Billy Corgan: «Duellate voi a colpi di meme, io ho altro da fare» | Rolling Stone Italia
«Sono ancora qua»

Billy Corgan: «Duellate voi a colpi di meme, io ho altro da fare»

Intervista XL: essere alternativi nel 2023, il tour degli Smashing Pumpkins con tanto di wrestler, il legame fra ‘Mellon Collie’ e ‘Atum’, il personaggio del rocker tormentato messo alle spalle, i 65 inediti degli Zwan. «Ho capito che la musica è una cosa semplice, me ne frego delle cazzate alla Lester Bangs»

Billy Corgan: «Duellate voi a colpi di meme, io ho altro da fare»

Billy Corgan

Foto: Theo Wargo/Getty Images

Non tutti i fan degli Smashing Pumpkins se ne sono accorti, ma il doppio del ’95 Mellon Collie and the Infinite Sadness ha dato il via alla saga d’un personaggio chiamato Zero, rinato nel 2000 come Glass in Machina/The Machines of God. Oltre vent’anni dopo, Billy Corgan ha dato un seguito alla saga nei tre dischi di Atum: A Rock Opera in Three Parts. Il protagonista ora si chiama Shiny ed è stato esiliato nello spazio. «Per un po’ ho pensato che il disco non sarebbe mai uscito perché non ero certo dell’entusiasmo della band», spiega Corgan. «La svolta è stata la pandemia. Mi son detto: non ho alcun controllo su quel che accade nel mondo, ma almeno posso controllare il mondo di Shiny e dei suoi amici».

Pubblicando Atum confidi nel fatto che i fan seguano una storia piuttosto complessa. Non temi che non ce la facciano?
So benissimo che la maggior parte delle persone non seguirà la storia. Ma non mi tange, la stessa cosa valeva per Mellon Collie e Machina. La gente mica sa di cosa parlano i dischi. Amano una canzone o un assolo di batteria o altro. E va benissimo così. Gli ultimi venti e passa anni di social mi hanno insegnato a rispettare il fatto che ognuno ha un proprio livello di coinvolgimento e qualunque esso sia va bene. A qualcuno piace una canzone e basta? Ok. Qualcuno altro vuole sapere quali effetti ho usato sulla chitarra e il significato dei testi? Va bene anche questo. Una cosa che ho imparato dal wrestling professionistico è che posso lavorare sull’engagement. Zero engagement, zero opportunità.

Hai un podcast che permette ai fan di seguire la trama in ogni dettaglio.
Un sacco di gente m’ha detto che nessuno l’avrebbe ascoltato. È un modo di ragionare datato: «Questa roba interesserà solo a 500 persone, non vale la pena farla». È roba del secolo scorso. Non so se sei su Twitter, ma è incredibile quanto influenti siano alcuni account anche se non hanno un gran numero di follower. Succede perché la gente ne rispetta le opinioni. Per cui va bene così: l’idea è che anche se poche persone intendono approfondire la trama, andranno poi in giro a spiegarla ad altri.

A giudicare da Reddit, c’è un sacco di gente seriamente interessata alla storia.
Se potessimo tornare indietro nel tempo a trent’anni fa, troveresti il me stesso di allora angosciato all’idea che la gente non gli presti attenzione. Ora sono l’opposto. Sono quasi piacevolmente sorpreso e compiaciuto ogni volta che la gente s’interessa a quel che faccio. È tipo la ciliegina sulla torta. Il mio lavoro consiste nel fare musica pop piacevole che la gente ascolterà mentre lava l’auto o chissà cos’altro. Non c’è nulla di cui vergognarsi. Tutte le altre sono pippe intellettuali. Siamo tutti influenzati dalle cazzate di Lester Bangs, ma la musica è una faccenda molto più semplice. Mentre siamo in auto e stiamo portando il cane dal veterinario, passa una canzone che non abbiamo mai sentito, ci piace, andiamo a cercarla. L’essenza della musica è questa qua.

