Vista da fuori, la casa non è poi così diversa da quelle del vicinato: un bungalow accogliente nel quartiere di Highland Park a Los Angeles con un vecchio albero di lillà vicino all’entrata. E invece è una casa leggendaria: il luogo dove una ragazza stravagante e suo fratello maggiore hanno registrato l’album che ha reso Billie Eilish Pirate Baird O’Connel la regina del pop della Gen-Z.
È un luogo che i fan conoscono bene, e la prima impressione di una splendida giornata di aprile è che da quando Billie è diventata famosa la casa non sia cambiata più di tanto, e nemmeno la sua inquilina adolescente. Pepper, il cane trovatello della famiglia O’Connell, arranca nel giardino; a fargli compagnia c’è ora Shark, un pitbull grigio di un anno adottato dalla cantante. Negli spazi comuni ci sono segni di istruzione domestica: un vecchio temperamatite attaccato alla parete e qualche misero articolo di cancelleria appoggiato in bilico su una scrivania.
Ma guardando più da vicino, la differenza è enorme. Tanto per cominciare, lo studio più famoso del pop contemporaneo, allestito nella cameretta di Billie e del fratello Finneas, non esiste più. La madre dei ragazzi, Maggie Baird, si è impossessata dello spazio. «Ha ancora lo stesso aspetto, ma l’attrezzatura non c’è più», insiste Billie mentre mi accoglie nella cucina dove sta preparando gli ingredienti e gli utensili che le servono per fare dei biscotti. Sua madre ha steso un tappeto blu nella stanza e dorme lì con il gatto Misha. «Abbiamo tenuto lo studio per un po’, poi ci siamo detti “Non ne abbiamo bisogno”», racconta.
Finneas si è trasferito a Loz Feliz un paio di anni fa insieme alla sua ragazza, la influencer Claudia Sulewski. Ha allestito un nuovo studio nello scantinato, dove lo scorso anno ha iniziato a registrare insieme alla sorella. All’inizio Billie stenta ad ammettere che anche lei si è trasferita. «Sono riservata su come stiano effettivamente le cose», dice con tono complice, mentre rovista negli armadietti della cucina dei suoi come fosse una studentessa universitaria tornata a casa per il fine settimana. «Sono ormai un paio di anni che faccio da sola. Ma in segreto, perché non c’è bisogno che si sappia».
Eilish non ha mentito del tutto riguardo a dove vive; dorme ancora spesso nella sua camera a casa dei genitori. «Li amo e voglio passare del tempo con loro», racconta con una scrollata di spalle. Maggie e il marito, Patrick O’Connell, entrano ed escono dalla cucina, facendo commenti sulla preparazione dei biscotti e aiutando Billie con il vecchio forno. Lei sfoggia il suo nuovo look, che è una bomba: adesso è bionda, un cambiamento radicale dal suo stile tipico, capelli verdi all’attaccatura e neri sulle punte. Si è scatenato un putiferio quando in marzo ha rivelato su Instagram la sua nuova capigliatura. Oggi ha i capelli ancora bagnati dalla doccia e si è messa una comoda T-shirt nera del suo merchandising e un paio di pantaloni della tuta dello stesso colore. Il menù del giorno prevede biscotti vegani senza glutine al burro di arachidi e gocce di cioccolato. Legge la ricetta da un vecchio foglio stampato, che a giudicare dalle macchie è stato chiaramente usato molte volte. Billie li preparava ogni volta che si sentiva triste. «Era un rituale terapeutico per me», spiega.
È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ha preparato i biscotti («Quello che stai vedendo è ormai storia», dice scherzando). Ha trovato altri modi per elaborare i suoi sentimenti. Nello specifico, ha scritto il suo secondo album, Happier Than Ever, che uscirà il 30 luglio. Il titolo non è retorico: si è davvero sentita più felice di quanto lo sia mai stata prima. Ma come molte cose nella sua vita, non è così semplice.
