Amy Lee e Sharon den Adel sono due donne forti in modo diverso. La prima, che ha trascinato gli Evanescence in cima alle classifiche mondiali a partire da Bring Me to Life nel 2003, ha un passato fatto di sofferenza e lutti (la morte della sorella e del fratello, l’ex fidanzato Shaun Morgan cantante dei Seether tormentato dalla tossicodipendenza) e si è mossa da sola nella giungla del music business americano. L’altra, che fa da sempre coppia fissa con il chitarrista Robert Westerholt con il quale ha formato i Within Temptation nel 1996, ha dovuto lasciare l’Olanda per comprendere che l’entertainment è un’industria gestita per lo più da uomini che trattano le donne come prodotti, stabilendone l’atteggiamento, l’abbigliamento e lo stile musicale.
Entrambe, per ragioni diverse, sono diventate delle outsider, prima nella vita privata, poi nella musica. Amy Lee, con una giovinezza adombrata dalle perdite, ha trovato nel songwriting la sua ancora di salvezza, mentre Sharon den Adel ne ha fatto la sua casa. Amy ha alle spalle studi classici, che le hanno permesso di interpretare il rock in chiave sinfonica, Sharon ha una propensione naturale alla melodia e una laurea in fashion design. Entrambe hanno cercato di definire una nuova immagine di cantante lontana dagli stereotipi del pop e dell’hard rock.
Ora tornano a condividereil palco in occasione del Worlds Collide Tour degli Evanescence coi Within Temptation che toccherà il Forum di Assago giovedì 10 novembre. Ne approfittiamo per una chiacchierata.
Siete diventate popolari nei primi anni 2000, quando è esploso il teen pop di Chistina Aguilera e Britney Spears. Era difficile essere diverse?
Sharon den Adel: Quella olandese è una società egualitaria, sono cresciuta con l’idea che le donne possono fare esattamente ciò che fanno gli uomini, come ad esempio la sassofonista olandese Candy Dulfer che suonava con Prince. Mi sono poi resa conto che altrove non era così: c’era sempre un uomo in giacca e cravatta dietro a una scrivania che ti diceva come dovevi vestirti, comportarti e quanto sexy dovevi apparire sul palco. Venticinque anni fa non c’erano donne che facevano metal melodico, per cui cercavano di snaturarti. La mia fortuna è stata quella di avere il mio ragazzo nella band: mi ha evitato un sacco di problemi.
Amy Lee: Per me il percorso è stato più arduo. La nostra musica era differente da ciò che ci circondava, in più ero giovane e inesperta, per cui in balia dei giudizi altrui. Ho dovuto diventare una guerriera per difendere la mia visione perché, soprattutto nel mondo dell’hard rock, devi provare che non sei lì perché sei carina o perché sei l’amica speciale di qualcuno. Ho lavorato sodo per guadagnarmi il rispetto, per far capire che non ero un’entertainer, ma un’artista e solo adesso, a questo punto della mia carriera, mi sento sicura di me stessa.
Sembrava che dopo il punk e le riot grrrl la donna nel rock fosse liberata, invece siamo tornati ai soliti stereotipi.
Amy Lee: È vero, siamo arrivate in un periodo di restaurazione quando era importante che ragazze come noi avessero dei modelli diversi dalle bambole pop o dalle rapper. Abbiamo fatto capire che si poteva essere rock senza per forza vestirsi e comportarsi come un uomo. Celebriamo sul palco la forza del femminile che è consapevolezza e non compiacenza verso modelli imposti.
Sharon den Adel: Nei primi anni 2000 abbiamo dovuto muoverci in controtendenza ed è stato faticoso. Negli anni ’60 e ’70 a donne come Janis Joplin e Joni Mitchell veniva data una possibilità artistica mentre noi dovevamo diventare un prodotto. Anni di lotte per l’emancipazione femminile per finire così? Non potevamo accettarlo.
Quindi come si fa?
Amy Lee: Si dice di no, non si tradisce se stesse anche se il mainstream lo pretende.