Foto: Paul Elledge

Tu credi ancora nell’idea di album come forma d’arte. Qualche tempo fa, però, non ne eri così sicuro e hai detto che forse da lì in avanti avresti pubblicato solo singoli.
È un punto molto importante, questo. Oggi spadroneggiano le popstar. Vent’anni fa non potevamo prevedere che avrebbero occupato militarmente la cultura popolare attraverso i social media, le collaborazioni con le aziende di profumi, le apparizioni al Super Bowl. Quindi tutti noi, quelli dell’area alternativa intendo, dobbiamo trovare un modo diverso per coinvolgere il pubblico e trasmettere la nostra diversità. Io ho imboccato la via dei contenuti. Non dovremmo porci la domanda: vende? Sono metriche di giudizio sorpassate. Dovremmo concentrarci su altri concetti: suscita delle reazioni? È elettrizzante?

Vero. Abbiamo superato il punto in cui il successo di un album viene determinato dalle vendite.
Ieri a mezzanotte ero sveglio e ho trovato un EP dei Sisters of Mercy dell’82, la registrazione di una loro esibizione al programma radiofonico di un tizio che neanche conoscevo. È solo un’incisione live, però m’è piaciuta molto. Ho passato mezz’ora ad ascoltare una registrazione di 40 anni fa e mi sono goduto appieno il momento. Mi sono divertito, mi ha ispirato. Quindi: ha venduto? Non importa. Capisci cosa intendo? Quest’idea deriva dall’ambito alternativo del do-it-yourself, dal concetto che l’impegno nobilita, che puoi essere un artista integerrimo e costruire un ecosistema etico e sostenibile economicamente basato sulla tua diversità. Puoi vendere 5000 copie numerate del tuo vinile o fare un EP acustico che esce solo per il Record Store Day. È emozionante. È la vera maturazione della cultura alternativa, in cui il pubblico è sufficientemente evoluto da sapere come supportare gli artisti. Non sei costretto a metterti nelle mani di chi controlla mercato, puoi fare quel che vuoi.

Di Atum, alcune persone del mondo della discografia mi dicevano: «È un’idea terribile, non fare il podcast». E ora eccoci qui, non un anno dopo, ma giusto qualche mese dopo, e va tutto alla grande. I numeri sono in crescita. Tantissime persone hanno ascoltato la musica, si sono iscritte al podcast. È quel che sognavo quand’avevo 20 anni.

 

 
 
 
 
 
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Porti i tuoi wrestler della National Wrestling Alliance in tour con gli Smashing Pumpkins. Come ti è venuto in mente di unire questi due mondi?
Ho pensato che sarebbe stato divertente portare il wrestling a un pubblico che non lo ama. Ma se glielo si propone in un certo modo, potrebbe cominciare ad apprezzarlo. Diciamo che la mia è la versione alternativa del wrestling. Non è che ci voglia guadagnare, anzi, probabilmente ci rimetterò di tasca mia per far quadrare i conti, ma mi piace ed è un modo per condividere un’altra cosa che sto facendo. Il biglietto d’ingresso è economico, cosa che credo piacerà a un sacco di gente. Puoi guardarlo o non guardarlo. Non ha necessariamente un impatto sulla tua giornata.

Quanto materiale nuovo suonerete in tour?
Quattro o cinque canzoni nuove, che sono parecchie se ci pensi. Ho ancora il sogno di poter suonare l’album per intero, nella situazione giusta, ma non ci siamo ancora arrivati.

C’è una certa percentuale del pubblico dei Pumpkins che, in pratica, conosce solo i vostri lavori degli anni ’90.
È così da una ventina d’anni, non è una novità.

E come la vivi?
Se volessi essere negativo, mi metterei lì a dire: il tizio in quinta fila ha smesso d’ascoltarmi nel ‘96, molto male, non conosce le belle canzoni che ho scritto negli ultimi vent’anni. Preferisco l’altro approccio: è bello anche solo che quel ragazzo sia qui, sto suonando un sacco di musica nuova e pezzi minori che magari non conosce. A giudicare dalle reazioni viste negli ultimi due anni, quel ragazzo di solito esce dal concerto più interessato a quel che stiamo facendo.