«Quasi nessuna delle canzoni di questo album è gioiosa», spiega Eilish, negando la possibilità che il suo secondo album sia la faccia allegra e vivace di When We All Fall Asleep, Where Do We Go? del 2019. L’album di debutto, ispirato a Babadook, evocava ricordi vividi di terrori notturni e sogni realistici su basi sonore che spaziavano dall’electro-pop industrial fino a ballate jazz. I suoi video erano altrettanto cupi, pieni di ragni e lacrime nere che le rigavano il viso.
All’apparenza, Happier Than Ever è un tipo diverso di incubo. Gran parte dei testi parlano di abusi emotivi, lotte per il potere e fiducia tradita – storie tratte dalla vita di Billie e delle persone che la circondano – oltre a riflessioni sulla celebrità e fantasie di romantici incontri segreti. Rispetto alle atmosfere da casa stregata del primo album, il suono è addolcito: i suoi soundscape elettronici seducenti, cupi, ipnotizzanti e le parole della cantante fanno venire i brividi lungo la schiena. Eppure, anche nei pezzi più cupi ci sono momenti di riflessione, crescita e, cosa più importante, speranza. È l’album di una persona che ha iniziato un percorso di guarigione molto prima di cominciare a scrivere. O che almeno ci ha provato.
«Ti ha mai punto un’ape sulla testa?». Billie ricorda di essere stata punta «tipo 20 volte» in una vacanza in campeggio quando aveva 8 o 9 anni. È una storia che ha già raccontato. «Non so perché mi sia venuto in mente», dice. «Perché mi è venuto in mente? Non ne ho idea».
Si pone la domanda dopo un attimo di silenzio ipnotico, mentre guarda Shark andare a nozze con un barattolo vuoto di burro di arachidi. Non le piace il silenzio: descrive perfino la preparazione dei biscotti come fosse una food vlogger. Mi fa vedere come preparare la farina di avena («Prendi dei fiocchi di avena interi, li metti qui [dentro a un frullatore Vitamix] e triti a tutta potenza» e come capire qual è la giusta proporzione di gocce di cioccolata e impasto di burro di arachidi («ad alcuni piace mettercene moltissime, io preferisco di meno»).
«Non esiste che vada in bagno senza guardare qualcosa sul telefono», racconta. «Non riesco nemmeno a lavarmi i denti o la faccia senza». Nell’ultimo anno ha riguardato un sacco di cose: Sherlock, The Office «forse sei volte», New Girl «tipo quattro», Jane the Virgin. C’è stato tempo persino per rivedere Good Girls, Killing Eve, The Flight Attendant, The Undoing e Una donna promettente «almeno quattro volte».
«Le ho tutte sul telefono», spiega. Guarda di rado la tv, ad eccezione della saga di Twilight, che ha iniziato di recente insieme a un amico. «Lo guardo mentre faccio altre cose perché mi distrae dalla realtà della vita. Dovrei partecipare a My Strange Addiction», che è anche il titolo di una sua canzone del 2019 (nella quale, per inciso, ha campionato dei dialoghi estratti da The Office).
Eilish non può più uscire. Come si muove, ad aspettarla ci sono paparazzi e tipi strambi, e alcuni hanno attentato alla sua sicurezza e lei ha ottenuto nei loro confronti degli ordini restrittivi. Il look riconoscibilissimo del periodo di When We All Fall Asleep – coi suoi capelli verde brillante, gli occhioni azzurri e i vestiti oversize – l’ha resa prigioniera. Il risentimento è cresciuto in lei sempre di più: «Ero una ragazzina e volevo comportarmi come tale. Non potevo nemmeno andare a un cazzo di negozio o a un centro commerciale. Ero molto arrabbiata e non mi piaceva per niente».
