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Bartees Strange è l’ennesima dimostrazione che i generi musicali sono finiti

Da bambino ascoltava l’opera, ha suonato in una band hardcore, ha pubblicato un EP di cover dei National. Ora col primo album ‘Live Forever’ vuole dimostrare che per gli artisti neri non ci sono limiti


Foto: Nate Palmer per Rolling Stone US

Bartees Strange ha ignorato i confini musicali per tutta la vita, anche senza pensarci. «Quando suonavo in una band hardcore, scrivevo pezzi con intere sezioni r&b o altre con chitarre melodiche. Mi dicevano: ma che fai? Noi suoniamo hardcore. Rispondevo che avevano ragione, che ero un idiota e che non avrebbe funzionato. Eppure quelle idee mi sembravano naturali, forse perché ho sempre ascoltato e lavorato indifferentemnete a pezzi country, hardcore e pop».

Quest’anno Bartees Strange, 31 anni, ha finalmente trovato un modo per mettere tutto assieme. Dopo gli elogi ricevuti in marzo per l’EP Say Goodbye to Pretty Boy, che conteneva cinque cover ispirate di pezzi dei National, Strange ha appena pubblicato un debutto eclettico intitolato Live Forever. Se gran parte degli artisti si sforza di sfumare le differenze più marcate tra le proprie fonti di influenza, Strange le celebra. Il singolo Boomer inizia con un rap (un accenno diretto a DaBaby, dice) su una base di chitarre pop-punk; quando arriva il ritornello, il brano entra nella terra del rock, lasciando l’ascoltatore tanto affascinato quanto confuso. Pezzi come Kelly Rowland e Flagey God, che oscillano tra trap festaiola, r&b e techno introspettiva, hanno un effetto simile.

Bartees Cox Jr. (questo il suo vero nome) è nato a Ipswich, Inghilterra. È figlio di un militare e di una cantante d’opera, e ha passato l’infanzia tra l’Europa e gli Stati Uniti a seguito dei genitori. La famiglia si è poi sistemata a Mustang, Oklahoma, appena fuori dalla capitale dello Stato. Era uno dei pochi ragazzini neri in un quartiere bianco, sentiva di avere un bersaglio sulla schiena. La madre ha incoraggiato lui e i suoi fratelli a seguirla sul palco e hanno iniziato a viaggiare in tour con l’Oklahoma City Circuit Opera Company, suonando in cerimonie religiose, festival ed eventi scolastici.

Strange racconta la sua infanzia musicale senza alcuna enfasi. Non ha mai imparato a leggere la musica, e dice che sua madre non l’ha mai costretto a fare del canto una carriera. Tuttavia, da giovane ha assorbito la vibrante diversità dei suoni che lo circondavano. Sescrive la sua famiglia come “super-cristiana” e dotata di un gusto musicale che ne rifletteva la fede, ma nella collezione di dischi di casa c’erano anche il funk di metà secolo e il jazz. Nei weekend e dopo la scuola, Strange andava in un vicino negozio di chitarre per passare il tempo con un veterano del country locale, un certo Dale, che gli ha insegnato a suonare. «Era un vecchio tizio bianco che, da più punti di vista, rappresenta un’epoca che non è stata gentile con noi», dice Strange, riferendosi agli artisti neri. «Ma si è preso del tempo per investire in me e gliene sarò sempre grato».

Quando ha preso la patente, ha scoperto la libertà tipica dei teenager americani. Non quella di viaggiare, ma di ascoltare la radio, andare ai concerti e mettere nello stereo la musica scaricata da Limewire. I suoi orizzonti musicali si sono allargati al punk, all’hardcore e all’emo del Midwest, tutti collegati alla fiorente scena indie che proliferava a metà degli anni Zero. Era un’era incredibilmente bianca del rock, ma Strange ha comunque trovato i suoi eroi in gruppi come Bloc Party e TV on the Radio. I secondi, in particolare, l’hanno impressionato quando hanno suonato Wolf Like Me da David Letterman: «È stato incredibile vedere musicisti armonizzare e fare musica che suonava grandiosa e allo stesso tempo incasinata». In quella band multirazziale di Brooklyn, Strange ricorda di aver trovato un modello per quello che un musicista nero poteva essere o fare, soprattutto perché ha visto il frontman Tunde Adebimpe trasformare la musica in un riflesso vitale della sua identità, senza però che questo mettesse in ombra il resto del progetto.

