Questa è la storia di un bambino salernitano di 9 anni che un giorno, nel lontano 1988, si ritrova ad ascoltare per caso insieme a suo fratello una compilation rap di Radio Deejay. «Nella tracklist c’era anche Mary Mary dei Run-D.M.C., che inizia con degli scratch. Lo bloccai immediatamente, folgorato: “Rimanda indietro la traccia, cos’è ‘sta roba?”. Capii subito che anche io volevo scratchare».
Da allora si può dire che non si è mai fermato: con l’aiuto del passaparola e di un po’ di attrezzatura ed esperienza racimolata qua e là, il giovane Tayone (oggi abbreviato in TY1) diventa uno dei dj hip hop più talentuosi e promettenti d’Italia, fino a vincere il primo campionato italiano nel 1997, a soli diciott’anni, diventando famosissimo all’interno della scena ed entrando in quella che forse era la crew di dj più forte del Paese, Alien Army. «Ai tempi suonavamo solo nei centri sociali, nei club l’hip hop non c’era, praticamente. Le competizioni da dj erano eventi underground, ma comunque giganteschi: c’erano 2000-3000 persone a vederci». Da allora, la sua fama di dj non fa che crescere: gara dopo gara si conquista il rispetto e la stima sia dei decani che delle nuove generazioni, fino a diventare il dj ufficiale di molti dei rapper più importanti di oggi, da Clementino a Marracash passando per Gué Pequeno.
«È una gavetta che mi è servita tantissimo», racconta TY1 al telefono. «Dal 2010 ad oggi, però, mi concentro più sulla produzione”. E così, dopo Afterparty del 2010 (con i Videomind, un supergruppo tutto campano formato da lui, Paura e Clementino e fortemente improntato verso la musica elettronica), seguono parecchi beat per i big del rap italiano. «Dopo aver collaborato con tutti gli artisti della scena hip hop italiana, sentivo che era il momento di fare un album tutto mio», dice. Tra le altre cose è stato il primo a portare Salerno sulla mappa, «una città molto vicina a Napoli, talmente tanto che spesso le confondono», ride. «Dopo di me è arrivato Rocco Hunt, che seguo fin dai primissimi pezzi e che negli anni ho visto esplodere; con Capo Plaza la fama di Salerno si è espansa ulteriormente, e ho provato subito un’attrazione istintiva per la sua roba, tanto che ho voluto collaborare immediatamente con lui e Dosseh per un pezzo, C’est la vie, che è diventato il primo singolo di quest’album».
L’album in questione, uscito venerdì scorso, si intitola Djungle ed è effettivamente una rappresentazione a 360° di quello che un dj e produttore hip hop può fare, quando è graziato da un talento fuori dal comune e di una conoscenza quasi enciclopedica di tutti i sottogeneri. Ne è un esempio perfetto la traccia Fantasmi, con Marracash e Geolier, ispirata a un classico della house anni ’90 (che però vi sfidiamo a riconoscere): Free degli Ultra Nate. «La musica è come un profumo, evoca una memoria precisissima del luogo in cui hai ascoltato una determinata canzone, e ti resta immagazzinata dentro. Magari non la riconosci subito, ma percepisci qualcosa di familiare», spiega TY1. «Ho sempre fatto parecchi mash-up: in maniera molto naturale, prendo un brano house e lo faccio diventare hip hop, o un brano di flamenco e lo trasformo in techno. Il giro malinconico dell’intro degli Ultra Nate, dimezzandogli il tempo, aveva un’atmosfera pazzesca: ho provato a svilupparla con alcuni musicisti miei amici e da lì è nato tutto».
TY1, come quasi tutti gli artisti hip hop in Italia, non ha mai studiato musica e ho un approccio molto semplice e istintivo, «ma lavoro con molti musicisti che mi danno una mano, e mi riconoscono come uno di loro, perché io con il giradischi e i campioni ci suono davvero: ci sono ore e ore di studio dietro quello che faccio, semplicemente si articolano in maniera diversa», sottolinea. «Credo che avere un approccio come il mio a volte sia un vantaggio, perché ti permette di avere idee che magari a chi ha studiato in maniera tradizionale non verrebbero». Tra i suoi ascolti c’è davvero di tutto: «Il rap, la musica francese e quella etnica, Billie Eilish, Rosalía, 6lack, D’Angelo… Si capisce anche dalla varietà di suoni che c’è nel disco: nella tracklist abbiamo inserito perfino un pezzo di baile funk, Pussy, con MC Buzzz e Vettosi».
L’unico tasto dolente, per TY1, è quello di non poter portare ancora Djungle nel suo contesto naturale: sul dancefloor. «All’inizio del 2020, dopo l’uscita di Sciacalli con Speranza e Noyz Narcos, avevo già un tour organizzato. La mia agenzia mi aveva proposto di prendermi una vacanza di un paio di settimane prima di partire: pochi giorni dopo il mio ritorno, scoppia la pandemia. Ho fatto in tempo a fare giusto due date, di quel tour. Al che mi sono rimboccato le maniche, perché o ti deprimi e cadi nel baratro, o cerchi di darti da fare. Io ho scelto la seconda strada e ho passato tutto il lockdown a lavorare al disco». Resta però un problema più globale: «La nostra musica – il rap, il reggae, il rock, la dance – senza i live non ha senso. Senza i club e i festival finiremo per non avere più stimoli neanche noi: sto sentendo moltissimi colleghi che si sono fermati e non compongono più proprio per questo motivo. Non io, per fortuna: per quanto mi riguarda, ho sempre più voglia di fare sentire che ci sono».