Drast e Lil Kvneki, i due membri del progetto Psicologi, hanno 24 anni, ma quando parlano del mondo hanno una lucidità che spiazza. Quando li incontriamo a Milano hanno voglia di chiacchierare, nonostante gli occhiali da sole e il cappuccio in testa di lunedì mattina lascino pensare che la sera prima non devono averla passata a bere tisane e guardare serie tv.
Esce oggi il loro terzo album che segue i precedenti e fortunati Millennium Bug e Trauma. DIY, questo il titolo, è fatto di nostalgia, autoproduzione e contaminazione. Ma anche di collaborazioni con persone scelte accuratamente per non sembrare dei featuring, ma amici che si ritrovano in studio a cazzeggiare. «Noi crediamo nella collettività che ti scegli, non negli sugar daddy lavorativi». Finita l’adolescenza, gli Psicologi sono cresciuti e raccontano la vita (vera) meglio di tanti adulti.
DIY offre molti spunti di riflessione. Partiamo dal primo: la sofferenza. Sembra occupare un posto costante nella vostra scrittura. Ricorre così spesso perché trovate sia un sentimento generazionale o semplicemente è il motore che muove la vostra musica?
Drast: Non abbiamo ancora imparato a scrivere canzoni quando siamo felici, quelle che parlano la lingua della felicità. Quando proviamo a fare pezzi presi bene non viene fuori niente. Non è un sentimento generazionale, la nostra sofferenza la condividiamo con persone di ogni età. Ci definiamo già vecchi perché rispetto ai nostri amici ci facciamo problemi che non ha ancora senso farci. Poi nelle canzoni magari quel lato lì non viene fuori, ma ci affascinano cose che più che generazionali sono interessanti. E ci fanno stare male cose che più che generazionali sono brutte.
Come mai avete scelto di titolare questo album DIY, ovvero do it yourself? Che rapporto avete con il DIY?
Drast: Il titolo viene da Meet Me in the Bathroom, il documentario sulla scena indie rock newyorkese che stavo guardando mentre scrivevamo il disco. A un certo punto uno ha detto la parola DIY, sono andato a cercarla e ho pensato effettivamente che era proprio il contenitore migliore per la musica che stavamo facendo. Anche le nostre reference non sono quelle che si possono intuire, come il movimento punk anni ’90. In realtà dietro DIY c’è una collettività che abbiamo scelto. Non vuol dire fare le cose da soli, ma farlo con le persone che vuoi tu. Vuol dire fare tutto questo da soli rispetto a chi ha alle spalle mamma e papà, che siano mamma e papà reali, familiari oppure sugar daddy lavorativi.
Di cosa vi siete occupati voi nel disco e dove avete cercato un supporto esterno? Su cosa avete sentito che in DIY c’era bisogno di qualcun altro?
Lil Kvneki: In un’epoca in cui si passa per tanti Tinder dates musicali per cercare di far uscire la canzone del secolo, noi abbiamo fatto un disco con gli amici. Questa era un po’ la nostra idea di creazione, dalla nascita della musica a tutto quello che viene dopo. Ci siamo occupati anche delle produzioni grafiche e tutto quello che contraddistingue il disco. Sai, non è molto differente dalla produzione di un horror amatoriale, di un B movie, di quelle robe con poco budget. I ragazzi di Bomba Dischi ci danno poco budget ed è la condizione in cui facciamo le cose migliori… finché non ci daranno una barca di soldi e potremo chiamare quelli che che vogliamo.
Il disco è intriso di una certa nostalgia, sia nei temi affrontati che per i suoni malinconici a cui vi affidate per esprimere questa sensazione, vedi il piano di Croce. Per voi la nostalgia è un luogo o un tempo? Ma sopratutto, di cosa si è nostalgici a vent’anni?