When We All Fall Asleep e l’immagine che aveva in quel momento hanno caratterizzato la sua unicità rispetto al resto del pop. Ma hanno anche contribuito a rinsaldare un’idea di lei che Billie vorrebbe lasciarsi alle spalle. Le dico di un’istruzione data a una drag queen in gara durante una sfida musicale in una recente stagione di RuPaul’s Drag Race, in cui è stato detto che la canzone che stava cantando era «molto Billie Eilish».
«Mi chiedo a cosa pensino quando dicono cose del genere. Avranno in testa quello che vedono su internet, ovvero qualsiasi stronzata la gente metta in giro? Ogni volta che vedo un’imitazione, mi viene subito in mente quanto poco la gente sappia di me. Io non condivido mai niente di personale. Ho una personalità così forte che tutti hanno l’impressione di conoscermi, ma in realtà non sanno un bel niente». Vorrebbe che la gente capisse alcune cose: «Che so cantare. Che sono una donna. Che ho una personalità». Happier Than Ever afferma tutte queste cose.
«Ogni volta che sento qualcuno dire: “Oh, le tue canzoni sono tutte uguali”, ci rimango molto male perché in realtà è una cosa che cerco in tutti i modi di evitare. Secondo me chi dice così ha ascoltato solo Bad Guy e Therefore I Am». In entrambi i pezzi Billie tende a cantare un rap attenuato e malinconico. In alcuni degli ultimi suoi pezzi, come My Future e Your Power, sta invece dando spazio alla coloritura jazz della sua voce, un timbro che ha affinato in anni di concerti.
Per Billie, la privacy è molto più preziosa di quanto pensasse all’inizio. Si è data molto al pubblico quando era una «sedicenne fastidiosa» (definizione sua) che cercava un legame con i fan, proprio come avrebbe desiderato che l’artista preferito della sua infanzia, Justin Bieber, avesse fatto con i suoi. «Non posso dare al pubblico tutto quello che desidera e di questo mi dispiaccio», racconta. «Diventando famosa ho capito perché [le mie celebrità preferite] non potevano darmi quel che volevo io».
Fa fatica a trovare il modo giusto di descrivere questo pensiero. «Per chi non è del giro, non ha senso. Se dicessi ora quello che mi sta passando per la testa, [i fan] si sentirebbero come me quando avevo 11 anni. Direbbero: “È semplice, fallo e basta”. No. C’è una quantità assurda di cose che nessuno immagina se non si trova nella situazione».
Billie descrive la sua vita come «normalissima» e a volte lo è davvero. Guarda Twilight, frequenta persone nel modo più discreto possibile. Si è fatta i primi tatuaggi (a novembre, un dragone nero gigante sulla coscia destra, e il giorno dopo i Grammy del 2020 si è tatuata la scritta “Eilish” in caratteri gotici in mezzo al petto). «Ecco perché mi fa molto ridere quando vedo cose del tipo “10 motivi per cui pensiamo che Billie Eilish sia negli Illuminati”», racconta. «Mi piacerebbe dirgli: “Bello, hai idea di quanto la mia vita sia normale?”». Vorrebbe condividere di più con i suoi fan, ma il solo pensiero la rende nervosa. Le canzoni di Happier Than Ever parlano della paura di dover fare mille interviste, di nomi di molestatori o amicizie tossiche che saranno per sempre legate a lei, di parole da lei pronunciate che riaffiorano e non le danno tregua.
«Vorrei poter condividere con i miei fan tutto quello che penso e provo senza che ne rimanga per sempre traccia su internet, senza essere sempre sulla bocca di tutti ed essere chiamata problematica o in qualsiasi altra maniera si voglia definire chi esprime pensieri che poi alla fine sono solo umani», spiega. «Un’altra cosa triste è che in realtà non mi conoscono. E io non conosco loro, ma siamo ovviamente legati. Il problema è che ti sembra di conoscere qualcuno, ma non è vero. E alla lunga diventa pesante».
