Passa da una tastiera all’altra – due note su un pianoforte Steinway nero satinato e tre su un vecchio Fender Rhodes. Suona con gli occhi chiusi, Benjamin Clementine, come se intorno non ci fosse nessuno. Siamo alle Officine Meccaniche, gli studi di registrazione milanesi di Mauro Pagani, e lui è il nuovo fenomeno della musica d’autore francese che però non è francese: è di Londra, ha origini ghanesi e il successo se l’è costruito suonando nella metropolitana di Parigi.
È una storia strappalacrime a cui anche lui è diventato allergico: «Parliamoci chiaro: non vivevo mica sotto un ponte né riuscivo davvero a mantenermi con i due soldi che mi dava la gente», dice, «suonavo dappertutto, dalle feste di compleanno ai matrimoni. Però sì, è vero, i video che trovi su YouTube sono quelli di quando cantavo con una chitarra in mano in metropolitana».
Qui sotto le foto del servizio moda di Filippo La Bruna realizzato per Rolling Stone
alle Officine Meccaniche di Milano:
Benjamin Clementine ha 26 anni. Ha il volto scolpito e una pettinatura immobile all’insù, come se non fosse già alto due metri. È un musicista autodidatta: «Ho imparato a suonare il pianoforte a 10 anni, il sax a 22, la chitarra cinque anni fa. Ma il mio strumento è la voce, che per me è quello che per Jimi Hendrix era la sua chitarra». Si ferma, mi studia un attimo e continua: «A dire il vero quel che mi interessa davvero è esprimermi senza limiti».
A dire il vero quel che mi interessa davvero è esprimermi senza limiti
Clementine è meticcio nella biografia così come nell’arte. Suona, canta, scrive poesie, a volte si inventa parole che non esistono – e poi le cataloga in un libro-dizionario. «In Winston Churchill’s Boy, la prima canzone del mio album, uso il termine “cricketing”», racconta, «suonava bene, ma non esiste. È una cosa che ha iniziato ad appassionarmi». Winston Churchill’s Boy è stato l’ultimo brano a essere scelto per il suo album di debutto, At Least for Now, uscito a metà gennaio: «Questo pezzo è un po’ il riassunto del mio libro-dizionario. Racconta di questo bambino che si danna per ricevere qualche attenzione, ma non ottiene niente. E quel bambino sono io, io che da piccolo guardavo le immagini di Winston Churchill e sognavo di avere una figura paterna come la sua. Sono io che lascio Londra per Parigi».
In Francia, Clementine c’è finito perché si sente «un viaggiatore come Bruce Chatwin». «Forse ero rimasto troppo a lungo nel mio quartiere, Edmonton, a Londra», racconta, «avevo dei conflitti familiari. Adesso ci torno volentieri, soprattutto per andare a trovare i miei quattro fratelli. Ma non sto per lasciare Parigi, che è dove ho avuto la mia prima opportunità grazie ai discografici che mi hanno sentito in metropolitana».
Nelle occasioni ufficiali, sul palco o davanti alla macchina fotografica, a Clementine piace stare scalzo. Perché «così sto da dio», ma anche perché «quando mi sveglio, se posso, mi metto subito a suonare il pianoforte. Magari cerco un maglione, ma non sto a mettermi niente ai piedi. Perciò ho deciso di presentarmi in pubblico così». Lo fa anche in luoghi prestigiosi come la biblioteca Sainte Geneviève Library, a due passi dal Pantheon di Parigi, un luogo che può anche incutere un certo timore: «Mi risulta di essere stato l’unico a cui sia stato concesso il privilegio di suonarci, è stato un vero onore».
A proposito di prestigio: Clementine è già stato benedetto da Sir Paul McCartney, che ha incontrato allo storico Later… with Jools Holland della BBC. È piaciuto anche a Stromae: ha detto di essere rimasto shockato la prima volta che ha visto Clementine suonare – e poi l’ha invitato ad aprire il suo concerto di Milano, a dicembre.
«Vorrei che la gente si prendesse quei cinque minuti per ascoltare almeno un mio pezzo dall’inizio alla fine»
Mentre scattiamo, Clementine è più preso dagli strumenti che ha attorno che dai cambi d’abito. Ma a un certo punto si blocca: «Quel gilet no, per favore. Sembra quello di un jazzista». Non che abbia nulla contro il jazz: «È che non voglio che la gente, vedendomi vestito così, pensi che suono come Miles Davis solo perché anche io sono di colore. O che possa farsi l’idea che la mia musica è romantica e stucchevole. Io vorrei solo una cosa», dice, «che la gente si prendesse quei cinque minuti cinque per ascoltare almeno un mio pezzo dall’inizio alla fine».
Tempo di ascolto previsto per Cornerstone, il suo singolo: 4 minuti e 32 secondi.
Qui una pillola video realizzata in super 8 dal fotografo e videomaker Matteo Ferrari:
Questa sera suonerà al Teatro Franco parenti di Milano, per l’Elita Design Week Festival.
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