Otto partecipazioni e una vittoria nella categoria Giovani, nel 2002, con Doppiamente fragili. Terzo posto nel 2006 con Essere una donna. Medaglia d’argento nel 2008 grazie a Il mio amico. Dal debutto appena 15enne a oggi, Anna Tatangelo ne ha fatte di cose a Sanremo. Ora che la sua carriera vira su sonorità urban e trap le chiediamo di raccontarci qualcosa riguardo al Festival, che non ha mai detto. Oppure, aggiunge lei, «che non ho mai superato».
Cos’è che non hai mai superato?
Un piccolo trauma ce l’ho avuto.
Racconta.
Al mio primo Festival, quando vinsi tra le Nuove Proposte con Doppiamente fragili, non cantai perché era passata la mezzanotte ed ero minorenne. Pippo Baudo mi disse che la premiazione sarebbe stata posticipata al giorno dopo, durante la finale. Il discografico mi assicurò che avrei soltanto ritirato il premio, in apertura dello show, ma che non mi sarei esibita. Anche perché la quinta puntata, quella della finale, è la più complicata a livello di tempistiche.
E quindi, che successe?
Quando sono salita sul palco dell’Ariston, dopo la premiazione, Pippo Baudo, invece di congedarmi, annuncia: «Dirige l’orchestra il maestro Luca Chiaravalli, canta Anna Tatangelo!». Io l’ho guardato come per dire: «Oddio, adesso che faccio?». Ero totalmente impreparata, non avevo gli in-ear monitor e non mi ero scaldata la voce. Sono stata tutto il tempo dell’esibizione con una grande ansia addosso. Fu un trauma per una quindicenne come me. Mi ha segnato talmente tanto che, ancora oggi, se devo partecipare a qualche evento, anche se non devo cantare mi preparo e scaldo la voce. Non si sa mai.
Nel 2003 torni a Sanremo, con Federico Stragà e la canzone Volere volare.
Vorrei bypassare il Festival del 2003.
Come mai?
Fu una partecipazione imposta dalla mia etichetta di allora. Adesso, a distanza di anni, posso dirlo. Non volevo assolutamente cantare quella canzone lì e non ho vissuto bene quei momenti.
Mi spieghi meglio?
Avevo vinto il Festival l’anno precedente e avevo appena duettato con Gigi (D’Alessio, nda) nella canzone Un nuovo bacio che fu un successo enorme. Invece mi ritrovai all’Ariston con un pezzo molto debole. Notai la differenza tornata a Sora, il mio paese: quando vinsi c’era pure il sindaco ad aspettarmi, nel 2003 non mi ha cagato nessuno (ride). Fu una lezione sugli alti e bassi della vita di un cantante. Ero comunque preparata, essendo la prima a non crederci, in quella canzone.
Ma con Stragà come andò?
È stata una bella esperienza con Federico, ma quando non credi in un pezzo… essendo minorenne, ho dovuto lasciare le scelte agli altri.
Arriviamo a Ragazza di periferia.
È stata una delle edizioni del Festival più bella in assoluto, quella che mi ha cambiato la vita. E che porto nel cuore per la sensazione di tranquillità avuta cantando. Una tranquillità che un po’ mi manca.
Perché?
Andando avanti con l’età senti il peso della responsabilità per la risonanza che ha andare in tv. E all’epoca non c’erano nemmeno i social! Capii che quella canzone avrebbe avuto successo quando ero in Calabria, la sentivo ovunque dalle autoradio delle persone. Fu una sensazione bellissima.
Alcuni giornalisti la definiscono trash.
Ah, sì… ma magari mi uscisse ogni anno una canzone trash del genere. Resta che il successo lo decide sempre il tempo: se continua negli anni e si ricorda viene consolidata. Cosa da non dare per scontata di tempi in cui la musica è veloce ed escono cantanti su cantanti. Siamo invasi da hit consumate nel giro di qualche mese, non è più come prima.
Tra l’altro Ragazza di periferia ha segnato anche il tuo nuovo corso urban e trap…
Ho ripescato la canzone con Achille Lauro, in versione urban. Mi ha contattata lui dicendo che la cantava spesso sotto la doccia. Voleva cantarla con me, ma dandole un’altra veste. E interpretando il ragazzo di città del brano. L’abbiamo realizzata e, da lì, ho compreso la connessione con questo mondo che conoscevo già da prima, ma non avevo il coraggio di sviluppare come progetto. Dal momento che Lauro mi ha invitato ai suoi live ho incontrato artisti apparentemente differenti da me, come Gemitaiz con cui ho poi lavorato negli ultimi mesi.