Ci spostiamo nel giardino e ci sediamo a un tavolino da picnic per goderci i biscotti al burro di arachidi appena sfornati. Shark ha trovato un angolino illuminato dal sole e si è steso lì. Poi all’improvviso si alza e inizia a correre lungo la staccionata in risposta al cane dei vicini, con cui vuole a tutti i costi fare amicizia. Eilish è un po’ gelosa.
«Non vorresti essere come il cane?»
«Ieri sera mia madre mi ha detto: “Anche quando ti senti felice come non mai, non significa che tu abbia raggiunto il massimo della felicità che puoi provare. Significa solo che sei più felice di quanto non lo fossi prima”».
Dopo un’adolescenza flagellata dalla depressione, dalla dismorfofobia, da autolesionismo e pensieri suicidi, Eilish ha iniziato a sentirsi meglio nell’estate del 2019, mentre era in tour in Europa. When We Fall Asleep era uscito da poco. Billie stava facendo un percorso con una terapeuta, aveva appena chiuso una relazione e uno dei suoi migliori amici (insieme, ovviamente, al fratello e alla famiglia) l’aveva appena raggiunta. «Mi sono sentita rinascere», racconta. «Mi sono sentita davvero me stessa. Tutto intorno a me era esattamente come doveva essere. Ho sentito che stavo meglio ed ero felice come non mai. E ho cercato di continuare così».
L’inizio del 2020 è stato frenetico. Billie ha sbancato ai Grammy aggiudicandosi i “big four” e ha iniziato un tour che l’avrebbe impegnata per la maggior parte dell’anno. Non era mai stata così carica per le tournée precedenti, che l’avevano lasciata con caviglie slogate, tutori alle gambe e dolori cronici. Si è esibita nelle prime tre date, poi la pandemia l’ha costretta a cancellare le altre.
La cantante ha dovuto dare l’addio all’era di When We All Fall Asleep (e al look che l’ha resa famosa) ai Grammy quest’anno, quando insieme a Finneas si è esibita con Everything I Wanted, unico estratto della riedizione del suo primo album. Happier Than Ever era quasi completato, ma lei non era ancora pronta a sfoggiare il suo nuovo look coi capelli biondi. Quindi ha indossato una parrucca verde e nera. «È stato strano», dice ripensandoci. «Stavo interpretando la vecchia Billie Eilish con i capelli verdi, cantavo una canzone che era uscita un anno e mezzo prima, nonostante avessi pronti 16 nuovi pezzi. I fan non immaginavano che era la fine di un’epoca. È stato straziante e dolcissimo allo stesso tempo».
Inciso mentre il mondo intero si era fermato, Happier Than Ever ha rappresentato un’opportunità per scavare nel suo trauma personale. «Ho passato un periodo difficile che mi ha segnato tanto e che ha fatto sì che non volessi nessuno intorno», racconta, anche se preferisce non fornire dettagli.
Anche i testi delle sue canzoni, come qualsiasi altra cosa faccia, scatenano dibattiti, faccine tristi e teorie complottiste perché tutti si chiedono di chi sta parlando. I brani sono un mosaico di esperienze tratte dalla vita di Billie e di chi le è vicino. Raccontano di fannulloni, amanti segreti e molestatori emotivi. Lei non fa nomi né fornisce alcun dettaglio, e non esita a ricordare che non è solo della sua vita che parla. Ma ci tiene anche a precisare che le storie delle sue nuove canzoni sono più oneste di quelle di When We All Fall Asleep, che descrive come «quasi interamente inventate».
