«Le cose che stiamo facendo sono indice di divertimento», dice Arooj Aftab. Lo dice seriamente con la cadenza piatta e distaccata di una prof che sta supervisionando un esame. Si riferisce al nuovo album Night Reign e in particolare alle voci raddoppiate, alle armonie e più d’ogni altra cosa all’Auto-Tune che ha usato nel singolo Raat Ki Ranin per dargli un’aura pop spettrale. È stata Aftab a chiedere al mix engineer di «mettere una quantità di Auto-Tune tipo T-Pain, per vedere come suona».
I due sono rimasti «inorriditi» da quanto gli è piaciuto. «Così mi son detta: questo è il mio momento Cher/James Blake/Imogen Heap/T-Pain. Voglio che la gente capisca che la mia musica non è buona solo per accompagnare momenti tristi o roba su cui meditare. “Oh, quant’è trascendentale Arooj”. No grazie, è roba noiosa».
È un tardo pomeriggio d’inizio maggio e da un’oretta io e questa musicista d’origine pakistana, formatasi alla Berklee School of Music e residente a Brooklyn, chiacchieriamo in un bar specializzato in whisky giapponesi. L’abbiamo scelto, qui a Brooklyn, per via del titolo di un altro dei pezzi forti del disco, Whiskey. L’idea era fare degli assaggi durante l’intervista, ma abbiamo rovinato tutto prendendo un caffè freddo lei e dell’acqua io. Sono passate le 5 del pomeriggio e la gente sta iniziando ad arrivare dopo il lavoro, ma il sole è ancora alto e la sera sembra lontana.
I presupposti e le aspettative che Aftab ha voluto tradire hanno a che fare con l’album di tre anni fa Vulture Prince. Era un disco notevole e girava in buona parte attorno al dolore essendo stato realizzato dopo la morte nel 2018 di un caro amico e del fratello minore della cantante. Ha passato anni a lavorarci cercando di «svelare il mistero di un suono» che le era rimasto in testa. Usando principalmente chitarra, contrabbasso e arpa, Aftab ha composto canzoni che si muovevano tra jazz, musica classica dell’Asia meridionale e folk, il tutto abbinato a testi sia originali, sia tratti dalle poesie del filone urdu ghazal.
Prima di Vulture Prince, Aftab cantava, ma aveva un lavoro diurno. Grazie all’album, ha vinto un Grammy, prima artista pakistana a portarne a casa uno, ed è finita nella playlist di Barack Obama. Il team che la circonda è cresciuto di conseguenza, lei ha firmato per l’etichetta Verve e ha passato gli anni successivi in tour con le canzoni di Vulture Prince e quelle di Love in Exile inciso con Vijay Iyer e Shahzad Ismaily. E intanto tutti si chiedevano: come sarà il prossimo disco?
«Mi preoccupava parecchio che l’album dovesse essere per forza meglio di Vulture Prince o comunque altrettanto bello… o almeno non schifoso», dice ridendo. «Sai, quando fai un disco che la gente ama tanto un po’ ti senti fregata perché quello dopo dev’essere altrettanto buono, se non meglio. E questa cosa t’inquieta. Per cui passavo tutto il tempo pensando al suono che avrei voluto».
Quand’hai successo, spiega, «la tua piccola arte diventa un piccolo business. Non ci sono più in ballo solo i tuoi sentimenti, la posta in gioco è più alta. In quanto artista dai lavoro a un sacco di gente, dai manager a chi organizza i concerti, senti la responsabilità di creare qualcosa che funzioni. Non volevo avere tutti quei pensieri, ma non c’è stato modo di evitarli».
L’idea iniziale era fare un disco incentrato sulle poesie di Mah Laqa Bai Chanda, cortigiana, consigliera politica e guerriera del XVIII/XIX secolo, prima poetessa urdu a pubblicare una raccolta delle proprie opere. Nessuno aveva mai musicato le sue poesie e Aftab ha cominciato a farlo, salvo poi sentirla come una sorta di imposizione creativa e non più come uno stimolo. Così ha abbandonato il concept tenendo le parti che avevano senso (le poesie di Chanda sono alla base di Na Gul e Saaqi).
