Billie Eilish e la rivincita del disagio
La popstar più innovativa degli ultimi anni ha preso da pochi giorni la patente. Un viaggio inedito nel mondo della teen idol che fa impazzire Thom Yorke e Eddie Vedder: dalla depressione e l'autolesionismo al rapporto con il fratello Finneas, dall'ansia da tour alla gioia di stare su un palco
«Hey, Billie?», dice la mamma di Billie Eilish in piedi nella cucina di casa, a Los Angeles. «Hai forse intenzione di pulire la tua stanza?». «Sìì», risponde lei, 17 anni, biascicando piena di sarcasmo. Qui, dal divano del salotto, sembra di poter sentire il suono dei suoi occhi mentre si sollevano al soffitto. La mamma si volta e mi guarda. «Può mettere in ordine mentre parlate? Ok per te?».
Casa Eilish sorge in un isolato verdeggiante di Highland Park, un quartiere gentrificato nella periferia di LA. È un’unifamiliare di due stanze, piccola e accogliente, piena di mensole traboccanti di libri. Al momento è abitata da cinque inquilini: mamma Eilish, papà Eilish, il gatto Misha, il cane Pepper e la più grande e interessante popstar del 2019.
When We All Fall Asleep, Where Do We Go?, il suo album di debutto, è uscito in primavera ed è già stato ascoltato in streaming più di due miliardi di volte. La settimana scorsa era in tour in Australia, domani partirà per un festival nel Regno Unito, poi, per il mese successivo, suonerà in una serie di arene e anfiteatri degli Stati Uniti (e il 31 agosto tornerà a Milano, ndr) Tutte le date sono sold out. Per Billie il pomeriggio che passiamo insieme è una rarità: finalmente può trascorrere la giornata a casa senza combinare granché. In pratica, fare quello che farebbe qualunque 17enne: cazzeggiare su Internet senza mettere in ordine la sua stanza.
«Sapevi che i broccoli sono cibo artificiale?», dice Eilish guardando il cellulare, senza rivolgersi a un interlocutore in particolare. «Non crescono in natura». «Beh, io da bambina li raccoglievo, i broccoli», dice la mamma. «No, non è mai successo. Lo sto leggendo online».
Eilish è nata a dicembre 2001, il che la rende la prima artista nata nel nuovo millennio con un album in cima alle classifiche. È talmente generazione Z che fa sembrare qualunque ventenne un rudere secolare. Non ha mai comprato un CD. Dice cose come «non avrò mai 27 anni, troppo vecchia». È probabilmente anche l’unica popstar in cura da un pediatra. («È strano», dice la mamma. «Entri in una stanza piena di bimbi di quattro anni, e poi c’è Billie Eilish»).
Ha conquistato il mondo della musica facendo tutto quello che in teoria non si dovrebbe fare. È più oscura e strana di tutto il resto del panorama delle teen pop star, ha un’aria gotica, quasi punk, senza nemmeno un grammo dello stile infantile da bubblegum pop. Per i suoi fan più appassionati, soprattutto le teenager, è come la compagna più grande appassionata d’arte e dall’aria appariscente, l’unica capace di comportarsi e vestirsi come loro vorrebbero: stilosa, ribelle, forse pericolosa. Leggendo le parole del suo singolo Bad Guy, “I’m the bad type, make-your-mama-sad type… might seduce your dad type”, sembra che Eilish non veda l’ora di apparire in uno di quei servizi televisivi sui giovani che spaventano i genitori.
La sua musica ha un’aria semi-nichilista e allo stesso tempo una gioia ribelle, è la colonna sonora perfetta per una generazione che affronta una mezza dozzina di minacce globali ancora prima di entrare in classe per la lezione della prima ora. Allo stesso tempo Eilish è giocosa, vulnerabile, misteriosa, alienata, malinconica. In poche parole, una teenager.
A differenza della precedente generazione di idoli pop – i reduci di Nickelodeon e i golem di Simon Cowell (rispettivamente un canale televisivo per ragazzi e l’inventore di X Factor, ndt) – Eilish è arrivata dov’è in maniera coerente. Quattro anni fa ha pubblicato su SoundCloud una meravigliosa ballad intitolata Ocean Eyes, prodotta dal fratello maggiore Finneas. La canzone era scritta per l’insegnante di danza di Billie, che aveva chiesto della musica per provare alcune coreografie. Ma quando, più o meno nel giro di una notte, Ocean Eyes è diventata virale, l’industria discografica ha iniziato a bussare alla sua porta. All’epoca, prima che l’album d’esordio uscisse sul mercato, il profilo Spotify di Billie Eilish contava già un miliardo di stream. Guardandola, non sembra molto impressionata.
