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Azealia Banks contro tutti

La cancel culture che «non esiste», le aberrazioni di TikTok, lo streaming che ammazza la musica, le stronzate liberal. E poi, i brutti dischi di Kanye West, le violenze di Russell Crowe e l’identitarismo: «Ho uno specchio, non ho bisogno che mi diciate che sono nera»

Foto: Griffin Lotz per Rolling Stone US

Saranno state le elezioni presidenziali, sarà stata la pandemia, sarà l’incombente catastrofe ambientale, fatto sta che qualcosa è cambiato. Nell’ultimo anno s’è cominciato a considerare icone pop come Britney Spears sotto una nuova luce, con più empatia, e i segreti di gente come Marilyn Manson sono stati rivelati. Ci sta che proprio nel 2021 il mondo abbia dimenticato perché ce l’aveva tanto con Azealia Banks. L’unica colpa della cantante era dire quel che pensava, spesso a proposito dell’ipocrisia culturale a cui oggi le piattaforme dedicano un documentario dietro l’altro.

Dieci anni fa Banks, ventenne, pubblicava il primo singolo 212. Ha passato gli anni seguenti a centrare una hit dietro l’altra. Intanto il pubblico era catturato dal magnetismo per via delle controversie online, da uno strano incontro con Elon Musk e Grimes fino all’aggressione che avrebbe subito da parte di Russell Crowe in una stanza d’albergo (l’attore ha respinto le accuse). Le hanno pure sospeso più volte l’account Twitter, l’ultima volta nel 2020 dopo una serie di tweet considerati transfobici.

Secondo Banks, la colpa non era sua. E non ha tutti i torti: da una decina d’anni s’è fatto strada un nuovo codice etico per le celebrità che prevede che le parole scritte su uno schermo sia più dannose delle violenze vere.

Forse però il vento sta cambiando. Nell’ultimo anno Banks s’è proposta con onestà innegabile, e anche per questo ha passato la seconda metà del 2021 esibendosi in palazzetti sold out negli Stati Uniti. Né le dà fastidio che il mainstream le stia dando ragione con una decina d’anni di ritardo. Preferisce che a parlare sia la musica.

Come va? Mi dicono che resti in studio fino a tardi.
Sono sempre in studio, lavoro di continuo.

C’è in ballo un album?
Certo che sì. C’è sempre un sacco di musica che esce, ma ai giornalisti il gossip interessa più delle canzoni. E ne ho pubblicate di belle negli ultimi dieci anni.

Pensando all’ultima, Fuck Him All Night, ha un beat di Galcher Lustwerk, com’è che siete entrati in contatto?
Non siamo entrati in contatto. Ho sentito il beat e m’ha fatto andare fuori di testa. M’ha ricordato Custom Made di Lil Kim. «Yo, questo sì che è hip hop», ho pensato. Molti dei cosiddetti giornalisti hip hop manco sanno più ascoltare l’hip hop. Sarà un cliché, ma è vero. È tutta black music.

Tu hai anche fatto house e dance…
Che sono forme di black music.

C’è stato un momento in cui volevi mettere Kanye West nel titolo del pezzo. Perché?
Perché mi ha trollato di brutto.

Puoi dirmi qualcosa di più?
Ascolta la mia musica e poi senti quel che ha fatto Kanye negli ultimi cinque anni. Lo batto. Ma non vale nemmeno la pena parlarne. Lui ultimamente vende scarpe e fa robe bizzarre, tutto tranne musica. Ne riparleremo quando tornerà a pubblicare musica importante. Per ora è una figura diciamo così culturale.

Come ti è venuto la storia Instagram su Lil Nas X, quella in cui accusi Dave Chappelle di transfobia e Boosie Badazz di omofobia?
Sono cose che dico dal primo giorno. Sono stata la prima ai tempi di 212 a dire che la queerness faceva parte dell’hip hop. È una conversazione profonda, che non m’interessa avere. Si tratta delle leggi non scritte della blackness, di che cosa è appropriato per un nero, e sono leggi che cambiano tutti i giorni. E perciò mi sono detta: mi frega un cazzo, farò una musica gay e la gente muoverà il culo. I giornalisti che fanno il loro lavoro e che prestano attenzione lo sanno che ho fatto il culo a quei rapper stronzi in mille modi.