In Night Reign ci sono interpolazioni dello standard jazz Autumn Leaves e del ghazal di Shamim Jaipuri Zameen, reso famoso dalla grande cantante indiana Begum Akhtar («È la mia Billie Holiday, doveva esserci»). Aey Nehin si basa invece su una poesia improvvisata che Aftab ha visto recitare su Instagram dall’amica e attrice pakistana Yasra Rizvi. «C’è un senso di divertimento e di leggerezza che funziona e che non è affatto artificioso. È una delle mie preferite del disco».
Aftab ha anche recuperato vecchie canzoni come Whiskey, che risale ai tempi del college, e Bolo Na, scritta addirittura quand’era adolescente. Quest’ultima «era una di quelle canzoni smielate e tremende» che pensava sarebbero rimaste per sempre in un cassetto e invece si adattava a un bel groove di batteria e basso che aveva per le mani. Recuperandola, ha anche trovato un nuovo senso al desiderio adolescenziale di amore. «La canzone diceva più o meno: dimmi che mi ami, mi stai illudendo, mi stai mandando segnali contrastanti. Poi diventi adulta e capisci che il mondo schifo, sta andando tutto a puttane, siamo sulla soglia di una guerra mondiale, il pianeta sta morendo. E quindi ora la canzone è più rabbiosa: “dimmi se mi ami”, ma tanto so che stai mentendo».
Il suono di Night Reign si basa su quello di Vulture Prince. Ci sono del resto molti musicisti che ci hanno suonato tra cui stretti collaboratori come la arpista Maeve Gilchrist e il contrabbassista Petros Klampanis. Aftab voleva però che le canzoni avessero un ritmo più intenso e perciò ha chiamato il percussionista Jamey Haddad e si è convinta a mettere uno strumento che non ama granché, il pianoforte. «È banale, cazzo», dice, però poi riconosce che fare un album e un tour con Iyer, grande pianista, l’ha aiutata a capire che «non è poi così male». Moor Mother è ospite in Bolo Na e, se si esaminano attentamente i crediti, si può notare la presenza di un certo Elvis Costello, che suona il Wurlitzer in Last Night Reprise. Costello è diventato un fan dopo aver ascoltato Vulture Prince in un brutto periodo della sua vita. Ha contattato Aftab e in poco tempo i due sono diventati amici. «È di una dolcezza unica», dice Aftab, «bello vedere il lato normale di certe persone».
Aftab si anima quando spiega quel che succede quando metti assieme in una stanza musicisti con vari talenti e personalità, un’idea che l’ha aiutata a superare la pressione di dare un seguito a Vulture Prince. «La gente non ti dice di no se la chiami direttamente. Ti dà la possibilità di espandere il suono».
Quanta nuova fiducia nella comunità di musicisti è perfetta per un’estroversa quale è Aftab. «Mi piace uscire e conoscere nuova gente, alimenta la creatività». Per farlo, specie se sei una musicista in tour, non c’è momento migliore della notte. «La vita in tournée può essere caotica, frenetica, piena di gente, ma la notte offre la quiete necessaria per star da sola coi miei pensieri, scrivere, essere creativa, cosa che non succede quando sono a Brooklyn a fare interviste oppure dal dentista».
Tre anni di tour per Vulture Prince e Love in Exile hanno cambiato le cose. A fine concerto Aftab va direttamente in hotel e non perché sia pronta a svenire sul letto – di solito è «ancora carica» dallo show – ma perché si conosce bene. «Nessuno mi metta in mano una birra, non provateci nemmeno, perché faccio serata e all’improvviso sono le 4 del mattino e il giorno dopo sarò uno straccio».
È stato in un hotel da qualche parte del mondo che le sono venuti in mente la melodia e il ritornello di una canzone che parla di una persona che paragona al gelsomino notturno, un fiore che in urdu si chiama Raat Ki Rani, ovvero Regina della notte. All’inizio non era sicura di come far evolvere la canzone, così l’ha fatta sentire a un paio di amici che scrivevano e parlavano urdu, ma neanche loro sono riusciti a trovare una soluzione.
Alla fine Aftab ha pensato: «Boh, forse non deve per forza andare da qualche parte. È come dice Nile Rodgers: tutti vogliamo arrivare all’hook, quindi andiamo dritti all’hook. La canzone è solo l’hook». E più divertente di un hook forse c’è solo un hook cantato con Auto-Tune.
Da Rolling Stone US.