L’album inizia con una clip in cui Eilish indossa l’apparecchio per i denti, un segno di quell’autenticità radicale che caratterizza il suo stile. La musica – sempre scritta con il fratello in camera da letto – spicca in un universo pop dove tutto è scritto dai soliti sette o otto professionisti, e il suo modo di fare senza pretese ha contribuito di sicuro al suo successo. «Ci capita spesso di dover spiegare a Billie perché una cosa è importante», dice la mamma. Il papà – dopo avermi spiegato che Billie «non tollera le persone che non le interessano, non gliene frega un cazzo di piacerti» – racconta del giorno in cui alcuni colletti bianchi dell’etichetta discografica le hanno consegnato una placca celebrativa. «Un altro artista sarebbe stato entusiasta di fronte a un grosso disco d’oro con il suo nome stampato sopra», dice. «Ma Billie disse: “Che me ne faccio di una placca del cazzo”?».
In foto Eilish sorride raramente, ma di persona è divertente, goffa e piacevolmente teatrale. Ha un’espressività incredibile, e quando si comporta da viziata fa spesso l’occhiolino. I suoi capelli, spesso blu, oggi sono tinti color caffè, e il suo classico look streetwear – felpa con cappuccio, pantaloncini da basket, Air Jordan – è alla moda e androgino. Le dita sono ricoperte di anelli d’argento («andare in aeroporto è una scocciatura», dice il suo tour manager) e le unghie, lunghe qualche centimetro, ricordano gli artigli di un drago. «Dovrebbero essere di un colore più naturale, ma stanno diventando rosa. Lo odio», dice. «Vorrei dipingerle di nuovo, ma non so cosa cazzo sto facendo».
Quest’anno la sua fama è cresciuta esponenzialmente, e sta ancora cercando di capirci qualcosa. Quella che sta vivendo Billie Eilish è una curva d’apprendimento piuttosto ripida. Di recente si è ritrovata diversi sfoghi sulla pelle, il dottore le ha detto che era il segnale che il suo corpo le stava mandando per dirle di riposare. A un certo punto il suo indirizzo di casa è apparso online, e un giorno tre fan si sono presentati alla sua porta, tra questi anche un vecchio inquietante sfinito dopo un lungo viaggio in macchina da San Diego. Per un certo periodo, una guardia del corpo doveva dormire in salotto. «È traumatico», dice. «Non mi sento al sicuro in casa mia, fa schifo».
Questo pomeriggio la famiglia sta freneticamente preparando i bagagli per un tour che durerà un mese. Il papà corre nel magazzino per recuperare lo scooter elettrico di Eilish, mentre la mamma fa il bucato e nelle pause tra una valigia e l’altra prepara anche il pranzo. A un certo punto si presenta nella stanza impugnando una cassa bluetooth.
«Tesoro, dobbiamo portarla?».
«No», dice Eilish. «Porto lo zaino» (Ha uno zaino con casse integrate).
«Bene, la vuoi comunque per sicurezza?»
«No».
«Sei sicura al 100%?»
Eilish sospira. «Puoi portarla», dice. «Ma non mi serve».
«Ok», dice la mamma. «Allora la porto, ok?».
Eilish solleva le braccia al cielo. «Oh, mio, Dio».
In realtà Billie non è particolarmente entusiasta all’idea di tornare in tour. Anzi, ne è terrorizzata. Ha 17 anni e ormai la sua libertà è virtualmente azzerata. Odia passare tanto tempo lontana dai suoi amici – sa che quando tornerà a casa tutti si vestiranno diversamente e avranno inside jokes nuovi di zecca. «È una seccatura», dice. «Di fronte a me ho una cosa straordinaria, e non voglio odiarla. Ma ne odio alcune parti».