Drast: Per me la nostalgia è un luogo, un trauma, un posto; è qualsiasi cosa tu voglia nel tuo cervello. La nostalgia è anche paura del futuro. Siamo nostalgici solamente dei periodi più belli della nostra vita, quando eravamo ragazzini e non dovevamo lavorare, quando stavamo in giro con la ragazza, senza soldi. O i ricordi belli di famiglia. Magari ne hai tre di questi ricordi, ce li hai in testa e li porti nel cuore. Non importa tanto dove eri, ma come ti sentivi. Con la nostalgia non vai da nessuna parte, ma è utile per scrivere e fare poesia. Forse nella vita è la cosa più orribile che ci sia.
Lil Kvneki: Io la vivo in maniera diversa, per me non è quasi niente, è semplicemente una chiave narrativa che guida il mio pensiero creativo. È una parte di noi, fa parte della collezione degli umori e delle sensazioni che viviamo durante la giornata. La nostalgia in questo album c’è, ma anche perché questo lavoro ci ha cambiato la vita radicalmente e rimanere attaccati a quello che eravamo prima è iniziato a diventare una tattica di autodifesa.
Per la promo del disco avete scelto un media per definizione nostalgico e autoprodotto come la fanzine. Come mai? Cosa ci avete messo dentro?
Drast: Ci piacciono gli oggetti, ci piace raccontare qualcosa attraverso di essi. Veniamo da Roma e Napoli, due città piene di fanzine che regalano in giro. Per l’impaginazione ci ha aiutato un nostro amico che a Roma ne ha già curate un bel po’, sempre piccole e indipendenti, che magari parlano di Totocalcio, di Maradona. L’idea è nata dal fatto che avevamo tantissimo materiale, un sacco di foto, cazzate da far uscire, quindi abbiamo pensato che fosse il mezzo più immediato e affine, era un modo per dare più di informazioni su di noi, di dare più chiavi per aprire la porta del disco. Alla fine quando raccontiamo i cazzi nostri con la musica c’è bisogno di dare un po’ di contesto perché sennò si sbanda.
Quanto siete influenzati dalle vostre città d’origine, che quanto a nostalgia sono posti molto più proiettati al passato che al futuro?
Drast: La risposta alla domanda sulla nostalgia è che siamo di Napoli e di Roma. Cioè io quando scendo di casa a Napoli e ho una qualsiasi conversazione, sento parlare del passato dieci volte in due minuti, è proprio nella forma mentis delle persone. Anche a Roma, no? Quindi sì, ci influenzano un botto le nostre città. Io personalmente vivo a Roma adesso e, come dice Giovanni Truppi, “a Roma si sta meglio che a Napoli, ma io sto meglio a Napoli”. Lil vive in una Roma diversa dalla sua Roma d’origine quindi in realtà continuiamo a scambiare input: Roma dà input a me, Napoli dà input a lui. Rappresentano uno dei punti chiave della nostra musica.
Lil Kvneki: Tutte le persone che studiano a Roma o a Napoli studiano il passato. A Roma viviamo delle reliquie dell’Impero Romano. Milano è l’unica città in cui si sta investendo per fare in modo che nel futuro si parli dell’architettura dei 2000.
Un altro tema che sembra emergere nel disco è il desiderio di affermazione, la ricerca di un’identità evoluta rispetto al passato, ma che mantenga chiaramente la vostra impronta. In che direzione credete stia andando la vostra identità?
Drast: Siamo molto contenti di come è evoluta la nostra musica ed è la ragione per cui stiamo facendo tutte queste interviste. Siamo rovinati, dormiamo cinque ore a notte perché quando hai qualcosa di bello lo vuoi spingere. Noi non ci siamo mai esposti, stavolta però ci rendiamo conto di aver fatto una cosa che ci rispecchia. Saremmo felici se le persone quando pensano a noi pensassero a questo disco. Adesso abbiamo 24 anni, abbiamo delle idee, con i dischi di prima non eravamo neanche delle “persone”, eravamo appena usciti dal liceo, questi sono stati gli anni in cui abbiamo sviluppato un pensiero critico, gli anni in cui inizi a capire cosa ti piace e cosa non ti piace. Nel nostro secondo disco ogni pezzo aveva un genere musicale diverso perché ancora ci piaceva tutto. Adesso se ci piace una cosa, la spingiamo veramente.