È un bel modo di vederla.
Sono cresciuto in una cultura in cui non potevi dirti vero fan se non sapevi chessò il numero di scarpe di John Lennon. Faccio tanti incontri casuali, di solito in aeroporto perché è lì che sono più avvicinabile. Mi dicono: «Ehi, sono un grande fan». Poi ci parli assieme e ti rendi conto che, almeno secondo la mia definizione del termine, non sono affatto grandi fan. Però pensano di esserlo. E hanno un’idea positiva di chi sei e di cosa rappresenti. Quindi, se affronti la cosa con sufficienza, tipo «dovresti conoscere anche quello che sto facendo oggi», rischi di farti del male, perché quelle persone non hanno quel tipo di sensibilità.

Smashing Pumpkins - Disarm - Live (The Reunion 2018) HD

Molti dei brani più vecchi riflettono il dolore e i traumi della tua infanzia. Com’è, emotivamente, cantare ogni sera una canzone come Disarm e dovere praticamente rivivere tutto?
È come essere un attore: devi aprirti alle emozioni, ma devi anche renderti conto del momento in cui ti trovi. Non potrei più suonare certi pezzi col sentimento di 30 anni fa, né posso fingere di essere la stessa persona. Ma sono il tizio che ha scritto la canzone e così cerco di creare un ponte tra chi sono oggi e chi ero allora. Ad esempio, spesso quando canto Disarm penso ai miei figli più che a me stesso. E così la canzone diventa la dichiarazione vittoriosa di chi non è solo sopravvissuto, ma sta anche crescendo dei figli che non saranno traumatizzati come lo sono stato io. Riesco a trasformarla in qualcosa che non dia la sensazione di riaprire una ferita.

A proposito di figli: come ti ha cambiato, la paternità?
Mi ha fatto apprezzare le opportunità che ho avuto. Mi ha fatto pensare a come voglio essere percepito. Recentemente sono stato al funerale di Lisa Marie Presley. Eravamo molto amici e quindi so come può sentirsi la figlia di una persona famosa, forse la più famosa di tutte. Ho anche conosciuto molti altri eredi di celebrità. Per questo voglio che i miei figli mi vedano per quel che sono oggi. Quando qualcuno s’avvicina e dice loro «adoro tuo padre, sono un grande fan» oppure «voglio bene a tuo padre, ma non fa nulla di buono dal 1996», loro hanno un’idea di me coerente con chi sono oggi e quindi possono trarre le loro conclusioni. Per esempio, con Lisa Marie abbiamo parlato a lungo di suo padre, lei era solo una bambina quand’è morto. Era orgogliosa di lui, lo amava e aveva solo cose belle da dire sul suo conto. Solo più tardi è venuta a sapere cosa le altre persone pensavano dell’Elvis di quel periodo, diciamo l’Elvis di metà anni ’70.

Verrà anche il momento in cui la gente dirà ai tuoi figli cosa pensa del Billy degli anni ’90.
Sì. E ne ho viste abbastanza per usare un termine che va tanto di moda: micro-aggressione. Ho sempre a che fare con persone che si lanciano in piccole e bizzarre micro-aggressioni per qualcosa che ho fatto, ho detto oppure non ho fatto. So bene che i miei figli s’imbatteranno in queste situazioni, la cosa importante è che mi vedano attivo, che lavoro sodo, positivo e felice. La loro presenza mi ha messo di fronte a questo problema che non credo avrei affrontato allo stesso modo senza di loro.