***
Il cervello di Billie Eilish ha sempre funzionato in maniera un po’ particolare. Da bambina le è stata diagnosticata la sindrome di Tourette, che nel suo caso si manifesta con una serie di tic impercettibili: un rigonfiamento degli occhi, uno scatto della testa. Di solito riesce a tenerla sotto controllo, ma alcune cose sembrano funzionare da interruttore (la matematica, per esempio). Soffre anche di sinestesia, il fenomeno neurologico per cui i sensi si mescolano tra di loro. «Nella mia testa ogni persona che conosco ha un colore, una forma e un numero specifico», dice. Il fratello Finneas, per esempio, è un triangolo arancione (ma il nome Finneas è verde scuro). La canzone Bad Guy è gialla, «ma anche rossa». «E il numero sette è caldo, ma non eccitante. Caldo come un forno. E profuma di biscotti».
Eilish, in realtà, è il suo secondo nome. Tempo fa, prima che nascesse, i genitori Maggie Baird e Patrick O’Connell guardavano un documentario sui gemelli irlandesi Katie ed Eilish Holton, e decisero che se avessero avuto una figlia l’avrebbero chiamata Eilish. Ma quando Maggie era incinta, suo padre Bill è venuto a mancare, e così hanno deciso di chiamarla Billie. «Sembra il nome di una capra trasformata in essere umano», dice la ragazza. «Billie Capra O’Connell».
Billie Eilish era una bambina sensibile con seri problemi di ansia da separazione. A 10 anni dormiva ancora nel letto dei genitori. Il padre dice che finché la figlia non ha compiuto 12 anni, uno di loro doveva stare con lei 24 ore su 24. Maggie e Patrick sono due attori “quasi del tutto disoccupati” (così dicono), e hanno messo in pausa la carriera per far studiare a casa i figli, che hanno educato senza un piano preciso. Al contrario, lasciavano che Billie e Finneas, che compirà 22 anni il 30 luglio, esplorassero liberamente tutto quello che attirava la loro attenzione: arte, musei, lezioni di scienze da Cal Tech (il California Institute of Technology, nell’università di Pasadena, ndt). «La nostra idea era che la cultura generale fosse la cosa più importante», dice il padre. «Devi sapere perché il cielo è blu, ma non hai bisogno di memorizzare formule esoteriche che non userai mai». Eilish ha superato l’esame equivalente al liceo e si è diplomata a 15 anni.
Anche lei ha provato a recitare, ma non sembrava la strada giusta. «Ho fatto un paio di provini, tipo», dice. «Una palla. Sei in una stanza spoglia e fredda. E ci sono tutti questi ragazzini identici l’uno all’altro. I bambini attori sono quasi tutti psicopatici». Trovava più divertente il looping, registrare i dialoghi di fondo delle scene affollate. «Ho fatto Diario di una schiappa, Ramona e Beezus, gli X-Men», dice. «Era divertente: un sacco di ragazzini chiusi in una stanza a urlare roba a caso, e alla fine ci regalavano qualche snack». In un certo senso non è molto diverso da quello che fa adesso.
La musica è sempre stata presente nella sua vita. La famiglia ha in casa tre pianoforti, incluso un vecchio mezzacoda che Patrick ha trovato gratis su Internet. Maggie suona la chitarra e ha insegnato ai figli come funziona una canzone: questa è la strofa, questi sono gli accordi . «Avevamo una sorta di regola: se suonavano e scrivevano musica, i bambini potevano restare svegli fino a tardi», dice.
Se quello degli O’Connell era un tentativo per creare un incubatore di prodigi musicali, ha funzionato. Finneas ha chiesto la sua prima batteria quando aveva tre anni. Ha imparato a suonare il piano da autodidatta a 11. Per quanto riguarda Eilish, ha scritto la prima canzone con l’ukulele quando ne aveva quattro. Si è esibita per la prima volta ai talent show della scuola a sei, e a otto è entrata nel coro per bambini di Los Angeles. Una volta cresciuti, lei e Finneas hanno iniziato a scrivere insieme, registrando tutto su un iMac che Finneas – un ex bambino-attore con qualche ruolo in Modern Family e Glee – aveva comprato con i soldi di piccoli lavoretti. Quando Eilish ha firmato il suo primo contratto discografico, l’etichetta ha cercato di spostarla in uno studio perché lavorasse con produttori e autori più esperti. L’idea non le piacque per niente.
«Li odiavo», dice. «C’erano questi 50enni con le loro hit, ma erano orribili. Io pensavo: Oh, hai fatto quel pezzo cento anni fa. E nessuno mi stava a sentire, perché avevo 14 anni ed ero una bambina. Noi avevamo scritto Ocean Eyes senza l’aiuto di nessuno, e allora perché ero in quella situazione?».