Trovare la sua vocazione in quanto artista nero è un’idea che Strange esplora a fondo nel nuovo album. Nell’inquietante Mossblerd – il titolo è un neologismo che mette insieme Mossberg, una marca di fucili, e blerd, termine slang per descrivere i nerd di colore – affronta le barriere creative e sociali che circondano gli artisti neri. “Teneteci nelle nostre caselle / teneteci lontano dalle virgolette”, rappa su un tappeto di rumori distorti e colpi di piatti. In Far, il brano contemplativo ed esplosivo che sta al centro del disco, le sue richieste d’aiuto si accompagnano a immagini minacciose. La canzone è nata da una crisi d’identità: «Ho passato gran parte della vita a cercare di somigliare a qualcosa d’altro: i lavori che ho fatto, le persone che frequentavo, le ragazze con cui uscivo», dice. «Ma non facevo quel che davvero che desideravo. Così facendo, ho creato una persona che mi mette paura».

Dopo aver passato anni a suonare e produrre nella scena emo dell’Oklahoma, Strange si è spostato a Brooklyn e poi a Washington D.C., cercando di collaborare con tutti i musicisti di talento della East Coast che riusciva a trovare. Nel frattempo, si guadagnava da vivere con normali lavori d’ufficio (la parola Strange è nel suo nome d’arte grazie alla band che aveva provato a fondare: Bartees & the Strange Fruit). Le collaborazioni erano promettenti,le sue esperienze professionali scoraggianti e traumatiche. In uno dei lavori da colletto bianco fatti in quel periodo, una coppia di amici si è suicidata, un fatto che l’ha ispirato a scrivere il primo verso di Mustang. Durante un altro lavoro, un posto da PR in una non profit che si occupava di cambiamento climatico, Strange si è stancato della dissonanza tra i colleghi bianchi e laureati dell’ufficio e la comunità di neri a basso reddito che cercavano di salvare dal disastro ambientale. Quel lavoro gli succhiava l’anima e ha ispirato un altro verso di Mustang: “Mento per vivere, adesso, ed è per questo che non posso dirti nulla”.

Nonostante tutto, Strange si è tenuto il suo lavoro fino a un mese prima della pubblicazione di Live Forever e non si sforza di addolcire la dura realtà del lavoro di musicista a tempo pieno. «Qualche tempo fa qualcuno mi ha chiesto come mai non avessi scritto questo disco a 23 o 24 anni», ricorda. «I miei non erano mica ricchi! Ho bollette e tutto il resto! Dovevo imparare a gestire una session, suonare il pianoforte, usare ProTools. E poi le cose belle richiedono tempo: non avevo investito in me stesso, non avevo dimostrato a nessuno che fosse una cosa vera».

La rivelazione è arrivata dopo un concerto dei National a Washington. Strange era uno dei pochi neri del pubblico. Say Goodbye to Pretty Boy, l’EP di cover che ha pubblicato di conseguenza, era la sua dichiarazione artistica più coraggiosa e un modo per far conoscere il suo suono unico al mondo combinandolo con materiale familiare. In Lemonworld, in origine un brano quieto di High Violet, Strange alterna medie sussurrate a sintetizzatori elettronici, urla e violente catarsi emo. Nel complesso, Say Goodbye è stridente in senso positivo e gli ha permesso di conquistare un’orda di nuovi fan, da Hayley Williams a Ryan Reynolds fino ad Aaron e Bryce Dessner dei National, che hanno pubblicato il disco con la loro etichetta, la Brassland.

Strange ha finito di registrare Live Forever più di un anno fa, ma come ha già detto, le cose belle richiedono tempo. Ha aspettato che il disco potesse essere masterizzatodal produttore Will Yip, che l’ha pubblicato sulla sua etichetta Memory Music. Nonostante fosse conosciuto per aver lavorato con il post hardcore, Yip ha visto una miniera d’oro nello stravagante mix di generi di Strange. «Messi insieme non suonano così alieni», dice il produttore. «Non è musica sconnessa. Ha senso. È un perfetto melting pot».

Nei prossimi mesi, Strange produrrà diversi album di altri artisti nel suo studio di Falls Church, poco fuori Washington, e registrerà il suo secondo disco. «Ho appena finito di scriverlo», dice ridendo. «Andrò nel Maine per due settimane per registrare le basi con la band». In più, ha appena firmato per Paradigm, la stessa agenzia di talent che si occupa del Booking di Billie Eilish e Lorde. Le restrizioni del Covid resteranno in piedi per il prossimo futuro, ma quando sarà il momento ha intenzione di suonare in tour «per quanto umanamente possibile».

«Faccio musica soprattutto per dimostrare a quelli come me che possono farcela», dice. «Quando un ragazzo nero di Yukon, Oklahoma ascolterà il mio disco, spero che dirà: oh, questo tizio nero non sa un bel niente di musica, ma senti che ha fatto».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.

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