Di recente hai fatto quattro serate alla Webster Hall di New York, praticamente un festival tutto dedicato a te. Com’è nato il progetto?
Diciamo che il progetto era divertirsi ed essere felice di tornare fuori casa. Il mondo sta guarendo e ho organizzato una festa, invitando gli amici.

E insomma, sembra che nel campo della musica i social siano più importanti dell’arte stessa.
Sì, ma non è musica. Vendono idee, stili di vita, qualunque merda esca dai loro culi liberal. Cambia di continuo. È come per le leggi non scritte della blackness, come per le regole di comportamento. John Lennon ha scritto Woman Is the Nigger of the World ed eccoci qua anni e anni dopo a dire che è una delle migliori canzoni di sempre.

Che ne pensi della cancel culture?
E comunque penso che i Beatles facciano schifo.

Scusa?
Ho detto: penso che i Beatles facciano schifo.

Ah, ecco.
Sono una da Beach Boys.

Vero. E tornando alla cancel culture?
La cancel culture non esiste. Solo Dio può cancellare qualcosa. Solo perché non ti piace, non vuol dire che sia cancellato. Significa solo che non ti piace, e va bene.

E quindi non pensi di essere stata “cancellata”?
No. In ballo c’era della gelosia. Sembra proprio che quelle belle regole sull’esprimere se stessi e sull’identità si applichino a tutti, tranne che alle donne nere. E questa cosa mi ha aiutata a liberarmi dal peso dell’identità, di essere una donna nera. Voglio dire: e che cazzo, mi guardo allo specchio ogni giorno, non ho bisogno che mi diciate che sono nera. Né ho bisogno di qualcuno che mi dica che musica posso o non posso fare e neppure mi potere dire che cosa posso o non posso dire in quanto nera. Russell Crowe mi ha strozzata, mi ha sputato addosso, mi ha chiamata negra, e ora sta in un film della Marvel.

Non sei arrabbiata col mondo?
E chi ne ha il tempo? C’è tempo solo per fare i soldi.

C’è qualche fenomeno che vedi all’orizzonte e che ti fa ben sperare per la prossima generazione?
No e non lo dico da hater. C’è che, come dicevo prima, l’industria musicale non è più musicale. La musica è la forma d’arte più svalutata al mondo. Con lo streaming e tutto il resto gli artisti sono disperati, fanno di tutto tranne che buona musica. Girano video e tanta altra roba, e intanto la musica fa schifo. Ho smesso di interessarmi a quella roba dopo che la gente ha cominciato a farsi tre ore di trucco per fare 15 secondi di TikTok.

Non posti su TikTok, ma lì ha una bella fan base.
Non posto perché non sono un’artista della truffa.

A questo punto mi piacerebbe sapere che ne pensi degli NFT.
Vorrei tenerlo per me. Non sono in vena di regalare giri gratis, l’ho già fatto a sufficienza.

Come hai vissuto il Covid?
Come l’hanno vissuto tutti? C’era paura di prenderlo e morire.

Hai imparato qualcosa dalla pandemia?
No. I meme dell’anno scorso erano più intelligenti, più spassosi, più sfacciati. C’era meno censura. Questa cosa dell’accettare tutti e della diversità porta con sé tante stronzate. Persino la parola “diversità”, quando esce dalle bocche di quelli delle multinazionali implica che le persone siano “altre”. Lo sono le persone di colore. E quindi? Di nuovo, non ho bisogno che una multinazionale mi dica che sono una donna di colore.

Sei ottimista per il futuro?
Sono ottimista per Azealia Banks. Adoro Azealia Banks. È una tipa incredibile.

Che cos’è che avresti sempre voluto dire a un giornale e non hai mai detto?
Larry David, chiamami.

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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