Del resto il primo gesto artistico è la selezione, anche in questo siete cresciuti. Quanto vi sentite ancora connessi con la vostra generazione, a proposito di crescita?
Drast: Guarda, è sempre più difficile perché più si cresce, più si sviluppa un pensiero critico. Mentre noi sviluppiamo il nostro, gli altri stanno sviluppando il loro. Era più facile essere connessi a 18 anni. Quando finisce il liceo, finisce un po’ quel sogno. Poi ci sono cose e persone che rimangono, ma il cambiamento è tangibile. Sicuramente proviamo a parlare alla collettività. Il punto è che io credo un po’ meno in una collettività generale, ma credo nel fatto che ci siano delle persone che la pensano come noi; è così che abbiamo scelto le collaborazioni per il disco. Anche il pensiero che viene cantato come il pensiero di uno in realtà è il pensiero di tre e questo rende la nostra musica più corale per forza di cose.
Lil Kvneki: C’è una differenza tra essere connessi al lavoro, magari perché lavori con degli amici, e la connessione con la gente per strada. Io credo che la connessione con la gente fuori sia reale, anche non per forza della mia generazione; mentre nel lavoro a volte ci chiudiamo a riccio e ci sentiamo speciali, e questo non aiuta.
Da quando vi ho ascoltati la prima volta ho sempre pensato che la vostra forza fosse la contaminazione. Siete figli di una cultura terza che non è né la cultura dominante né la sottocultura, è una cultura personale fatta dei mille stimoli che raccogliete in giro. Secondo voi ci sono altri artisti al momento in Italia al momento capaci di questa contaminazione?
Lil Kvneki: Secondo me è proprio una caratteristica dei ragazzi che fanno musica alla nostra età. È un po’ il risultato dell’ADHD. Mi viene in mente Madame che fa i pezzi in cassa dritta, ma anche il cantautorato; mi viene in mente thasup che ha i giri psychedelic rock con il beat trap e le linee melodiche. Il fatto è che siamo cresciuti con tantissime contaminazioni, abbiamo avuto tante fasi perché siamo figli della musica online. Il fatto di avere accesso a tutto ti fa ascoltare più cose, ti fa scoprire più cose che ti piacciono, alla fine siamo tutti strani robot con mille fonti diverse. L’altro fun fact è che il disco l’abbiamo fatto noi due e un nostro amico che fa cantautorato italiano ci ha dato una mano a scrivere. Poi si è aggiunto un altro amico che non scrive canzoni, laureato in filosofia e fa disegno. A fare i beat con noi c’era Alessio, un ragazzo che produce trap, poi uno che suona math rock e un altro ancora che insegna chitarra classica acustica. Poi per forza che ti ritrovi con una cosa strana in mano.
Vi sentite una generazione libera (fluidità di genere, possibilità di modelli familiari alternativi, apertura sulla salute mentale) o pensate di essere una nicchia fortunata perché siete artisti?
Lil Kvneki: Purtroppo abbiamo la prova che la nostra bolla del cazzo non è la normalità, ma il fatto che questa evoluzione stia emergendo in una bolla potrebbe essere indice che qualcosa in atto c’è. Viviamo in un Paese estremamente conservatore e non saranno tre zeri dopo il 2 a cambiare magicamente questa cosa. Queste cose vanno conquistate, ma soprattutto c’è bisogno di lungimiranza. Sono cambiamenti che si fanno con il tempo; altrimenti si può sempre partire. Una persona può sempre andarsene da ’sto paese e vivere una vita migliore. La maggior parte delle persone che conosco magari non fanno militanza su questo perché non servirebbe a niente. Quello che noto è che spesso questi valori vengono sfruttati più per fare eventi e comunicazione, rendendoli appannaggio dei capitalisti, mentre non sono veramente introdotti nella società. Se vado a Barcellona sono felicissimo perché vedo persone che non disprezzano alcun orientamento sessuale, credo che anche a Milano sia così. Mentre a Roma un pischello gay magari conosce i soliti quattro posti dove dove stare con le poche persone che vede sempre. Noi poi non ne capiamo un cazzo perché siamo dei bianchi etero di 24 anni, però è ovvio che siamo per la libertà di pensiero, per l’apertura a ogni orientamento e per la tranquillità sociale.