Di recente hai detto che i Pumpkins sono stati un cumulo di occasioni sprecate. Cosa intendevi di preciso?
Be’, a parer mio la band negli anni ’90 ha attraversato due periodi. Quello fino all’uscita di Jimmy [Chamberlin] nel ’96 e poi la parte dopo, con la lotta di mese in mese per capire chi era dentro e chi era fuori, il declino del music business, MTV che mollava il rock. C’erano forze diverse in gioco. Nella prima parte è stato come essere su un ascensore che saliva spedito verso l’alto, la seconda è stata una giostra di montagne russe, un saliscendi. Spesso m’hanno chiesto: se potessi cambiare qualcosa della tua vita, cosa faresti? Rispondo sempre che l’unica cosa che cambierei è che avrei dovuto lasciare la band nel ’96, avrei dovuto mollare anch’io quando l’ha fatto Jimmy. Per molti versi, il gruppo era durato più di quanto avesse senso, anche per me personalmente. Ma siamo andati avanti. Come in una famiglia, si va avanti e non si è mai sicuri che sia per amore o fedeltà, ma si va avanti perché quella è la famiglia che si conosce.

The Smashing Pumpkins - Tonight, Tonight (Live in Milwaukee - 2022 tour - Billy Corgan acoustic)

James Iha è tornato nella band da cinque anni. Che cosa ha significato per te a livello emotivo e creativo ricucire il rapporto dopo tanti anni?
Mi ha consentito di riappropriarmi di ciò che di buono c’era nella band senza dover sempre fornire una giustificazione. Nel 2008 stavo andando a tenere un concerto con Jimmy e tutti parlavano solo di chi non c’era nel gruppo. Qualcuno è persino venuto a dirmi che «la band non dovrebbe più esistere». Così ti trovi a pensare: aspetta un attimo, ci sono altri gruppi con una sola persona originale in organico, noi ne abbiamo due, non è meglio? C’erano altre band contemporanee, che non nominerò, che criticavano apertamente il fatto che io e Jimmy girassimo come Smashing Pumpkins, come se non ne avessimo il diritto. Il ritorno di James ha messo fine a tutto questo. C’è sempre una parte di pubblico che rivorrebbe anche la quarta persona (l’ex bassista D’Arcy Wretzky, ndr), ma quel discorso è sostanzialmente chiuso. Da quando James è tornato, abbiamo pubblicato 71 canzoni in cinque anni. Siamo tornati a fare quello che sappiamo fare meglio: musica. Abbiamo imparato a stare calmi, a non parlare di cose stupide, ad andare avanti. E, come accade in tutte le storie complicate, il male si fonde con il bene. I 16 anni in cui non ci siamo parlati diventano parte del motivo per cui oggi siamo meno inclini a fare scenate.

Un tempo ti piaceva creare scompiglio e fare la parte del personaggio negativo. Si direbbe che non sia più così.
Fammi dire una cosa: non sono mai stato davvero così. Lo sono diventato in reazione al modo in cui mi dipingevano. Ora sono tornato a essere chi ero prima che scoppiasse tutto questo casino. A un certo punto, dopo aver avuto dei figli, mi sono guardato intorno e mi sono detto che non volevo più essere così. È un meccanismo che ho imparato a conoscere lavorando nel mondo del wrestling, quello dei personaggi che si comportano in modo negativo per attirare l’attenzione. Abbiamo anche avuto un presidente che potremmo definire uno dei più grandi cattivi di tutti i tempi. Per quanto mi riguarda, ho raggiunto il punto di saturazione.

Di tanto in tanto mi succede di oltrepassare il limite, ma ora sono piuttosto calmo. Mi capita ancora di incontrare giornalisti che vorrebbero vedere tornare il vecchio me. Non si rassegnano. Ma ho 56 anni. Ecco cosa mi viene da dire: se non sei ancora maturato a questa età, sei destinato a diventare uno di quei personaggi da Sunset Boulevard che s’aggrappano a qualcosa che è ormai lontanissimo e si intravede nello specchietto retrovisore.

È da poco caduto il ventesimo anniversario del disco degli Zwan, sono usciti articoli in cui viene rivalutato. So che quello è stato un periodo difficile per te. Ora che la tempesta è passata, come vedi quel disco?
Non leggo la stampa, quindi non sapevo nemmeno ci fossero degli articoli che lo rivalutavano. Mi fa piacere sentirlo. All’epoca pensavo che fosse un buon lavoro. Non abbiamo avuto un gran sostegno da parte della casa discografica. Sul lato personale, invece, è tutto dipeso da me. Ho cercato di ricreare la stessa dinamica familiare dei Pumpkins, ma con persone diverse e quando non ha funzionato, sono rimasto spiazzato. Quando esci da una relazione a lungo termine e ne inizi una di ripiego, non dura a lungo perché in pratica reiteri lo stesso problema.