Ci dice che sta lasciando andare la vecchia Billie, quella che metterebbe in un angolino le proprie emozioni pur di far stare meglio gli altri. «Ci sono stati momenti in cui sono stata molto influenzata da alcune persone, e quando ho detto loro che avevo bisogno che sapessero come mi avevano fatto sentire, mi sono sentita rispondere: “Non posso sopportare questo peso adesso, sarebbe troppo per me”». Continua dicendo che per tanto tempo è stata «presa per il culo» e che ha dovuto capire che anche se i tratti tossici di cui canta sono frutto del dolore, questo non è un’attenuante. «Parlavo con una persona della sua vita e mi ha raccontato di cose assurde che ha dovuto affrontare. E io ho risposto, “Ok, ma questo non ti autorizza a trattare gli altri come spazzatura solo perché ti hanno fatto del male”. Va bene essere traumatizzati da qualcosa e avere cattivi istinti, ma è anche vero che non esistono giustificazioni quando si tratta di abusi. Non esistono, punto e basta. Mi sembra che ci sia sempre una scusa per tutto. Scuse, scuse, solo scuse».
Il pezzo di apertura dell’album, Getting Older, è stato particolarmente straziante da scrivere. “Wasn’t my decision to be abused”, canta su un ritmo di synth delicatamente pizzicato. Verso la fine, spiega ciò che ha in mente. “I’ve had some trauma / Did things I didn’t wanna / Was too afraid to tell ya / But now I think it’s time”. Eilish sa bene che la crudezza della canzone può scioccare gli ascoltatori. «Ho dovuto fare una pausa nel mezzo della stesura di quel pezzo e mi veniva da piangere, perché era così rivelatore. Eppure dico solo la verità».
La title track, che inizia come una triste canzone di rottura per poi diventare rabbiosa sotto la guida dalla chitarra elettrica, è stata la prima che ha iniziato a scrivere per l’album, durante il tour europeo dove si è sentita rinascere. Nelle altre canzoni ci sono diversi tipi di catarsi, in bilico tra ritmi sexy, elettronici e folk, che ricordano le sue prime produzioni. Ogni pezzo è delicato e sensuale e bilancia la nuda vulnerabilità con atteggiamenti autoprotettivi e forti.
Scrivere delle sue emozioni più profonde non è stato facile per una come lei, che aveva meticolosamente tenuto sotto chiave i dettagli delle sue relazioni. «Ho avuto due storie», dice. «Sono state esperienze importanti, ma non ho mai avuto un rapporto reale e normale». Il ciclo di notizie e la risposta dei fan scaturiti dall’uscita del suo documentario The World’s a Little Blurry su Apple TV all’inizio di quest’anno hanno reso definitiva la sua decisione di non fare nomi né scendere in dettagli specifici nelle nuove canzoni. «La gente dice: “Beh, sei un’artista, quindi quando pubblichi qualcosa non puoi stupirti che il pubblico voglia andare più a fondo”. Invece sì, posso. Il pubblico dovrebbe assolutamente rispettare il fatto che sto offrendo un certo numero di informazioni e che si deve accontentare. Il resto lo tengo per me».
Il massimo che il mondo ha avuto modo di vedere della vita romantica di Eilish è stato in The World’s a Little Blurry, che abbraccia il periodo che va dalla fine del 2018, ovvero le ultime settimane di registrazione di When We All Fall Asleep, fino ai Grammy del 2020. Billie non era esattamente entusiasta che uscisse. «Non mi piace condividere quella parte della mia vita, e non avevo intenzione di farlo», dice.
Il suo ex, Brandon Adams, artista conosciuto sotto lo pseudonimo 7:AMP, ha giocato un ruolo chiave nel documentario, che mostra un acceso diverbio tra Billie e Adams, che allora era sulla ventina. Dopo l’uscita del film, i fan si sono scagliati contro di lui e la sua famiglia.
Molti hanno dato per scontato che Your Power, il singolo da brividi che parla di una relazione tra un’adolescente e un uomo più grande, parli di Adams. Billie – che ha pubblicato la canzone alla fine di aprile, insieme a una dichiarazione che diceva più o meno: «Questa canzone parla di tante situazioni diverse a cui tutti nella vita abbiamo assistito o che abbiamo provato» – si oppone fortemente a questa lettura. «Dovrebbero tapparsi tutti la bocca», dice. Il documentario, racconta, «è un pezzettino microscopico di quella relazione. Nessuno ne conosce i dettagli. Vorrei solo che la gente potesse soffermarsi e vedere le cose senza dover per forza avere un’opinione».
