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Beabadoobee vomita emozioni

Disagi reali e mondi immaginari, funghi allucinogeni e autocoscienza: la ragazza che cantava "volevo essere Stephen Malkmus" racconta il percorso che l’ha portata al nuovo ‘Beatopia’

Foto: Griffin Lotz per Rolling Stone US

Bea Kristi era talmente fuori che vedeva cose. È successo ad aprile quando, subito dopo essersi esibita al Coachella, ha preso dei funghi per la prima volta lontana da casa sua, a Londra. Era in ansia e l’esperienza s’è trasformata in un turbinio di allucinazioni.

«L’unico momento buono è stato durante il set di Doja Cat», racconta mentre si trova in tour con Halsey, esibendosi per la prima volta in vita sua di fronte a 25 mila persone. Ride come una matta mentre mi racconta di quella folle serata nel deserto. Sembrava che le fosse scesa quando i ballerini sul palco si sono improvvisamente trasformati in mostri terrificanti. «Mi sono detto: oh oh, che succede? Non voglio manco analizzarla questa roba», aggiunge sghignazzando.

Anche nella musica che Kristi scrive e pubblica come Beabadoobee il confine tra realtà e finzione è sfumato. Nei suoi pezzi, ispirati musicalmente al rock underground dei ’90, non teme d’esporre paranoie e realtà distorta, e durante l’intervista parla candidamente di malattia mentale, terapia, dell’uso di sostanze per affrontare le cose e scoprire sé stessa. È diventata una piccola icona del nuovo slacker rock dopo il successo della sua prima hit del 2017 Coffee e oggi dice che «la gente si riconosce in quel che scrivo, si rivede in me».

Scrivere canzoni è un modo, come dice lei, per «vomitare emozioni». In passato ha cantato di cimici nel letto, paralisi nel sonno e del desiderio di non essere viva. Ma nel secondo disco Beatopia che uscirà il 15 luglio dimostra d’essersi accettata, d’essere pronta a confrontarsi con i propri demoni e a godere della propria immaginazione sfrenata. Autoironia e traumi del passato s’incontrano in pezzi come Perfect Pair che, influenzato dalla musica samba, parla di odiare gli altri per lo stesso motivo per cui si odia sé stessi, oppure Broken CD, malinconica canzone folk sul sentirsi bloccati in un ricordo doloroso. Ma anche quando esponde le sue preoccupazioni peggiori, s’impegna a superarle con voce piena di dolore e speranza. «Sono convinta che parte dei problemi che ho affrontato crescendo fossero una mia creazione. Venivano dalla mia testa. Ho capito che ho paura di cose che non sono reali, che ho creato io stessa. Dirlo ad alta voce mi fa sentire più sicura».

I riferimenti alle fate contenuti nei testi l’hanno convinta a integrare tocchi di elettronica eterea e psichedelia al suo sound fatto di grunge, folk e shoegaze. «Sono belle e stravaganti, e hanno pure qualcosa di sinistro», dice delle sue creature alate preferite, aggiungendo di aver trovato ispirazione anche in Cibo Matto, Stereolab, Stars, Stina Nordenstam e Masakatsu.

L’album stesso prende il titolo da un universo fantastico che Kristi ha inventato quando aveva sette anni, con tanto di alfabeto e mappa. «Sei una bambina e non capisci granché di ciò che si sta vivendo, e quindi inventi un tuo mondo, è normale», dice Kristi. Tra le cause della sua confusione di allora cita alcuni eventi familiari e il trasferimento a Londra dalla sua città natale, Iloilo City nelle Filippine, avvenuto quando aveva tre anni. Quando una sua insegnante ha trovato il poster raffigurante Beatopia, l’ha rimproverata di fronte alla classe intera e lei non ci ha più pensato.

Sono ricordi riaffiorati durante il lockdown. «Ho fatto i conti con quello che mi è successo da bambina. Non con dispiacere o rabbia, ma con un po’ di speranza. Nel disco precedente, Fake It Flowers, ero ancora intrappolata nel passato e consideravo certi eventi come scuse per il mio comportamento. Ho detto basta. Ho deciso di crescere».

In quegli anni formativi, Kristi si è sentita «tipo un’aliena» soprattutto perché ci si aspettava che si conformasse in una scuola cattolica londinese per sole ragazze; tra i suoi atti di ribellione adolescenziale c’è stato quello di dire ai compagni di classe che era gay (ora s’identifica come bisessuale). Non è stato facile nemmeno cercare di relazionarsi con i compagni asiatici. «Facevo loro ascoltare le canzoni che mi piacevano e loro mi dicevano che era “musica del diavolo”. Ma erano solo i Green Day», ricorda ridendo.

Al contrario, le si illumina il viso quando ricorda i momenti trascorsi con i cugini durante i viaggi che ogni anno la famiglia effettuava nelle Filippine. «L’elettricità saltava di continuo e non si poteva fare altro che stare seduti al buio a parlare con le candele accese, mentre fuori pioveva a dirotto. È la cosa più divertente del mondo». Kristi cita l’Original Pilipino Music – il genere anni ‘80 e ‘90 di APO Hiking Society ed Eraserheads, diviso tra brani ballabili ispirati alla disco e ballatone sentimentali – come un’influenza fondamentale sul suo stile di scrittura delle canzoni, oltre alle hit di Nirvana e Cranberries che le ha fatto conoscere la madre.

In Beatopia Kristi affronta anche le emozioni derivanti dal successo ottenuto da Coffee, grazie al quale ha firmato con la Dirty Hit, l’etichetta di 1975 e Rina Sawayama, quand’era ancora una liceale. Ripples parla anche di questo, del fatto di essere una giovane artista e della sensazione di “non poter alzare la voce” in un’industria musicale dominata dagli uomini. «Ero giovanissimo quand’ho firmato. Non mi sembrava reale, non capivo cosa stesse succedendo. Quella canzone racconta di quando me ne rendo conto: “Porca puttana, sono completamente persa”».

Ha imparato a gestire queste dinamiche di potere? «Non credo siano sane, questo è il punto. Capisci cosa vogliono sentirsi dire e quindi li accontenti per ottenere quel che vuoi, ma non può essere la norma. Devi affermare la tua verità, mai scordarti sei tu la capa di te stessa. Che questo è il tuo progetto creativo. Ci sto lavorando su».

Nonostante il successo crescente, Kristi dice la musica è per lei ancora un hobby e che il suo scopo principale è «essere per le ragazze che mi somigliano e che si sentono come me la persona di cui avevo bisogno alla loro età». Per rafforzare questa connessione, vuole pubblicare una canzone in lingua tagalog scritta di recente con l’aiuto della madre.

Kristi ha deciso che quando tornerà a Londra vuole arredare il suo nuovo appartamento. Ha lasciato la casa dei genitori da due mesi, un passo importante verso l’età adulta che è «decisamente in linea con l’idea di Beatopia, l’idea di accettarsi finalmente. Va di pari passo con l’acquisto della casa coi soldi che ho guadagnato e con il fatto che ho imparato a stare da sola e a cucinare».

Ha ordinato un divano di velluto viola e due sedie di color giallo brillante, progetta di trasformare la terrazza in una piccola foresta di piante. C’è però una cosa che deve assolutamente fare affinché la casa diventi davvero sua: «Scrivere lì una canzone. A quel punto sì che potrò dire di averla battezzata».

Tradotto da Rolling Stone US.

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