L’album non si trova in streaming ed è piuttosto difficile da reperire. Lo ripubblicherai, prima o poi?
Sto lavorando al cofanetto proprio adesso. Credo che ci siano 65 canzoni inedite.

Quando uscirà?
Non ne ho certezza. Sto creando un nuovo modello di business con la Thirty Tigers, con cui stiamo collaborando. Atum è un buon esempio. Penso che pubblicherò ancora con loro. Questo perché possono gestire i negozi di dischi indipendenti e tutto il resto, per gli ordini. Dovrei altrimenti fare tutto da solo e sarebbe un casino. Sto lavorando al cofanetto ed è elettrizzante perché in tutta onestà credo che la musica migliore degli Zwan non sia ancora stata pubblicata. Parlo del lato acustico della band, che è quello su cui avremmo dovuto puntare, senza cercare di fare un disco di pop alternativo. Quello avrebbe portato a un risultato più solido, credo. Ma sono felice di sapete che la gente ha rivalutato parte di quella musica, perché è forte. Per molti versi, è il grande disco perduto dei Pumpkins. La storia, per farla breve, è che quando le cose hanno iniziato ad andare male nella band, mentre stavamo incidendo, Jimmy ed io abbiamo preso in mano il disco e l’abbiamo praticamente trasformato in un album dei Pumpkins, perché sentivo il fiato della casa discografica sul collo.

È difficile inquadrarti politicamente. Non sei schierato da una parte o dall’altra, nel dibattito classico destra/sinistra. Ti senti mai frustrato dal fatto che la gente non riesca ad accettare che la tua visione è semplicemente eterodossa?
Ho dovuto rinunciare a parlare di politica per quanto è esasperato il dibattito. Le cose che dicevo nel ’95 non reggevano nel 2005. E ho fatto la figura del vecchio che ha tardato a capire che non si poteva più parlare in quel modo. La gente iniziava a dire: «Non ti ascolterò mai più a causa di quel che hai detto». E io pensavo: «Ma davvero viviamo in un mondo del genere?». E ovviamente ora, quasi 20 anni dopo, la risposta è sì, viviamo proprio in quel mondo lì. Perciò evito discussioni di quel genere. Sono troppo stupide. È un mondo stupido, viviamo in Idiocracy. Credo nella democrazia e sono convinto che quando tutti dicono la loro, in linea di massima, anche se lentamente, le cose migliorano. Ma siamo giunti a un punto in cui la gente non può parlare liberamente manco a tavola. Da bambini leggevamo La fattoria degli animali e 1984. Dovevano essere moniti, non il nostro futuro.

Credo che alcuni, sentendo certi tuoi commenti passati, abbiano pensato che eri diventato un complottista.
Da tempo non mi curo più di cosa pensa la gente. Ho smesso nel ’92. Con la musica, si può essere disinvolti, ironici, sciocchi, divertenti e provocatori nella stessa canzone. L’altro giorno leggevo delle parti inedite del testo di Smells Like Teen Spirit di Kurt Cobain, cose fantastiche che non sono finite nella versione finale. Ammiravo Kurt, era ovviamente molto intelligente e sensibile, sapeva fare il finto tonto in modo divertente. Capivi che faceva il tonto di proposito. Nel momento in cui ti viene negata la possibilità di essere sublime a livello culturale e la tua unica alternativa è ridurti a operare delle scelte binarie, io mi chiamo fuori. Divertitevi voi. Duellate voi a colpi di meme, io ho altro da fare.