Quando è arrivato il momento di registrare il primo album, Eilish si è affidata alla formula che conosceva meglio. I fratelli hanno scritto insieme 11 delle 13 canzoni in scaletta, mentre la produzione e gli altri 2 brani sono tutti opera di Finneas. Lavoravano a spezzoni, a volte 45 minuti altre tutta la notte, seduti in camera. Eilish ha registrato la voce sul letto di Finneas, cantava circondata da cuscini a fiori. I due tenevano conto dei progressi grazie a una lavagna appesa al muro accanto al punto dove da bambini misuravano l’altezza.
Per quanto riguarda il sound, la musica di Eilish è onnivora: confessionali post-Lorde, pop ballerino alla Benny Blanco, beat trap e abrasioni nello stile del Kanye di Yeezus. Vocalmente ricorda chiunque, da Lana Del Rey al primo Eminem, e con il suo rap semi-cantato dà vita a ballate davvero emozionanti, sussurrate, minimaliste. «Billie ha un’estensione vocale molto specifica, tra il brusio e il sussurro», dice Finneas. «Se registri troppi strumenti in quel range, la sua voce resta soffocata. Con basso, cassa e rullanti acquosi, invece, convive bene».
Qualche mese fa Finneas ha comprato casa. È a solo quattro minuti di distanza dai genitori, ma il suo studio/camera da letto è ancora lì, immacolato. «Se i miei dicessero: “Ci serve la stanza, togli la tua roba”, allora risponderei: “Ha senso, ho una casa adesso!”», racconta. «Ma loro ribattono sempre: “Se Billie vive ancora qui e vuole ancora fare musica con te, allora vogliamo che possiate farlo come sempre”».
***
Adesso che è a casa, Eilish deve occuparsi di un cavallo. C’è una stalla, da quelle parti, dove da bambina ha imparato a cavalcare. La famiglia non poteva permettersi di pagare le lezioni, quindi in cambio Billie brigliava e spazzolava gli animali per tutti. Dopo un paio d’anni, però, ha smesso di presentarsi: «Non potevo sopportare di essere la bambina povera nella stalla», dice. «Ho conosciuto un paio di amici lì, ma tutti gli altri non erano molto gentili. La gente dei cavalli non ama i poveri». Adesso con i primi guadagni vuole che a Highland Park ci sia sempre un cavallo a disposizione. «È più per la mia salute mentale, non è un hobby», dice.
Di fronte alla casa la sua macchina è parcheggiata sul marciapiede: è una Dodge Challenger nero opaco soprannominata “il Drago”. «Guarda che bel culetto», dice indicandola. «Amo questa macchina». Eilish la sogna da quando aveva 13 anni e la sua etichetta gliel’ha regalata quando ne ha compiuti 17. Fino a cinque giorni fa, però, non poteva guidarla senza la supervisione dei suoi genitori: ha superato l’esame della patente venerdì scorso, e oggi è solo mercoledì. «Guarda qua», dice. Apre il portafoglio e mi mostra orgogliosa la sua patente. (Nome: Billie Eilish O’Connell. Occhi: Blu. Capelli: Altro).
Arrivati all’esterno della stalla, il proprietario saluta Eilish con un abbraccio. I due si avviano all’interno, dove valuteranno come gestire il nuovo cavallo. Il proprietario dice di poterle offrire un “mezzo-leasing”, che le permetterà di avere l’animale a disposizione ogni volta che lo vorrà. L’operazione costa mille dollari al mese. «Noi non possiamo permettercelo», dice Maggie. «Lei sì».
Poco più tardi Eilish va nel fienile per visitare gli animali. Ricorda quasi tutti i nomi: Rosie, Clover, Frenchie, Captain America, i pony Jellybean e Tinkerbell. Li accarezza tutti sul muso e lascia che le annusino la testa. A un certo, quando vede una bellissima puledra nera chiamata Jackie O, ha una specie di svenimento. «Ero letteralmente innamorata di questo cavallo», dice. È con Jackie O che faceva gran parte delle sue lezioni. «Poi quest’altra ragazza piena di soldi voleva averla», e visto che Eilish non poteva pagare ha avuto la precedenza. L’idea che qualcun altro potesse cavalcare Jackie O le spezzò il cuore. «Quando ho smesso di cavalcare», dice, «mi capitava di tornare qui per stare un po’ con lei». Eilish accarezza il collo di Jackie O, e sorride. Anche il cavallo sembra ricordarsi di lei.
