Venti album, due figli, diverse battaglie per i diritti umani affrontate negli anni. Ani DiFranco è di nuovo in pista: il 14 ottobre esce il suo album Allergic to water e martedì arriva in Italia per una manciata di date, il 9 settembre è a Milano (Alcatraz), il 10 settembre a Roma (Orion) e l’11 a Firenze (Cavea Nuovo Teatro dell’Opera).
Chiamandola, potresti aspettarti una persona talmente avvezza al mondo dello spettacolo da apparire stanca. Invece, no.
Da New Orleans, dove vive ormai da più di dieci anni risponde al telefono una voce brillante e la prima domanda non può che essere:
Che periodo è per te, Ani, questo?
Ottimo, se devo fare un bilancio non può che essere positivo. Ho trovato il giusto equilibrio tra vita personale e lavorativa e ne sono felice. Per quanto riguarda la situazione generale e politica mondiale, trovo, invece che sia un disastro. È tutto sempre e ancora di più in mano alle lobbies economiche e il mio Paese, gli Stati Uniti, è l’esempio negativo per tutti gli altri.
L’aver avuto due bambini potrebbe aver reso, in qualche modo, meno urgente per te il desiderio di dedicarti alla musica?
No, assolutamente. La musica mi tranquillizza, ha lo stesso effetto di una medicina o della meditazione zen. Ne ho un bisogno estremo e il fatto di poter condividere questa sensazione con il mio pubblico ritengo sia un privilegio pazzesco. A volte mi capita di dimenticarlo ma quando salgo sul palco mi torna subito in mente.
Non provi mai ansia prima di un concerto?
Un po’ sì, ma sai quando mi viene soprattutto? Quando non riesco a comunicare in un’altra lingua. Mi capita soprattutto in Italia dove sono venuta a suonare tante volte e penso di aver un bel feeling con il pubblico, mi infastidisce troppo sapere solo qualche parola in italiano.
Tornando invece agli Stati Uniti e alla tua meritata fama da pasionaria: quale è la battaglia per i diritti che in questo momento ti preme di più?
La lotta per affermare i diritti delle persone di colore. Sembra incredibile e superata, ma ancora i neri vengono trattati in un modo totalmente diverso.
Di Obama, quindi, cosa pensi?
Tutto il bene possibile: lo rispetto molto. È riuscito a dare finalmente più importanza alle persone di colore, il problema sono le persone che lo circondano e che non gli fanno fare niente di quel che vorrebbe. Purtroppo in generale sono delusa perché non si sono visti grandi cambiamenti.
Tempo fa il senso di un tuo verso era più o meno questo “chi non è arrabbiato è stupido”: la pensi ancora così?
Chiaramente le situazioni non sono mai così semplici, bianche o nere, più vado avanti con gli anni e più me ne rendo conto. Certo, mi sono resa conto che la rabbia non può essere la soluzione ma la cosa più importante è cercare di combattere l’ignoranza, questo sì.
Allergic To Water, il titolo del tuo album vuole essere un paradosso buffo?
No, in realtà è ancora una volta il desiderio di sottolineare come le cose più importanti e belle della vita abbiano sempre un risvolto poco piacevole e in fondo doloroso. Come il parto e come l’acqua, anche, perché no.
Anche Rainy Parade, il brano che chiude l’album, si riferisce a questo concetto?
Certo. Quello è il brano preferito di mia figlia. Anche lì, ciò che vorrei dire è questo: anche se piove proprio nel giorno della festa, devi essere contento. Di motivi per essere felici nella mia vita io ne ho davvero molti.