Drast: Già che ci stai facendo questa domanda è indice del fatto che si muove qualcosa, vuol dire che chi legge è interessato. Io ho due fratelli più piccoli e rispetto a quando andavo al liceo sento storie di inclusività oltre l’immaginabile. Parlarne è positivo, è una maniera in più per mettere nella testa delle persone questi temi e spingerle a informarsi.
Non sembrate particolarmente fissati con i social. Che rapporto avete con questi media?
Lil Kvneki: Verissimo. Anzi, io in questi giorni sto un po’ male perché mi sto rendendo conto del fatto che quando sono a Milano li uso un botto. Ma perché proprio stare tutto il giorno a parlare con persone che mi fanno vedere il lato migliore di sé, che si vendono durante le conversazioni, mi fa domandare a fine giornata: ma il mio impero come sta? Fammi andare a vedere quello che ho costruito in che condizioni è. Non abbiamo un rapporto tossico con Internet. A volte mi viene voglia di cancellare Instagram, ma non lo faccio solo perché non ricordo la password. Mi mette un po’ d’ansia svegliarmi la mattina e sapere già tutto quello che hanno fatto le persone nel mondo.
Drast: Io nemmeno sono fissato sui feedback, non vado a cercarmi il ragazzino che fa il commento spicy. Quando avevo 18 anni stavo in fissa con quella roba. In generale scrolliamo poco.
Come va invece la vostra salute mentale?
Lil Kvneki: Al top di quello che potevamo stare, soprattutto rispetto a Trauma o tutta quella roba lì. Non so per Marco, però almeno la mia sta al top. Però ci tengo a dire che il pubblico non è così preparato a certi temi. Il mondo è pieno di alternativi de merda che fanno gli alternativi de merda e poi non comprendono queste cose.
Drast: Sì, tu stai benissimo e io anche. Stiamo bene e questo disco ci piace anche per questo. Pensa che avevamo fatto un altro disco, era quasi finito, dovevamo solo scegliere i pezzi. Poi però abbiamo deciso di rifarlo perché era figlio di anni sotto i riflettori in giovane età, prima di sviluppare un pensiero critico. Anni che ti portano a sbarellare e questo ha lasciato a entrambi delle cose da risolvere e su cui lavoreremo. Però siamo contenti almeno di aver ritrovato un contatto con la nostra vita di prima, quella che sarebbe stata se non avessimo fatto musica, e per noi questa è la maniera migliore per fare musica come la intendiamo noi. Questo disco lo abbiamo fatto ad agosto in Sardegna ed è stato veramente una terapia.
A gennaio ci saranno due date nelle vostre città di origine, Roma e Napoli, al Palazzo dello Sport e al Palapartenope. Avete preparato qualcosa di speciale?
Drast: Saranno due concerti importanti per noi, sono i due posti dove sogniamo di suonare da sempre. A parte questo abbiamo preparato uno show – si dice così qui al nord Italia, no? – con tutta una narrativa concettuale. È una parola che non ci piace, però c’è un messaggio dietro, un filo conduttore.
Lil Kvneki: Abbiamo capito che fare un concerto significa comunque prendersi due ore del tempo e le vogliamo usare per provare a far arrivare delle cose. Possiamo dirti che c’entrano tanto i computer. Sarà uno show unico.