Foto: Paul Natkin/Getty Images

Gli Smashing Pumpkins non sono mai entrati in lizza per l’ammissione nella Rock and Roll Hall of Fame. Cosa ne pensi?
Non sono uno che evita le domande, ma ho deciso di non rispondere più a questa in particolare, perché ogni risposta che do è sbagliata. Ma apprezzo che tu me lo chieda. Apprezzo il sentimento che sta dietro alla domanda. Se vuoi, sentiti libero di cercare le mie dichiarazioni passate, in merito… mettiamola così. Pubblicamente non ho ancora detto nulla che rappresenti davvero i miei sentimenti al riguardo. Ho fatto una scelta: o sarò del tutto onesto o non ne parlerò.

Se non altro i Joy Division/New Order sono finalmente in nomination quest’anno.
Sono uno dei gruppi più importanti della storia del rock. Lo dicevo già negli anni ’90 che i Joy Division sono la seconda band più importante di sempre dopo i Beatles. Anche i New Order hanno dimostrato il loro valore, col tempo, e forse si potrebbe sostenere che sono stati ancora più influenti dei Joy Division, se possibile. Conosco Peter Hook dal 1990 e suo figlio Jack suona nei Pumpkins. Hooky è salito sul palco con noi in Messico, l’altra sera. Non potrei essere più felice, perché loro sono la dimostrazione di come quattro persone che si ritrovano in una stanza a fare musica, anche utilizzando delle tecnologie primitive, possano cambiare il mondo. Di sicuro hanno cambiato il mio modo di vedere il mondo. Quindi gli sarò sempre grato. Per me sono dei numeri uno.

Il vostro disco nuovo è uno sguardo su un futuro distopico. Pensi che stiamo andando in quella direzione?
Sono molto pessimista, ma se osservo il passato dell’America da una prospettiva storica, vedo che ogni volta che la situazione si fa molto, molto strana, noi la risolviamo. E voglio sottolineare che ho detto la parola “noi”. Quindi, se devo dar retta alla storia, e lo faccio, sento che troveremo una soluzione. Non credo che sarà come qualcuno pensa. Non somiglierà a quello che già è stato, né a quello verso cui sembra si stia andando.

L’altra sera ho avuto una discussione con un amico che è molto negativo e pessimista e vuole trasferirsi su un’isola. Gli ho detto: «Di solito sono io il tipo distopico, ma ho la strana sensazione che in qualche modo riusciremo a uscirne. Non so come. Ogni volta che prego per questa situazione, ho la sensazione che la soluzione sarà qualcosa di quasi irriconoscibile, ma volta al meglio».

The Smashing Pumpkins - Beguiled (Official Music Video)

All’inizio del nuovo album, troviamo Shiny esiliato dalla Terra, da solo in un’astronave. È facile leggere questo incipit come una metafora della cancel culture.
La cancel culture evoca Il buio oltre la siepe o la storia di Gesù. Si tratta di ammazzare il messaggero. Perché, come una folla di linciatori, siamo sempre ossessionati dall’idea di far fuori chi porta un messaggio? In psicologia lo chiamano il paziente designato, per cui la massa decide: se ci sbarazziamo di quel tizio, tutto andrà bene. Non tutto nella storia è autobiografico, ma la parte che mi riguarda direttamente parla di come sono arrivato, un po’ furbo e un po’ innocente, e ho avuto un gran successo, ma sono stato anche preso di mira e bullizzato per motivi che non vale la pena approfondire in questa sede. C’entravano gap generazionali e persino i cambiamenti avvenuti nel mondo della musica. Ma sono sopravvissuto. Ho rimesso insieme i cocci della mia vita. Non mi sono ucciso. Sono sobrio da circa 20 anni.