Torniamo al Festival: era il 2006 e cantavi Essere una donna.
Il ricordo è legato a Mogol. Andai a casa sua e lui mi disse: «Un attimo solo, vado di là». Si ritirò in un’altra stanza, doveva scrivere il testo. Non pensavo che avrebbe raccontato il mondo femminile, sono parole importanti per una ragazza come me: non ero ancora madre e tante esperienze non le avevo ancora fatte. Mi colpì come riuscì a descrivere alla perfezione l’essere donna. Ma per me, la vera vittoria, fu quando lo stesso Mogol mi chiamò, dopo la prima esibizione, dicendo che avevo interpretato benissimo il brano.
Mogol è poi tornato da quella stanza?
Sì e la cosa più bella è che, quando tornò dove stavamo io e sua moglie, per farmi capire che aveva avuto l’ispirazione disse: «Ho ricevuto il fax dal cielo». Testuali parole. Mi feci firmare il testo originale e lo tengo custodito gelosamente.
Arriviamo a Il mio amico e alle polemiche.
Strano, di solito non mi accompagnano mai (ride).
Vero?
C’è stata una cosa che ha cancellato totalmente le polemiche quell’anno: uno degli artisti che più amo e che ascoltavo maggiormente in quel periodo era Michael Bolton. Averlo di fianco nella serata dei duetti è stato un sogno. In quel momento mi sono detta che ero lì a cantare la storia del mio amico, non del mondo omosessuale.
Poi, oltre a essere diventata un’icona gay, ti hanno pure rivalutata quando è arrivato Povia con Luca era gay.
Ma infatti la cosa bella è che vengo rivalutata a distanza di anni. Pensa che, durante il Sanremo di Bastardo, nel 2011, feci per ogni esibizione l’omaggio a un’artista. La prima sera avevo un tailleur nero per onorare Anna Oxa. Mi massacrarono.
E poi ti hanno rivalutata pure qui?
Sì, perché l’anno scorso, Achille Lauro, ha fatto la stessa cosa, ma è stato preso in maniera diversa. Ne riflettevo con il mio stylist, parlando di questa idea di Luca Tomassini. Ma va bene così. Ci sta.
Torniamo un attimo a quando hai partecipato con Il mio amico. Ti sei classificata seconda e, ritirando il premio, hai salutato il tuo compagno di allora con un «ti amo Gigi» che fu fischiatissimo.
Ma non erano fischi dalla platea, ma dei fotografi. Il problema era che il mio compagno, all’epoca, era lui. Manco avessi detto «stronzo». Poi la gente attinge a quello che vuole per fare i ricami.
E l’hai presa così, tranquillamente?
All’inizio ci sono rimasta male, perché ho pensato: «ma che ho detto?». Poi man mano l’ho superata: ho capito che, magari, non avevano nulla su cui attaccarsi e hanno pontificato.
Nel 2015, a Sanremo, hai portato Libera. Molto orecchiabile, ma non arrivò in finale.
Fu scritta da Kekko dei Modà e ricordo la serenità: mi sentivo davvero libera di esprimermi senza la sensazione di giudizio che mi ha sempre accompagnata e che un po’ mi sono andata a cercare, un po’ mi è capitata. Kekko scrisse il pezzo perché vide nei miei occhi le cose belle che il nostro lavoro ci regala. Mi sono munita di sorriso e vestiti stupendi con la voglia di trasmettere femminilità senza eccedere.
Nel 2019, con Le nostre anime di notte hai pianto e lo hai definito come il Sanremo più importante della tua vita.
Ho avuto un flash nella testa, quando piansi, perché ero felice e grata di stare sul palco. A un certo punto della canzone ho guardato il soffitto, una cosa che non avevo mai fatto dalla mia prima partecipazione al Festival. Ed è come se fossi tornata a vedere l’Ariston con gli occhi della ragazzina. È stato un viaggio nel tempo. Anche se hanno detto che ho avuto un crollo emotivo.
C’è stato un festival che pensavi di vincere?
Non l’ho mai messo in preventivo, anzi, ho subito un il pregiudizio: non sono mai arrivata sul palco con la convinzione, con l’idea di spaccare tutto e vincere. L’obiettivo era fare una bella esibizione, essere intonata e portare un messaggio.
Quest’anno ti davano come co-conduttrice del Festival.
Non mi hanno detto nulla, ma se fosse sarebbe molto bello.
Ora stai preparando un nuovo disco…
È un progetto nuovo e sono felice: ogni pezzo che sta uscendo, da Guapo a Tra me e te è un’Anna diversa, che piace. Sono felice che arrivi in maniera positiva. Per il prossimo singolo manca poco.