Billie si descrive come «appiccicosa», ma sono ormai due anni, da quando la storia con Adams è finita nel 2019, che si sta impegnando per capire come esistere indipendentemente da qualcun altro. «Prima non sapevo come farlo», racconta, «il che è ironico perché non ho mai nemmeno vissuto una storia che mi permettesse di esistere in relazione con qualcuno. Le mie emozioni sono sempre in risposta a quelle di qualcun altro ed è una gran rottura». Sta ancora cercando di migliorarsi in questo senso. «Prima o poi si guarisce».
Io e Billie non dovevamo incontrarci a casa dei suoi genitori. Voleva mostrarmi lo studio nello scantinato di Finneas dove ha registrato Happier Than Ever, ma è scoppiato un tubo e ha quasi distrutto tutto. «Abbiamo dovuto ricostruirlo», ci spiega il fratello su Zoom. «Ma i miei hard disk, i sintetizzatori, le chitarre e le altre cose non hanno subito danni. Ho avuto fortuna».
Billie parla con sollievo della registrazione di Happier Than Ever, un processo che è stato molto meno estenuante rispetto al primo album, e questo anche in parte grazie ad alcuni consigli che Maggie ha dato ai figli all’inizio della pandemia. Dopo quasi un mese di isolamento, Maggie ha suggerito di seguire un programma settimanale. Ogni lunedì, mercoledì e giovedì, Billie è andata con la sua Dodge Challenger nera opaca fino a casa di Finneas. Alcuni giorni hanno scritto canzoni, altri hanno giocato a Animal Crossing o Beat Saber. Ogni giorno hanno mangiato qualcosa di buono: «Un sacco di Taco Bell, pizza fatta in casa, taro boba, cibo tailandese», elenca Billie. «Piatti di Crossroads e Little Pine, poi una volta a settimana asporto da Nic’s e Fatburger. È stata una bella ricompensa».
In The World’s a Little Blurry, la sofferenza della Billie adolescente mentre sta concludendo When We All Fall Asleep è palpabile. Lei e Finneas lavoravano in gran parte da soli, ma l’etichetta faceva un sacco di pressione. C’erano scadenze da rispettare (l’album doveva uscire intorno al 17° compleanno della cantante), tutti i giorni c’erano riunioni e dopo un paio di anni di crescente fermento c’era la forte sensazione che stesse nascendo una star. «Ho odiato ogni secondo», ammette. «Odiavo scrivere. Odiavo registrare. L’ho letteralmente odiato. Avrei preferito fare qualsiasi altra cosa. Ricordo di aver pensato che non avrei mai fatto un altro album dopo questo. Nemmeno morta».
Questa volta, invece, non c’è stata alcuna pressione. Niente messaggi dall’etichetta. Niente riunioni. Zero fretta di rispettare le scadenze. «Non hanno più voce in capitolo», dice Billie. «Siamo solo io e Finneas, nessun altro». Il 3 aprile 2020, il primo giorno del loro nuovo programma di lavoro, hanno scritto My Future. Da lì a due mesi si sono resi conto che stavano creando un album. Billie tira fuori un porta-avvisi da tavolo in plexiglass che contiene la track list scritta a pennarello. Alcune canzoni sono chiaramente state cancellate e spostate. «Credo che lo incornicerò», racconta con un sorriso. Ci sono delle macchie d’acqua, probabilmente dovute all’allagamento dello studio a casa di Finneas. Le 16 canzoni dell’album sono le uniche su cui hanno lavorato. Ai due piace fare le cose per bene: una volta iniziato un pezzo, se ne occupano con precisione meticolosa finché non lo ritengono perfetto. E il suono di questo album ne è la testimonianza: ogni canzone è un paesaggio sonoro avant pop unico che non fa altro che esaltare il trip hop barocco del debutto.