Il vostro modo di vestirvi sul palco è una maschera protettiva che vi aiuta a dividere il personaggio pubblico dalla sfera privata?
Sharon den Adel: Io sono sempre la stessa anche se sul palco l’abbigliamento mi aiuta a diventare una power girl esasperando certi aspetti.
Amy Lee: Per me è lo stesso. Devi essere vera. Il palco è un luogo dove far vivere gli estremi liberando l’anima. Tutti i dolori della mia vita quando mi esibisco vengono condivisi, guariti e trascesi. È una vera catarsi. È una delle esperienze più alte che una persona può fare. Quando ti trovi davanti a tutta quella gente che canta le tue canzoni ti viene un’energia pazzesca. Non si può spiegare: è un qualcosa di taumaturgico che trascende l’umano. Mi è mancato da pazzi durante la pandemia.
La maternità ha cambiato il vostro approccio?
Sharon den Adel: Cerco di fare tour più brevi per stare vicino ai miei tre figli. Inoltre è cambiato il modo in cui guardo il mondo e sento di più la responsabilità, in quanto personaggio pubblico, di sensibilizzare le persone rispetto a certe tematiche sociali o nevralgiche per il futuro, quali la pace, la tutela dell’ambiente e così via.
Amy Lee: La maternità mi ha reso più forte e consapevole di come essere mamma e rocker insieme. Prima di mio figlio Jack non pensavo fosse possibile. Una mamma realizzata anche nel lavoro non può che fare bene al bambino.
Recentemente Lzzy Hale degli Halestorm mi ha detto che le chiedono ancora di lasciarsi cadere “casualmente” il reggiseno sul palco.
Sharon den Adel: È un processo faticoso. Ricordo che circa 15 anni fa, mentre mi trovavo in aereo verso gli Stati Uniti per suonare con i Lacuna Coil, sentii il lancio del tour: “the hottest chicks in metal”. Rimasi basita: che roba era quella? Avresti detto “the hottest guys in metal”? No di certo, piuttosto “the coolest guys in metal”. L’ho trovato maschilista.
Amy Lee: All’inizio della mia carriera, durante a un grande concerto vicino a New York, un famoso dj di una importante stazione radiofonica che organizzava l’evento introduce gli Evanescence alzando l’album con la mia faccia sopra dicendo in pubblico: «Se avessi guadagnato qualcosa ogni volta che mi sono masturbato su questa faccia a quest’ora sarei ricco». Ero nel backstage e non ci potevo credere. Sono solita sul palco e ho cantato il primo pezzo con una rabbia tremenda. Poi ho pensato: non posso lasciare passare una cosa del genere, perché accadrà ancora. Ho fermato lo show e l’ho messo al suo posto, non ricordo neppure più con quali parole visto che ero sotto shock. Alla fine è stato licenziato. Bisogna reagire con determinazione, solo così possono cambiare le cose.
Cosa ne pensate del movimento MeToo?
Sharon den Adel: Se serve per sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto a certe tematiche facendo cadere il velo dell’ipocrisia ben venga. Io ho due figli maschi e una femmina e cerco di crescerli con gli stessi valori.
Amy Lee: È utile per non legittimare mai più certi atteggiamenti che una volta venivano comunemente accettati, tuttavia è la singola persona che deve trovare la forza di dire di no. Non ci sono scorciatoie.
Come vedete il periodo caotico che stiamo vivendo?
Sharon den Adel: C’è troppa cattiva informazione e nessuno più sa quale sia la verità. I governi hanno dato troppo potere a colossi come Google e Meta. Dobbiamo trovare un modo di proteggerci da tutto ciò.
Amy Lee: Per me la grande battaglia odierna è quella tra cinismo e speranza. Vedo le persone sempre più rassegnate e pessimiste e non va bene. Bisogna continuare a lottare per le cose che contano davvero, spegnendo ogni tanto i cellulari e la tv, per toccare la vita con mano. Il mondo ha un potenziale meraviglioso e sta a noi difenderlo anche attraverso la musica.