Tornati a casa, si siede sul divano e guarda verso la finestra, mentre Maggie le prepara del tè. «Ma’», dice, «puoi prendere il mio quaderno?». La mamma glielo porta, ed Eilish lo apre per mostrarmelo. «Per un periodo scrivevo tutto quello che pensavo su questo quaderno», dice. «È un po’ che non lo faccio, perché sto nascondendo tutte le mie emozioni».
Sfoglia pagine di appunti e disegni: illusioni ottiche, ragni, il Babadook. C’è una creatura spaventosa che ogni tanto la visita in sogno, una specie di incrocio tra un serpente e lo xenomorfo di Alien. («È così che mi immagino nella mia testa», dice). La maggior parte del quaderno, però, è piena di parole: citazioni dalle sue canzoni rap preferite, bozze di testi che non ha mai cantato, quelli che invece sono diventati delle hit. In più, dice, «un po’ di stronzate da 14enne». (In una pagina: “Tu sai davvero come farmi piangere”. In un’altra: “Voglio solo stringerti”, ma la parola “stringerti” è cancellata e sostituita da “scoparti”). Eilish gira pagina. «E qui… ohh. Qui ci sono io depressa», dice. C’è scritto: “Spaventata, spezzata, sola”. E “Sono ancora triste”. «Sì», dice Eilish. «Ho scritto queste cose quando… non stavo bene».
Mi racconta che tutto è iniziato a 13 anni con un infortunio di danza. Ballava seriamente da un paio d’anni, e si esibiva in una delle zone benestanti della città: balletto, tip tap, jazz, hip-hop. Quando aveva 12 anni è entrata a far parte di una compagnia di danza competitiva. C’erano un sacco «di ragazze molto belle», tutte compagne di scuola, tutte amiche. «Quello è il periodo in cui sono stata più insicura», dice. «Non riuscivo a parlare, a essere normale. Quando fai danza indossi vestiti davvero aderenti, e non mi sono mai sentita a mio agio dentro i vestiti aderenti. Probabilmente era il picco della dismorfia del mio corpo. Non riuscivo nemmeno a guardare lo specchio».
Poi è arrivata la catastrofe. «In pratica finche non compi 16 anni la cartilagine della gamba non è ancora solida», dice, «sta ancora crescendo. All’epoca seguivo lezioni di hip hop con i ragazzi più grandi, il livello più avanzato». Già predisposta agli infortuni, un giorno Eilish è caduta e si è spezzata la cartilagine dell’anca. Un infortunio devastante, che la costrinse ad abbandonare completamente la danza. «Credo che sia allora che è iniziata la depressione», dice. «Mi ha gettato dentro un buco. Ho passato diverse fasi di autolesionismo. Non dobbiamo parlarne più di tanto, il punto è che pensavo di meritarmi il dolore. Non ero ok con me stessa».
Ironia della sorte, è in quel periodo che la sua carriera inizia a decollare. «È curioso», dice. «Quando tutti pensano a Billie Eilish a 14 anni, si immaginano un sacco di cose belle. Io invece riesco solo a pensare a quanto fossi infelice. Completamente affranta e arrabbiata e confusa. Dai 13 ai 16 anni è stata dura».
Alla fine, però, si è sentita meglio. «Non sono più stata depressa neanche per un minuto, il che è grandioso», dice. «I 17 sono stati i migliori anni della mia vita. Mi sono piaciuti». La tristezza, però, è ancora dentro di lei. «A volte ai miei concerti vedo ragazze con i tagli sulle braccia, e mi si spezza il cuore», dice. «Io non ho più cicatrici, perché è passato tanto tempo. A un paio di queste ragazze ho detto “sii gentile con te stessa”. Io lo so cosa stanno passando. È successo anche a me».
