Se un artista critica il governo di Viktor Orbán non finisce in carcere, come in Russia, Turchia o Egitto. Però finisce in una blacklist: scompare dalle radio e dalle tv ungheresi e si può sognare di suonare nei festival. Diventa una persona non grata. Invisibile, insomma. E senza possibilità di lavorare.
È quello che è successo, ad esempio, ad Áron Molnár. Nel 2019 questo giovane rapper e attore ungherese di origini serbe ha fondato il movimento artistico noÁr con il quale ha dato il passo all’attivismo: i suoi rap parlano di diritto all’istruzione, migranti, cambio climatico, abusi di minori. E questo, ça va sans dire, scoccia parecchio in un Paese governato da 12 anni dall’estrema destra di Fidesz che ha trasformato l’Ungheria in una democrazia illiberale. Modello a cui guardano, detto en passant, Salvini e Meloni.
Ad ottobre, durante il Premio Tenco 2021 Molnár ha ricevuto a Sanremo il premio Yorum per il suo impegno a favore della libertà d’espressione e dei diritti umani in Ungheria. Nel 2020 il premio Yorum, istituito per ricordare l’omonima band turca tre dei cui membri sono morti dopo lunghi scioperi della fame nelle carceri di Erdogan, era stato consegnato all’egiziano Ramy Essam, voce della rivoluzione di Piazza Tahrir del 2011 e cantore poi dall’esilio della dittatura di Al-Sisi.
Perché due anni fa hai fatto il salto all’attivismo?
Ho capito che non era sufficiente essere un artista per poter parlare di quello che succedeva nel mio Paese: era necessario essere anche un attivista. Fin da ragazzo ho ascoltato la musica rap. Ho deciso dunque che avrei raccontato attraverso il rap i problemi del mio Paese. Per questo ho fondato il movimento noÁr (un anagramma del suo nome, nda): chiunque può essere parte del movimento se vuole fare qualcosa per questo Paese e si sente parte del cambiamento. Sono nato in Serbia: durante la dittatura di Milosevic c’era un movimento che si chiamava Otpor! con Srdja Popovic. Quello che Popovic faceva con il punk, noi lo facciamo con il rap. Attraverso la forza dell’arte, del dialogo e dell’attivismo, possiamo fare la differenza. Siamo al di fuori dalla politica dei partiti: lottiamo per costruire una nuova società in un paese più libero e dalla mentalità più aperta. È così che immagino l’Ungheria del futuro.
Di cosa parli nelle tue canzoni?
Dei problemi del mio Paese. Wake Up, ad esempio, l’ho scritta dopo aver visto la situazione terribile e disumana che vivono migliaia di persone sul confine tra Serbia e Ungheria e la propaganda contro i migranti del governo di Orbán. Attualmente in Ungheria la parola migranti è la terza parola usata come un insulto, dopo rom ed ebreo. Tra 10 o 15 anni probabilmente molti di coloro che sono bambini e adolescenti vorranno essere soldati o poliziotti per proteggere dai migranti le loro famiglie. Questo è quello che ha fatto il governo di Fidesz: convertire i migranti in nemici, ma sono solo persone che scappano da guerre e dalla miseria.
Non ci sono però solo i migranti nelle tue canzoni.
Certo. Ho scritto canzoni come We Want to Learn sulla libertà d’istruzione, altre contro il razzismo, l’abuso di minori o il cambio climatico. C’è anche una canzone su come essere ungheresi, ossia su come essere patrioti davvero, senza comulgare con la retorica nazionalista del governo.
Quali sono le tue influenze?
Il rap, ovviamente. Amo il rap da quando da bambino ho visto in tv per la prima volta Eminem. Ma da anni, ormai, amo molto di più i rapper attivisti che parlano dei problemi reali. A livello internazionale ti citerei Macklemore e Kendrick Lamar: il modo in cui raccontano quello che vivono e il mondo che li circonda. O un rapper ungherese, Funktasztikus. Lui è un vero rapper. Io in realtà non sono un rapper: a volte uso la musica rap per dire quello che penso, altre volte è la musica rap che usa me per fare arrivare ai più giovani dei messaggi.
Consideri dunque il rap come un specie di veicolo per diffondere idee?
In noÁr non abbiamo canzoni, abbiamo tematiche o, se vuoi, lotte. Il rap è solo una parte di quello che facciamo. Ci sono i video, ma poi tante altre cose perché vogliamo informare ed educare rispetto alle questioni che ci preoccupano. Vogliamo che le persone leggano, si informino, studino: possono poi scegliere una tematica o un’altra per portare il cambiamento in Ungheria. E lo facciamo tutto ovviamente da soli: senza nessun aiuto pubblico. Solo con le nostre forze, con quelle dei nostri attivisti e con l’aiuto di chi collabora ai fundraising. Anche se ora i fundraising sono difficili in Ungheria perché molte persone hanno paura a collaborare con noi per il rischio di essere poi schedati dal governo.