«Ammiro gli artisti che riescono a realizzare tre canzoni al giorno e vanno avanti a quel ritmo», dice Eilish. Paragona la scrittura di canzoni alla corsa e dice che sarebbe «estenuante di brutto» farlo in continuazione. «È così per me. Sono abbastanza brava a scrivere canzoni, ma è una cosa che mi prende molto. Ogni volta che ne scrivo una mi sento come avessi appena corso una maratona». Stavolta, Finneas ha notato un cambiamento in sua sorella: scrivere canzoni le piaceva, si sentiva meno sotto torchio rispetto a prima. «Da fratello maggiore, è stato fantastico vederla diventare sicura di sé e assumersi responsabilità, insomma vederla più felice di quanto l’abbia mai vista prima per la musica che stiamo creando. Penso anche che sia oggettivamente migliorata. Se fosse una ginnasta olimpica, diciamo che ora sarebbe in grado di fare un volteggio più alto o qualcosa del genere».
Dopo l’uscita di Bad Guy, Finneas è diventato uno dei produttori pop più ricercati e ha lavorato con tantissimi artisti, da Tove Lo a Selena Gomez. Anche la sua carriera solista è decollata, sebbene l’allagamento del suo studio sia capitato nel peggior momento possibile, visto che stava lavorando al suo album di debutto. Billie ritiene che il fatto che Finneas abbia una carriera al di fuori dell’essere il suo partner creativo sia «strabello» e che le due cose si incastrino alla perfezione. «Non è per niente un ostacolo e lui si diverte», spiega. «Fa esattamente quello che vuole senza esserne schiavo».
«Lavorando insieme a Billie mi sono tolto parecchie soddisfazioni», continua Finneas. «Credo che il mio obiettivo principale fosse andare più a fondo. Questo era il secondo album di Billie e ci ha dato la possibilità di andare più in profondità, di scavare più giù nella nostra Fossa delle Marianne».
Finneas afferma che il loro processo creativo è «50-50», e parla con orgoglio degli effetti di riverbero e delle distorsioni che esaltano canzoni come Oxytocin e NDA, due tracce che descrivono rapporti romantici e puramente fisici attraverso gli occhi di una persona famosa che tenta di avere entrambi di nascosto. Billie Bossa Nova porta questo argomento oltre, creando una storia attorno alla vita di una pop star in tournée. «Quando siamo in tour ci tocca fare delle cose assurde per evitare che i paparazzi ci seguano nelle nostre stanze, tipo entrare negli hotel attraverso i montacarichi», spiega. «E così ci siamo immaginati che ci fosse anche una storia d’amore segreta in corso, e Billie dice: “Nessuno mi ha vista nell’atrio / Nessuno mi ha vista tra le tue braccia”, come se ci fosse anche una persona misteriosa nella sua vita».
«Scrivendo insieme a Finneas, è naturale che quando parliamo del desiderio per altre persone ci verrebbe da tapparci le orecchie. Insomma, siamo pur sempre fratelli!», continua Billie. Canzoni come Oxytocin, che prende il nome dall’ormone rilasciato nel sangue in seguito al parto, o all’innamoramento, le hanno fatto pensare “What would people say . . . if they listen through the wall?” su un ritmo sinuoso. La folkeggiante Male Fantasy la mostra mentre si distrae con la pornografia, per poi meditare sull’effetto che il porno ha sugli uomini. «Il fatto è che siamo molto aperti, quindi in realtà non è così strano», continua. «È divertente. Si tratta di scrivere canzoni e raccontare storie. Dobbiamo solo concentrarci sul lato artistico e non pensarci troppo».