***
Poi, all’improvviso, Billie Eilish se ne va. Il suo viaggio inizia a San Francisco, poi attraverso il Pacifico nord-occidentale fino allo Utah, dove la incontro in un posto chiamato Great Saltair, vicino alle rive del Grande Lago Salato. Quando la vedo, sta correndo tra le pianure di sale, vestita dalla testa ai piedi color verde neon: t-shirt verde neon, pantaloncini verde neon, sneakers verde neon, e un passamontagna verde neon in stile Spring Breakers. Finito il soundcheck, recluta il papà, Finneas e alcuni ragazzi della crew per una partita di frisbee sul prato. La partita, però, si trasforma subito in una festa hip hop. Poco dopo Eilish torna nel camerino per riprendere fiato e mangiare un burrito vegano senza glutine (da sempre vegetariana, non ha mai mangiato carne, anche se una volta ha accidentalmente ingoiato una formica affogata nel latte di soia). Accompagna il pasto con acqua frizzante, la mamma non vuole che beva bibite gassate. Di sicuro non assomigliano ai Rolling Stones del ’72.
Un paio d’ore dopo una dozzina di fan è accalcata nel backstage per un meet and greet. Sono soprattutto ragazze adolescenti o pre-adolescenti, con i loro genitori. La maggior parte di loro è vestita come se fossero delle mini-Billie, tutte con maglie al neon e capelli multicolore. Ci sono molte risate nervose, molte tirate di manica. Qualcuno piange. Arrivate in cima alla fila, le fan consegnano a Maggie il telefono così che possa filmarle mentre Eilish le abbraccia e dice una gentilezza: «Sei così bella!», «Hai dei capelli pazzeschi», «Sei una figa!». Prima che vadano via, la popstar dice a tutte di prendersi cura di loro stesse.
È questo lo sporco segreto di Billie Eilish: nonostante tutte le sparate da cattiva che seduce uomini più anziani, in realtà è… proprio una brava ragazza. Non beve, non ha mai provato droghe, la sua canzone Xanny parla di quanto le pasticche siano stupide. Certo, è sboccata come se fosse sempre a un provino per Veep, ma allo stesso tempo nel suo album non c’è neanche una parolaccia. Finneas dice che è una scelta voluta. Billie Eilish è l’antieroina che si può ascoltare in macchina con mamma e papà.
Brian Marquis, il tour manager, è un veterano della scena hardcore che lavorava alla produzione del Warped Tour (un festival punk rock itinerante nato negli anni ’90, ndt). La musica di Eilish gli ricorda le band che amava all’epoca: Portishead, Nine Inch Nails, Marilyn Manson. Per lui lavorare al tour è particolarmente emozionante, perché moltissime icone della Generazione X hanno figli innamorati di Billie Eilish, e spesso si presentano nel backstage per fare un saluto e la figura da papà dell’anno. Dave Grohl. Billie Joe Armstrong. Thom Yorke. «Yorke è stato difficile», dice Marquis. «È esattamente come te lo aspetti: burbero, inquieto». Marquis racconta che Yorke si è avvicinato a Eilish e le ha detto: “Sei l’unica che fa qualcosa di interessante in questo periodo”. La risposta di Eilish: “…grazie?”. (Finneas, più tardi, sentenzierà che «nessuno le ha mai detto niente di più fico»). Eilish è a suo agio con tutti questi musicisti, non si sente particolarmente in soggezione. Suo padre dice che quando Eddie Vedder si è presentato nel backstage a Seattle «Billie è stata molto carina sia con lui che con sua figlia. Ma appena ha potuto è scappata via».
Una bella differenza rispetto al primo tour, due anni fa, quando erano solo in sei, Patrick si occupava delle luci e si alternava con Marquis alla guida del van. Il budget per l’hotel era di 100 dollari al giorno. Eilish, i genitori e Finneas dormivano tutti nella stessa stanza, spesso nello stesso letto. «Era divertente, più o meno», dice Patrick. «Era una tristezza», dice Eilish. Ma anche adesso che invece del van ha quattro bus e una crew di 37 persone, il tour resta un affare di famiglia. Patrick – che oltre a fare l’attore ha lavorato nella falegnameria della Mattel – è una specie di tuttofare. Maggie fa sia da tour manager che da genitore, porta a tutti i ragazzi della crew un po’ di mango essiccato. In generale è una presenza molto materna. Ma più di ogni altra cosa è il custode psicologico di Billie, il filtro da cui deve passare tutto quello che la gente vuole da lei. «Cerco di capire quali sono le cose che possono andare d’accordo con il suo umore», dice Maggie, «che non le incasinino la giornata».