Sei stato censurato? Ti hanno escluso dalla tv o dalle radio pubbliche per i testi delle tue canzoni?
Non potrai mai ascoltare le mie canzoni nelle radio o tv ungheresi. Solo sulle piattaforme digitali. In Ungheria ora non c’è libertà d’espressione perché il governo di Fidesz non concepisce nessuna critica. Ma quello che io dico non è solo contro di loro: il problema dell’educazione esiste da almeno due decenni, il cambio climatico da molto di più… se non parliamo di queste cose, le narrative imperanti non cambieranno mai. Ti racconto una storia: c’era una giornalista della tv pubblica che voleva fare insieme a me un programma dedicato ai bambini con sindrome di down, parlammo a lungo e mi sembrava una cosa meravigliosa. Però due giorni dopo mi ha richiamato dicendomi che gli dispiaceva moltissimo: il suo capo gli aveva detto che ero una persona non grata e che non poteva fare nulla con me. Sono su una blacklist come tutte le persone che hanno criticato il governo.
Vale lo stesso per i concerti?
Sì, esattamente. Posso suonare solo quando organizzo io un evento in circuiti alternativi. La cosa è molto semplice: se sei un artista in Ungheria e vuoi lavorare, devi stare zitto e buono o direttamente dire quello che il governo vuole sentirsi dire. Se dici qualcosa riguardo al governo minimamente critico o parlando dei problemi esistenti, non andrai mai a un festival né in tv.
Cos’è l’Ungheria di oggi? Una democrazia? Una dittatura?
Il politologo Gábor Filippov l’ha definita un regime ibrido: non è più una democrazia, ma non è ancora una dittatura. Quello che è importante per me è la parola “ancora”: significa che abbiamo ancora un po’ di tempo per fermare questa deriva. L’ideologia di Viktor Orbán è un conservatorismo cristiano, ma quello che dice e fa non ha nulla a che vedere né con il cristianesimo né con l’ideologia conservatrice democratica. Il governo di Fidesz dice che si può dire quel che si vuole in Ungheria come in una democrazia. Ed è vero, ma la questione è che le conseguenze delle tue azioni e delle tue parole sono che puoi perdere il tuo lavoro e finire in una blacklist.
Com’è possibile che la deriva autoritaria di Orbán sia possibile all’interno dell’Unione Europea?
È una delle domande che mi faccio tutti i giorni. La Russia, la Turchia o l’Egitto hanno una storia completamente distinta alle spalle. Noi siamo nel mezzo dell’Europa e siamo parte dell’UE. Voglio essere sincero: l’Europa deve essere molto più dura con il governo ungherese. Finora ho sentito solo parole. Orbán ha ricevuto critiche, ma ha fatto quello che ha voluto e continua a ricevere soldi dall’UE. Molti amici miei sperano che un giorno Bruxelles intervenga. Ma non voglio dover aspettare che sia l’UE che faccia qualcosa. Dobbiamo essere noi che lottiamo per cambiare il nostro Paese e frenare questa deriva autoritaria. Dipende da noi. Dobbiamo essere noi ungheresi a dare questo primo passo.
In primavera ci saranno le elezioni in Ungheria. L’opposizione per la prima volta si presenta in una coalizione unita contro Orbán. Ci sono possibilità reali per un cambio di governo?
Nel 2022 avremo 500 mila giovani che potranno votare per la prima volta. Sono moltissimi. Spesso sento dire che non vogliono mettersi in politica o cose del genere. Ma devono capire innanzitutto che tutto nella vita è una scelta politica: dove fai la spesa, che verdure compri, se vai o no al McDonald’s, se butti le sigarette per terra… Mediante l’arte, la comunicazione e l’azione dobbiamo far capire a tutti questi giovani che votare è cool, che questa è una delle decisioni importanti della loro vita. Non è perché lo dice la mamma o lo dice noÁr. E non devono solo andare a votare: devono essere presenti durante lo scrutinio perché c’è il rischio che il governo rovesci il voto. A Budapest, ma anche in molti paesi dell’interno ho visto molti giovani interessati a capire quello che sta succedendo. Siamo a un bivio. È difficile, ma sono ottimista.
Se avessi la possibilità di lanciare un messaggio a Orbán, che cosa gli diresti?
Ti ho sognato moltissime volte, però ora sarai tu a sognare con noi perché è arrivato il nostro momento.
E a von der Leyen e all’Unione Europea?
Svegliatevi, guardate quel che succede in Ungheria e difendete davvero la democrazia.
E al popolo ungherese?
Non abbiate paura del cambiamento perché il cambiamento arriverà. Dovete solo capire se volete essere parte di questo cambiamento o no.