontro popolare. E grazie alla mia città ho ascoltato musica molto alternativa e di conseguenza molto libera. Quindi l’artista che non rischia mi attrae meno, però è una percezione mia, dovuta a una formazione personale.

Insomma, non vuoi lanciare dissing a nessuno?
Se lo facessi mi aiuterebbe nella promozione del disco. Magari adesso facciamo un briefing con l’etichetta e scegliamo l’obiettivo giusto da dissare.

Potresti partire spiegandoci come a Sanremo siamo passati da Lucio Dalla a Tony Effe.
Non vedo in giro un altro Lucio Dalla, questo sì. Ma non credo sia un problema di Sanremo.

Tu hai partecipato a Sanremo nel 1993 con A piedi nudi. Quanto è cambiato da allora?
Mi sembra un po’ sempre uguale. Quando andai io la scenografia era veramente brutta. Ma in generale Sanremo non l’ho mai visto particolarmente brillare. Gli artisti hanno bisogno di veicolare quello che fanno e oggi è una grande vetrina, ma vedo tanta ansia dietro le quinte e quindi difficilmente chi sale sul palco riesce a dare il massimo. Questo penalizza gli artisti, che si fanno un mazzo bestiale e arrivano sul palco già stressati. Se fossi io a gestire quell’evento, cercherei di creare un’atmosfera meno tesa. In quanto alla qualità, non credo si sia abbassata, anche prima c’era tanta roba discutibile. Ma se portavi qualcosa di figo risaltava. Se c’è potenza funziona, nonostante tutto.

Ti sei anche chiesta se sei rock. Che cos’è il rock per te?
Il rock ha tante sfaccettature. Fino ai Nirvana era diventato quasi fastidioso. È nata come musica libera, poi ha preso tutt’altra piega. Come il rap. Quando iniziano a girare molti soldi le cose cominciano a cambiare. È uno sberleffo a una società conformista, o almeno dovrebbe essere così, come anche il jazz e il rap. L’origine è sempre buona. Come noi, che quando nasciamo siamo bellissimi e poi, piano piano, diventiamo delle merde.

In Bellezza rifletti proprio sullo scorrere del tempo e su come ci cambia.
Riconoscere la bellezza è una qualità quasi divina. Oggi sarebbe una delle prime cose da insegnare a scuola, adesso che siamo bombardati da troppe cose che ci allontanano dal bello. Così come riconoscere una notizia vera da una falsa, una foto bella da una brutta. Dovremmo allenarci a riconoscere la bellezza, dovrebbe essere una priorità, una lezione quotidiana.

Cosa ne pensi delle critiche a chi usa il proprio corpo sul palco, in particolare alle donne? Come nel caso di Elodie, criticata in passato anche da Gino Paoli.
Non ci vedo nulla di male. Mi sembrano critiche stupide e obsolete. Se Elodie è una bella donna, e sul palco fa vedere che è bella, che male c’è? Il problema è come percepiamo il sesso e l’erotismo in questo tempo terribile, non se una donna si mostra. Quello sì che è un problema serio. Siamo diseducati sessualmente e abbiamo dimenticato cos’è l’erotismo, cosa significa la partecipazione erotica. Che non vuole dire fare sesso. Lo trovo più grave, più piatto e pericoloso. Ma cosa ha detto di preciso Gino Paoli?

«Oggi emergono le cantanti che mostrano il culo».
Allora le vallette di Canzonissima? Se sono un’artista, devo vestirmi in modo castigato? Elodie fa un genere di musica sensuale e che si balla, ma anche se cantasse di massimi sistemi, se volesse farlo con il culo fuori che problema ci sarebbe? Mi sembra una stronzata criticare Elodie.

Foto: Claudia Pajewski Caravan

Uno sberleffo rock lo inserisci in Cuore elettrico, dove a un certo punto canti: “Ma anche Allan Poe era preso male”.
Allan Poe è un personaggio veramente scomodo, importantissimo e influente. Ma nella sua contemporaneità era estremamente irascibile, un vero preso male. Grazie alla sua presa male, però, ha costruito un mondo magnifico. La società non lo riconosceva. Ancora peggio, lo etichettava in modo dispregiativo. Era intrattabile, ma i suoi articoli di costume erano provocatori. Perché non escono film sulla sua vita? Lo meriterebbe.

In Saturno ci racconti di chi “vuol sedersi a fumare con la tuta spaziale sulla curva lunare”. Sembrano una versione attuale del Piccolo principe.
Questa canzone è dedicata a mia madre, l’ho scritta per farla sorridere. Lei fuma tantissimo e ha 91 anni. Mi faceva ridere immaginarla con la tuta spaziale a fumare sulla Luna. Lei mi chiede sempre di cantare, quindi mi piaceva farle compiere un viaggio spaziale.

Dopo Quo vadis, baby?, grazie al quale hai vinto diversi riconoscimenti, ti abbiamo vista solo saltuariamente al cinema. Come mai?
Bisognerebbe chiedere al mondo del cinema. In quel caso a Sky. Pensa che per la serie dopo il film non c’era neanche il reparto scrittura. Era un esperimento e stava per uscire Romanzo criminale. Io ero spaventata, perché conoscendo l’Italia mi domandavo: una donna scorbutica, che dice parolacce e fuma cento sigarette, avrà appeal in questo Paese un po’ misogino? Infatti è stato così. Ma non so se è dipeso solo da quello. In più ho avuto problemi con il produttore, che è stato un grandissimo stronzo, ci ho litigato, e forse mi ha messo i bastoni tra le ruote. Non a caso sui manifesti invece della mia faccia c’era una scarpa.

Mi sembri una che, quando manda affanculo, non prova rimpianti.
Nel momento in cui lo faccio c’è tanta soddisfazione, poi se ne pagano le conseguenze. Ma penso di averlo sempre fatto quando ero nel giusto. Anzi, ne sono certa.

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