Sia Patrick che Maggie vengono pagati per il lavoro nel tour. Non è molto, ma abbastanza per non mandarli sul lastrico dopo tanti mesi lontano dal loro lavoro quotidiano. A parte questo, nessuno dei genitori guadagna dal successo della figlia.
A volte si preoccupano per lei. Certo che lo fanno. «Quando tutto è cominciato, la mia paura più grande era che l’avrebbero sfruttata e poi se ne sarebbero liberati», dice Maggie. Per fortuna non è successo, ma Patrick tiene alta l’allerta. «Le è stata strappata via l’adolescenza», dice. «A 14 anni era sempre in viaggio da una parte all’altra del Paese, era davvero giovane. Quindi, anche se tutto questo è meraviglioso, cerchiamo di mettere un filtro tra Billie e un’industria così famelica».
A un certo punto, io e Billie ci sediamo nel suo camerino per parlare un po’. Dice che quando l’ho incontrata a casa sua era molto più infelice di quanto lasciasse vedere. «Adesso sto bene», dice. «Ma quella è stata una delle settimane più difficili di tutta la mia vita. Non mi sono mai sentita così senza speranza». Dice che non è mai stata tipo da attacchi d’ansia o di panico. «Ma quella settimana ne ho avuto uno ogni singola notte. Ho pianto due ore ogni notte. Era davvero orribile».
Eilish dice che è tutta colpa del tour. «Non riuscivo ad accettare il fatto che dovessi andare di nuovo lontano da casa», dice. «Mi sembrava di essere bloccata in un limbo infinito. Non riuscivo a vedere la fine. E, insomma, è vero: con i tour non si vede mai la fine». Al momento ha concerti programmati almeno fino al prossimo anno. «Pensarci mi faceva letteralmente venire voglia di vomitare», dice. «Non sono una che vomita, ma l’ho fatto due volte per l’ansia». Dice che si sente così prima di ogni tour. «Ma non è mai stato così grave, mai. C’è stato un momento… ero seduta sul pavimento del bagno – suona deprimente perché lo è – e cercavo di pensare a qualcosa che desiderassi con gioia. E non riuscivo a trovare niente. Ci ho pensato parecchio. Mi dicevo: “Dev’esserci pure qualcosa”, ma non c’era niente».
Aveva anche paura della solitudine. «Ogni volta che mi lasciavano sola mi sentivo come spezzata», dice. «Sono arrivata al punto che quando i miei amici dicevano “Vado a casa, ci vediamo”, mi sentivo come se qualcuno mi stesse rigirando un coltello nello stomaco». Torna a parlarmi del periodo dell’autolesionismo. «Non mi sentivo sicura con me stessa, non riuscivo a stare sola neanche per un’ora», dice. «Non mi fido di me stessa quando sono da sola».
Eilish sapeva che avrebbe dovuto risolvere il problema prima di partire. L’anno scorso aveva provato a vedere uno psicologo con cui si era trovata così e così, e si è costretta a tornarci. «Non voglio nessun consiglio, perché non sarei in grado di seguirlo», dice. «Voglio solo essere ascoltata». Con il tempo è andata meglio. Altre cose hanno aiutato: ha passato tempo con i suoi amici; ha guidato Il Drago; ha cavalcato Jackie O. «È curioso», dice. «È passata solo una settimana, ma è stata così intensa che mi sembra di parlare di un anno intero. È stata una settimana di assoluta e casuale infelicità».
Sorprendentemente il tour le sta piacendo parecchio. «I concerti sono stati fantastici», dice. «Ci siamo portati gli scooter, quindi stiamo sempre in giro. Giochiamo a Ultimate Frisbee e spacco il culo a tutti. Quindi, sì. Sono piuttosto felice».
A conti fatti Eilish sa quanto è fortunata. «Ho un lavoro pazzesco, amico. Davvero. Le cose che mi permette di fare sono semplicemente incredibili. Come questa, ci credi che questa merda è reale?», dice mentre mi mostra la foto del pubblico del suo concerto di Portland: 20mila fan urlanti. «Stiamo scherzando? Insomma, questo è il mio lavoro? Dai! Amo farlo. E, insomma, anche essere famosi è fico. Se metto il mio cappello da stronzetta arrogante, questa merda diventa assolutamente fantastica. Andare in tutti i posti del mondo, essere osservata perché tutti sanno chi sei. È assurdo! Quindi non posso lamentarmi», dice sorridendo. «Ma lo faccio lo stesso».