Per quanto il lavoro sia spartito equamente, Finneas chiarisce che c’è un motivo perché le loro canzoni escono a nome di Billie Eilish. «In molti casi ci è stato chiesto della nostra relazione in quanto duo visto che Billie si presenta come solista», afferma Finneas. «È la sua vita. È il suo mondo. La sto aiutando ad articolarlo, ma parla di esperienze che ha vissuto lei in prima persona e in quest’album mi ha lasciato partecipare molto. Ma non ho idea di cosa significhi passare quello che ha passato lei».
Cita una sua amica, la cantautrice Bishop Briggs, che dice che scrivere è il modo in cui riesce ad affrontare tutto. Finneas è d’accordo. «Fare quest’album significava per Billie elaborare un sacco di cose».
Quando Eilish pubblica una nuova canzone, non può riascoltarla. Sparisce nell’universo e la sua creatrice la riascolta solo se la passano alla radio. «Non perché non mi piaccia più», spiega. Happier Than Ever è diventato il suo album preferito in assoluto, ma sta già elaborando il lutto della sua perdita, anche se mancano mesi alla pubblicazione. Quando stiamo parlando, siamo a due settimane dall’uscita del primo singolo.
«Non so come spiegarlo, ma tutte le canzoni dell’album mi ricordano un momento preciso, perché mi fanno sentire come quando le stavo scrivendo e registrando», racconta. «È divertente, per il resto del mondo prenderanno un significato totalmente diverso dal mio. È talmente strano che non me la spiego. Ma sarà strabello. Adoro questo aspetto. È il motivo per cui faccio musica».
Quando Eilish ed io parliamo un’ultima volta, Your Power è uscito da qualche giorno. Sul web fioccano riflessioni di molte donne che hanno voluto condividere le proprie esperienze di abusi sessuali o emotivi. Il testo parla di un partner che si approfitta di una donna più giovane di lui e ha toccato una corda particolare. La stessa Billie sta ancora elaborando quella reazione.
«Mi sembra che il pubblico abbia davvero ascoltato le parole», dice mentre si aggira per la stanza con una maglietta oversize delle Superchicche. «Avevo paura che uscisse perché tra quelle che ho scritto è la mia canzone preferita. Sentivo che il mondo non se la meritava». Nello stesso weekend, ha battuto il suo record personale di like su Instagram: il servizio pubblicato da Vogue, con foto che la ritraggono in un corsetto anni ’40, mostra l’artista in abiti che rivelano le forme del suo corpo come mai era successo prima. Per molti giorni su internet non si è parlato di altro: si tratta di un tradimento nei confronti dello stile più “dimesso” di prima? Ha preso questa decisione da sola? Non che il suo corpo non fosse stato oggetto di discussione anche quando era coperto: i suoi capi oversize sono usati per ridicolizzare la sua generazione, è stata oggetto di dichiarazioni grassofobiche e denigratorie. «Ho visto una mia foto sulla copertina di Vogue di un paio di anni fa con vestiti oversize enormi accanto all’ultima foto di Vogue. La didascalia diceva: “Ecco cosa significa crescere”. Posso intuire da dove vengano queste parole, ma allo stesso tempo penso: “No, non va bene”. In questo momento quel look non mi rappresenta più, la crescita non c’entra niente».
Proprio come le sue sperimentazioni con la moda, Happier Than Ever non resetta l’identità di Billie Eilish. Ne espande piuttosto la definizione e la portata. Ma, come temeva la cantante, ha dovuto smettere di ascoltare Your Power dopo la sua uscita. «Non lo so, c’è qualcosa che cambia,» spiega, seppur ancora confusa da questa sua abitudine.
La canzone ha già preso vita propria, quindi Billie non ha grandi aspettative su come reagirà il pubblico ai pezzi ancora inediti. Vorrebbe creare dei visual per ogni brano e a un certo punto intraprendere un tour mondiale.
Ha un altro desiderio per la sua nuova musica. «Spero che questo album dia il coraggio a molte di lasciare i propri ragazzi», dice, con solo la minima sfumatura di umorismo. «E spero che nessuno si approfitti di loro».
Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US.