Ho continuato a fare il musicista, anche a scapito della mia salute mentale. Avrei potuto smettere anni fa, quando avevo abbastanza soldi per permettermelo. Mi sono costruito una vita che va oltre l’immagine del “ratto in gabbia” (si riferisce al “rat in a cage” di Bullet with Butterfly Wings, ndr). Ho una sala da tè, ho una società che va bene, ho una famiglia, ho una società che si occupa di wrestling. Gestisco un piccolo impero. E se vogliamo includere anche la mia compagna, è un impero più grande che comprende anche il suo brand di moda. Eppure, per certi versi, sento di non aver costruito nulla per via del modo in cui funziona il sistema americano. Per esempio, hai parlato della Rock and Roll Hall of Fame. Quando ai Grammy o agli Oscar fanno suonare degli artisti per ricordare chi è morto nell’ultimo anno, non mi chiamano mai. Voglio dire è che si raggiunge un punto, nella propria realizzazione personale, in cui si dice: sono a posto così. Eppure sono ancora invischiato nel sistema che richiede un certo livello di successo materiale, ma va bene. È il capitalismo.

Non vi chiameranno per suonare ai Grammy, ma i Pumpkins fanno ancora da headliner negli stadi. Stai andando piuttosto bene.
Voglio essere prudente. Non mi lamento. Sono soddisfatto. Voglio solo dire che quando torni ad avere a che fare con il sistema, diventi consapevole del modo in cui il sistema ti vede. Questa roba non c’entra con il mio lavoro quotidiano. Non gli somiglia neppure lontanamente. Ma quando faccio quello in cui sono davvero bravo, cioè musica rock triste, e mi rimetto in gioco, mi tocca fare i conti con cose del genere. È una cultura folle, ossessionata da tantissime cose del tutto controintuitive. Ma finché qualcun altro non costruirà un controsistema, cosa che nessuno ha ancora fatto, questo è l’unico campo di gioco. Quindi un terzo o un quarto delle tue domande hanno a che fare con questo gioco. Tu giustamente mi chiedi: come si fa a navigare in queste acque? E io rispondo che non lo faccio, ma mi tocca comunque alzare la mano e dire: sono ancora qua. Tu mi domandi: se non vuoi stare sulla barca, perché sei lì? E io rispondo: su quale altra barca dovrei stare?

Comunque sembri felice.
Ne parleremo in un’altra intervista.

Eppure ridi e sorridi, mentre mi dici queste cose.
Sarò breve. Sento che, adesso che gestisco direttamente io le cose, tutto è più vicino al mio modo di essere. La percezione che si ha di me, ora, è più vicina alla mia vita quotidiana e a ciò che faccio, rispetto all’immagine di me che è stata creata in un altro momento, in circostanze diverse. Ero felice di vendere milioni di dischi, non fraintendermi. Ma poi mi capitava un’intervista con un hipster che mi martellava con un mucchio di cazzate di cui non mi fregava nulla, ma sapevo che se non avessi gestito la situazione avrei danneggiato il brand. E, comunque, non avevo alternativa. Ancora oggi la mia gente, che Dio la benedica, valuta se mandarmi o meno da certe persone, perché qualcuno potrebbe giocare dei brutti scherzi. A nessuno interessa il tizio che fa beneficenza, che gestisce una società di wrestling, che ha dei bambini piccoli, che ha una sala da tè, che a 56 anni passa 80 ore a settimana a lavorare sulla musica. Tutto ruota ancora attorno a un riff del ’94

Qualche anno fa, hai detto che stavi lavorando a un’autobiografia. A che punto è?
L’ho accantonata. Ne ho scritta una metà, cioè mezzo milione di parole, e l’ho consegnata. L’editore ha apprezzato e m’ha detto: «Vogliamo che tu lo finisca, prima di iniziare a pubblicare tutto». Ho chiesto: «Perché non cominciate a pubblicarlo e intanto io continuo a scrivere?».Ho smesso di scrivere, perché è stato uno sforzo sovrumano arrivare a 500 mila parole.

La cosa più assurda è che, per quanto io sia stato trasparente a proposito di molte cose, il 90% di ciò che è accaduto nella mia vita non è noto. Usando l’analogia degli avatar e dei personaggi in scena, ho lasciato che loro creassero una narrazione che non era reale e questo ha nascosto a tutti la storia vera. Chi ha letto il libro è rimasto scioccato, perché raccontava l’esatto contrario di quel che pensavano mi fosse successo.

Da Rolling Stone US.

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