Quella sera, dopo il concerto, Eilish si prende qualche minuto per stare da sola e bere un po’ d’acqua. Poi passa parecchio tempo a scegliere cosa indosserà il giorno successivo. Alla fine si ritira nel bus, dove si infila nel letto con Patrick per discutere cosa pubblicare su Instagram. Verso le due del mattino arriva il resto della famiglia, e si riparte. Ma nel pieno della notte Eilish si sveglia e corre verso il letto di Maggie. «Mamma?», sussurra nell’oscurità. «Ho fatto un brutto sogno, vieni a dormire con me?».
***
La mattina successiva tutti si svegliano di cattivo umore. È il giorno del concerto a Red Rocks, il leggendario anfiteatro vicino Denver, e la giornata è cupa e fredda. Eilish scivola nel camerino e scalda al microonde un burrito, poi si getta su una poltrona per massaggi. Ha la nausea e mal di testa. Patrick pensa che sia l’altitudine, Maggie corre in cerca di un’aspirina. Qualcuno si presenta da Eilish con una bombola d’ossigeno, e la aiuta a indossare la maschera. Marquis entra nella stanza e le dice che sembra una vecchietta, lei ride. Poi aggiunge che la sera potrebbe esserci un temporale, e Billie alza la testa. «Davvero?», dice. «Spero che piova».
Zoe, una delle sue amiche più care, è arrivata da Los Angeles in mattinata. Sono inseparabili da sempre, e Zoe resterà con lei per tre settimane, fino alla fine del tour americano. Dice che il suo lavoro è passare il tempo con Eilish e farla stare bene. «Sono come il suo therapy dog», scherza. «Il suo supporto emotivo ambulante».
Eilish e Zoe passano un po’ di tempo alla guida degli scooter e giocando a Uno. Poi il desiderio di Eilish si avvera. Il cielo si apre: ci sono fulmini e il vento è pericoloso. La zona verrà evacuata. Quando arriva il momento del concerto, ormai piove da ore.
Eilish sale sul palco indossando felpa bianca, pantaloncini da basket bianchi, Air Jordan bianche. Ha le guance rosse per il freddo, sembra una Cenerentola disegnata da Hypebeast. Il concerto inizia con Bad Guy, i i fan cantano talmente forte che è impossibile sentire la sua voce. È uno dei pubblici più rumorosi che abbia mai sentito a un concerto, poi arriva il ritornello e il rumore raddoppia di colpo.
Eilish ondeggia sul palco ricoperto di pioggia, e Patrick la segue con il mocio per asciugare l’acqua. Durante una canzone scivola e per poco non si spezza l’osso del collo, poi ride e ricomincia a ballare. Mentre la pioggia aumenta, sul palco si moltiplicano i ragazzi della crew impegnati ad asciugare per terra, ma è una fatica di Sisifo. A un certo punto Eilish si allontana per salutare alcuni fan dietro una ringhiera. I ragazzi vanno fuori di testa, e anche lei sembra molto felice. «Red Rocks, guarda qui!», dice prima di tornare sul palco per fare il moonwalk. Ride e cita un Vine di moda qualche anno fa: «I’m a bad bitch, you can’t kill me».
Forse è il temporale, l’anfiteatro, oppure il pubblico, ma l’atmosfera qui è piuttosto magica. Anche Eilish se n’è accorta. Verso la fine del set, dice: «Voglio solo ringraziarvi. Questa è una delle esperienze più belle che abbia mai vissuto. Voglio piangere, ma è stupido. Piangerò dopo».
Dopo il concerto il camerino è pieno di tirapiedi dell’industria arrivati da Los Angeles per la serata. Mentre tutti si impegnano a parlare d’affari, Eilish e Zoe corrono per la stanza, ridono e giocano a frisbee con delle tortillas senza glutine. A un certo punto spariscono nel bagno, dove cantano una canzone mentre Eilish fa la doccia. Alla fine l’entourage si arrende, e nella stanza restano solo Eilish, la mamma e Zoe.
Le ragazze chiacchierano e si perdono nei ricordi per un po’. Poi scivolano insieme su una poltrona reclinabile e, raggomitolate come gatti, in silenzio iniziano lo scrolling su Instagram. Maggie, sorridendo, siede ai loro piedi e prepara la valigia per il prossimo viaggio.